PREFAZIONE

Al centro di questa briosa pièce in due atti di Daniela Monreale, Un anno senza Ester, si collocano sostanzialmente due forze attrattive che allo stesso tempo sono fra loro oppositive: l’amore saffico e l’amore filiale. Clelia ama con trasporto e con tenacia l’amica Ester, ma è anche naturalmente vincolata all’anziana madre Rita, che osteggia l’amore fra le due donne. I due sentimenti d’amore, nell’incalzante operetta animata da uno splendido dialogo, si scontrano come l’onda e la risacca, nello stesso seno del modesto alloggetto che funge da approdo o forse da angiporto, cioè da vicolo segreto in cui si consumano le trame di attrazione e di tradimento sia reali sia artatamente inventate. Come avviene nella migliore tradizione del teatro, da Goldoni a Beckett, i tre protagonisti – la figlia Clelia, la madre Rita e l’amante della figlia Ester – si avvalgono di un personaggio che fa da cerniera tra loro e che ricostruisce il filo rosso di continuità sia della concatenazione dei fatti sia della ragione dei sentimenti. Il personaggio cerniera è Sara, che svolge un ruolo teatrale molto importante, di sostegno e di propulsione della vicenda, al punto di potere essere considerata anche lei una colonna essenziale del recitativo. Alle donne è affidata l’economia primaria della pièce, mentre agli attori maschili è concesso un compito solo nominale, senza apparizione sulla scena – come accade al detective che si mette sulle tracce di Ester – oppure un’apparizione in scena solo in veste di comparsa servile, come accade al portiere del caseggiato in cui madre e figlia abitano. L’amore è donna, la storia è donna, la scena del mondo è donna: l’uomo è il fuco che esala la sua parte senza mai occupare pienamente l’arnia, cioè – per dirla fuo­ri di metafora – la scena. Come è tradizione del migliore teatro elisabettiano – si pensi a Shakespeare e a Marlowe – ma anche in omaggio al teatro comico di Goldoni, il tradimento è il piatto forte che viene servito allo spettatore. A ordire il tradimento sarà una donna e ancora una donna sarà a svelare il disegno ingannatore. Seguendo le regole canoniche, sappiamo che chi ama finisce per tradire l’amore e chi tradisce l’amore finisce per perdere sé stesso. Questa consecutio quasi dogmatica nelle vicende del teatro amoroso è realizzata da Daniela Monreale sovvertendo totalmente i ruoli, le parti e la conclusione a cui si perviene. Il finale rovescia in commedia la tragedia che il lettore si attendeva, come accade nel celeberrimo Mol­to rumore per nulla, e il sipario si chiude con un’allusione al fortissimo precetto di Virgilio Omnia vincit amor. Quale sia l’amore che trionfa, quello saffico o quello filiale, si saprà solo al termine dello spettacolo.

Sandro Gros-Pietro

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