Prefazione

Il libro collettaneo Tradimenti ha la caratteristica di una doppia pluralità: è composto da sei pièces autonome ed è scritto a quattro mani, un uomo e una donna, che sono anche attori per lo più uniti insieme sulla scena, nella realizzazione dei testi teatrali da loro stessi ideati. A dispetto della varietà di progettazione e a conferma della validità del risultato, il libro presenta una straordinaria organicità di forme e di contenuti espressivi. L’orientamento dei testi è sicuramente rivolto alla tradizione classica, cioè ai fondamenti della cultura occidentale, che come è bene risaputo e universalmente canonizzato si rifanno alla mitologia greco romana e alla Bibbia, cioè alle due grandi fonti del pensiero sia pagano sia cristiano che illuminano come fiamma bifida i duemila anni di letteratura europea e transoceanica. L’elemento della classicità, dunque, non risiede nel fatto che l’ambientazione debba necessariamente essere collocata ai tempi pre-cristiani o comunque anteriori alla caduta dell’impero romano, ma risiede invece nell’altezza dei contenuti, che sommuovono i grandi temi della cultura elevata occidentale: l’amore tra uomo e donna, il potere, il sentimento dell’onore, la trasmissione famigliare, la fede religiosa, il tradimento. Proprio quest’ultimo, alla fine, acquisisce una funzione egemone e diventa il massimo comun divisore dentro cui potranno essere contenuti tutti gli altri temi. Per potere assumere un’implicazione così vasta, i Tradimenti, diventano allora qualcosa di molto più ampio dell’azione di inganno o di violazione di un dovere, con cui il termine è oggi giorno comunemente inteso, ma fanno riferimento al significato etimologico del verbo latino, tradeo, consegnare, dare, attribuire, e indicano un’azione di movimento evolutivo e per lo più eversivo, di rovesciamento dello stato originario di partenza e di non accettazione delle cose come si sono messe: una ribellione, via. Se vogliamo dirla in modo pagano, i tradimenti diventano i progetti di sovvertire il capriccio degli dèi e la cecità della dea bendata; se, invece, vogliamo dirla in modo cristiano i tradimenti consistono nella visione di una logica non catechistica e non chiesastica del comportamento dell’uomo giusto, inteso in senso biblico, cioè non più solo come esecutore della volontà di Dio, ma come interprete di sé stesso e della propria volontà. La conseguenza che subito deriva è che, per potere scrivere un teatro con simili contenuti, bisogna arrivare per lo meno fino a Nietzsche e a Freud, dopo avere superato Rousseau, Voltaire, Alfieri e Leopardi. Bisogna, cioè, arrivare alla definizione di un uo­mo che abbia scoperto la sua individualità di soggetto unico e irripetibile nella storia dell’intera civiltà umana, e che si senta investito unicamente del progetto di realizzare sé stesso, indipendentemente dal dio in cielo, che è improvvisamente divenuto minuscolo, e dalla ragione di stato, che è improvvisamente divenuta ingannevole. In altre parole bisogna avere una mentalità decisamente novecentesca e possibilmente anche post-modernista. Esattamente questa è la mentalità che illumina il pensiero di Mirella Berardino e di Corrado Pumilia. Si tratterà, allora, da parte dei due autori, di riscrivere i canoni della classicità, rivedere le proporzioni, mutare le prospettive. Per dirla in una parola, sono proprio i due autori che volutamente compiono i tradimenti al patrimonio di cultura della classicità, ma non certo con l’intento di deriderla o di goffamente interpretarla, bensì con lo squisito estro di saperla ripresentare e rifondare con una logica da superuomo nietzschiano o meglio ancora con l’attualità del pensiero odierno. Clitemnestra ragiona come ragionerebbe una donna del ventesimo secolo, che non può accettare la violenza assassina di Agamennone, indipendentemente dalla volontà manifestata dagli dèi, dalla forza del fato, dalla lotta per il potere, dalle ragioni di stato, che sono tutte delle visioni minimali rispetto al suo dovere primario di madre e di amante, che si vuole liberamente realizzare. I due autori, con matematica consequenzialità, cambiano totalmente le prospettive della logica con cui i personaggi agiscono: gli dèi dell’Olimpo per Clitemnestra contano molto meno dei suoi due figli, entrambi uccisi da Agamennone, con motivazioni non accettabili alla luce di un pensiero contemporaneo, perché in un caso il re acheo ha ucciso per affermare come un leone il seme della sua stirpe e nell’altro caso per rispettare la volontà degli aruspici, nonché e per ragioni di stato, la difesa del potere e della corona dinastica. Anche nella bellissima pièce L’Azteca, che è invece ambientata nell’attuale Messico all’epoca dell’impero azteco, siamo quindi nell’anno 1521, l’anno della conquista spagnola della capitale Tecnochtitlan, vediamo che la protagonista La Malinche ragiona con una mentalità moderna e addirittura femminista: ciò che maggiormente le brucia in petto è l’essere stata tradita e abbandonata prima dai suoi famigliari e poi dal suo cinico amante, il sanguinario Hernan Cortès, tuttora considerato eroe nazionale spagnolo. Forse, nell’intenzione di La Malinche gli storici potrebbero obbiettare che vi era anche l’ambizione di non essere messa da parte nella costruzione del nuovo stato, di riuscire a continuare a contare qualcosa e a sviluppare le sue non comuni arti politiche e diplomatiche. Non è da escludere anche il desiderio di contribuire alla caduta dell’impero azteco, sopraffattore e tiranno sanguinario nei confronti della sua gente. Queste legittime motivazioni, che fanno di La Malinche la fondatrice mitologica del Messico moderno come Budicca lo è della Britannia, contano poco nella mente di una donna che ragioni con la mentalità del ventesimo secolo: per lei, ciò che è orrendo al punto di richiedere una vendetta cosmicamente trasversale è l’affronto subito alla sua dignità individuale. Appare legittimo pensare che, specie in questa pièce, più ancora che nelle prime due, Figlia di una maledizione e Il leo­ne è sazio, abbia svolto una funzione ispiratrice più Mirella Berardino che non il suo compagno sodale, anche se è giusto argomentare che il femminismo è prima di tutto un valore della cultura umana tout court e non soltanto una specificità esclusiva del pensiero delle donne. Nella quarta pièce, Istigazione al delitto, trionfa, invece, volutamente l’ironia popolare e plautesca, spinta fino alla dissacrazione e alla comicità, ove assistiamo all’impresa retorica dell’Avvocato di Caino che difende l’omicida davanti a dio, comicamente ridimensionato in un giudice passa-car­te – Vostro Onore – sostanzialmente muto, imperioso e capace solo di battere il martelletto sul tondino per imporre la sua vilipesa dignità, continuamente compromessa e oscurata dal­l’abilissimo avvocato. Tutta la pièce è spassosissima e ci dice quanto i due autori posseggano con pienezza sia i registri del tragico sia quelli del comico, che sono le due autentiche corde o maschere del teatro classico. In questa pièce ovviamente il tradimento sta nel fare di Caino una vittima e di Abele un impostore, risultato a cui brillantemente perviene l’abilissimo azzeccagarbugli. Sullo stesso tono, ma illuminata da un’ironia amara e raffinatissima è l’ultima pièce, Luce dall’oscurità, in cui il dialogo infinito tra le forze del Bene e del Male è impersonato da un incontro al bar tra Lucifero e dio, il quale ultimo – come tradizione cristiana vuole – è presente solo con la sua assenza di deus absconditus. Tutto il pezzo è scritto con sapiente bravura argomentativa; è un un’autentica forma di teatro poetico, che richiama alla mente i Ditirambi di Dioniso di Friedrich Nietzsche. Per ultima va citata la suntuosa ambientazione teatrale del dramma di una vita rappresentato da Giovanna la Pazza, il tradimento da lei subito da parte del padre usurpatore, il dolore per la perdita del marito Filippo il Bello, da Giovanna tanto amato, e tanto volubile e infedele nel più spudorato dei modi, il comportamento equivoco e irriverente del figlio Carlo V, che lascia la madre rinchiusa nella prigione di Tordesillas, allo scopo di usurpare i benefici e la gloria della corona di un impero su cui mai tramonta il sole. La figura di Giovanna è descritta con una straordinaria umanità, nella piena consapevolezza che si tratta di una paziente afflitta da sindrome bipolare con alterazione del comportamento alimentare, tra picchi di bulimia e abissi di anoressia. E in questo caso gli autori mettono in campo una competenza conoscitiva delle malattie della psiche che avrebbe fatto la gioia di Sigmund Freud.
Tutto il libro Tradimenti è complessivamente un’autentica festa per il teatro, cioè per il sortilegio di inventare la parte e i personaggi, la trama, la rete delle emozioni e dei sentimenti, prendendo sempre spunto dalla realtà storica del mondo, ma interpretandola con una verve che volta a volta ne illumina specifiche angolature e prospettive di visione e di interpretazione, in un gioco di luci della mente che è ancora più affascinante e sognatore di quello realizzato sulla scena dai riflettori.

Sandro Gros-Pietro

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