10,00 €
Autore: Miriam Pierri
Editore: Genesi Editrice
Formato: libro
Collana: Humanitas, 11
Pagine: 64
Pubblicazione: 2017
ISBN/EAN: 9788874145980
Prefazione
L’atto unico di Miriam Pierri, La casa dove nacqui, è un’opera di grande effetto scenico, che unisce insieme una voce fuori campo declamante la sequenza degli eventi rappresentati sul palcoscenico, il recitativo degli attori, la danza, la musica e un pilotato coinvolgimento teatrale del pubblico. L’obiettivo è quello di fondere i limiti, sciogliere le catene, abbattere i muri, eliminare le divisioni concettuali e materiali che separano l’arte dalla vita, la vita dalla morte, il presente dal passato, e se vogliamo, addirittura il Bene dal Male, cioè quasi si vuole cortocircuitare le due eterne categorie dicotomiche tra loro contrapposte, che si contendono da sempre la coscienza dell’intera umanità, angeli e demoni. L’elemento veramente originale di questo piccolo ma splendido lavoro teatrale di Miriam Pierri è già palesato nel titolo dell’opera, che lascia intendere una nozione di appartenenza autobiografica o più velatamente egocentrica della intera rappresentazione drammatica. L’autrice ci parla della sua terra pugliese, del suo mare, con i cormorani, le antichità greche, le insenature, le calette e le spiagge della sua infanzia. Ma questa collocazione domestica e referenziale al vissuto reale della scrittrice assume immediatamente un carattere di universalità allargato nei luoghi e nei tempi di tutta l’umanità. I personaggi protagonisti della vicenda, infatti, hanno uno spessore e una vocazione addirittura mitologica, cioè sono delle icone eroiche e simboliche, che vivono in un vissuto sublimato e deformato ovvero plasmato dalla rielaborazione artistica della scrittrice stessa, ma anche dalla tradizione popolare, dal mito, dalla cultura antica, le cui radici si innervano nei primordi della nostra civiltà eppure arrivano ad adornare una chioma di accadimenti avvenuti nei tempi moderni, sia dell’attualità di fine secolo sia del passato prossimo di inizio del Novecento, con un calesse, un fiacre, la notissima carrozzella a un cavallo, una sorta di calessino chiuso e col conducente in cassetta, tanto diffusa da fine Ottocento e fino alla prima guerra mondiale, che attraversa la scena come un sogno fantasmatico, e il destriero scalpita gli zoccoli sul selciato, anche lanciando scintille, come fosse una creatura infernale. L’atmosfera, dunque, in cui è ambientata l’opera, è vagamente gotica, sarebbe piaciuta enormemente ad Edgar Allan Poe, con gli antri, le scale, le stanze, una vecchina che è una maga Alcina, con una maschera mostruosa sul volto, che verrà strappata, ma che continuerà a produrre anche a terra il suo verso grottesco. Una ridda di personaggi si alternano e si accavallano nella sequenza del racconto: la “Vecchina”, Paolo, Egidio, Castriota, Dodo, Alvisa, Virginia, Astrea che è la madre, la Bambina che è la scrittrice stessa, ma deformata nel surrealismo del racconto. E alcune scene propongono un’atmosfera celestiale o per lo meno nivea, per cui nelle quattro stanze dell’atto unico l’atmosfera cupa dell’incubo si illumina di un lindore quasi accecante di luce, ma non per ciò si intravede un approdo sicuro, una realtà accertata e ferma, una nozione acquisita e indubitabile della realtà e dei suoi corollari. Anche il tempo rimane una nozione anfibologica, perché il passato continua a confondersi e a sovrapporsi con il presente, per cui la voce fuori campo un poco racconta la storia coniugando il modo del passato remoto e un poco alterna quello del presente indicativo. La storia, infatti, è un nastro di Moebius che sempre indefinitamente si sviluppa su sé stesso, come nel segno matematico dell’otto accovacciato che rappresenta l’infinito.
La casa dove nacqui è un esempio mirabile di letteratura teatrale visionaria, nella quale l’impostazione sostanzialmente surrealistica collide o converge con un’interpretazione psicologica dei sogni ossia una visionarietà a occhi aperti, che tuttavia non diviene mai una fantasia gratuita e inverosimile, ma al contrario rimane sempre orientata a nominare e a interpretare le ragioni profonde del mondo reale, quelle in cui si confondono i limiti e i controlli marcati della ragione e tutte le categorie della mente tendono a compenetrarsi in un’unica illustrazione complessiva del grande enigma della vita e della morte, che da sempre ci affascina e ci sgomenta: un luminoso esempio di teatro meta-razionale e di sperimentazione, che conferma la grande versatilità della scrittrice Miriam Pierri.
Sandro Gros-Pietro
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