Nota dell’editore

L’accostamento del Giardino di Mangrovie con Medea dismagata potrebbe sembrare un azzardo non giustificabile da altra motivazione se non dall’appartenenza alla medesima fonte creativa, in quanto drammi teatrali che nascono dalla faconda mente di Renato Gabriele, scrittore italiano ben noto anche all’estero, specie in Polonia, per la sua brillante versatilità che gli consente di spaziare con identica capacità dalla poesia, alla drammaturgia, alla narrativa e infine alla saggistica di critica letteraria. Ma c’è un marchio d’autore che sempre si riconosce, nelle opere di Gabriele, e che aggalla distintamente in que­sti due brevi ma intensi drammi, splendenti di luce comune e gemellata: è il rovello del peccatore, che sempre lavora come un tarlo nelle opere di poesia, di teatro e di narrativa ideate dallo scrittore di Latina. Si tratta di qualcosa di più vasto e di più profondo del notissimo senso di colpa tipico dell’anti-eroe borghese e che attraversa e caratterizza tutta la letteratura d’Occidente del ventesimo secolo. An­che se è opportuno, per inquadrare Renato Gabriele, rifarsi proprio a quel tal “sen­so di colpa” nutrito dalla borghesia europea e rappresentato in letteratura fin dai tempi di Flaubert e di Tolstoj, cioè a quel cavilloso tormento definitorio tra la consistenza del bene e del male eretto a categoria etica e religiosa, sempre ritualizzato e sempre eluso in un continuo movimento di ondate e di risacche della coscienza. Renato Gabriele parte dalla rappresentazione di una borghesia defraudata della gioia di vivere e nevrotica, quale è messa in scena nel teatro dell’assurdo di Samuel Beckett, cui in specifico il Giardino di Mangrovie maggiormente si ispira – Porfirio e il Convivente non possono non richiamare alla mente i discorsi scoordinati e inconcludenti di Vladimir e di Estragone in Aspettando Godot – ma poi la vicenda si orienta e si definisce nell’intreccio di un’in­dagine psicologica sul significato del­le responsabilità, cioè sulla definizione del rapporto etico verso sé stessi e verso il prossimo e, di conseguenza, sull’ammissibilità dello scarto dalla norma deputata. Anche in Medea dismagata il fascino dell’avventura fantastica per nave intrapreso dalla regina della Colchide, con figlio, an­celle e cicisbeo corteggiatore, poco per vol­ta si dissolve e lascia spazio ai meccanismi inquisitivi del rovello del peccatore che lavorano in Medea fino a farle perdere la certezza pagana del valore sacrale della vendetta e dell’ammissibilità del castigo mortifero da imporre anche trasversalmente, punendo gli innocenti figli del malfattore. Al posto della certezza pagana della colpa, si colloca la nebbiosa ipotesi dell’emendabilità cristiana del peccato, con la possibilità di riscatto del peccatore, con la conversione al bene di Frate Cristoforo, con l’onda di risacca della coscienza che recupera il reo e la conseguente re­surrezione a nuova vita: questo rovello contraddittorio che rappresenta la tipicità della problematica cristiana in contrapposizione netta alla certezza manichea della cultura pagana è il tema centrale dell’intera vasta produzione letteraria di Renato Gabriele. Tema che viene trattato con differenti esiti, spunti, trovate solutive e problematiche talvolta anche inquietanti e che, proprio in Medea dismagata, funziona da cerniera tra le due grandi culture a confronto, quella classica pagana e quella moderna cristiana.

Sandro Gros-Pietro

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