Introduzione

Il gorilla di Menotti Lerro deve essere inserito in una posizione di rilievo nel novero delle cover d’autore dedicate al più noto hidalgo della letteratura occidentale: Don Raimondo infatti, è un clone del suo nobile antenato Don Chisciotte della Mancia. La follia non solo lo rende maldestro e ridicolo in tutto, ma anche eroicamente invincibile e giudice infallibile delle miserie umane su cui finisce per ergersi come un Papa, anzi più in alto del Vicario di Cristo, direttamente dal balconcino di casa sua, in un’improbabile quanto grottesca parusia, diviene il Figlio ritornato tra gli uomini per maledire e per condannare la loro miserabile condizione di abiezione, ingordigia, avarizia e pusillanimità. Ma come tutti i protagonisti farseschi, Don Raimondo non approderà mai alla dignità tragica dell’eroe, bensì si ferme­rà alla soglia anfibologica del buffone: è un istrione, per metà imbecille e per l’altra metà illuminato, per metà generoso e per l’altra metà cinico, per metà santo e chiesastico, ma per l’altra metà empio e sacrilego. In fondo egli è così profondamente creaturale da apparirci per an­tonomasia il perfetto gorilla di cui egli stesso inconsapevolmente nutre in animo suo tanto orrore. E il gorilla, a sua volta, è l’icona più nota in questi anni dei bisogni indotti creati ad arte nella società industriale avanzata, studiata da Herbert Marcuse nella descrizione dell’uomo a una dimensione. Si tratta del bisogno del Crodino. Ovviamente, è un bisogno totalmente superfluo e inessenziale, che, nel capovolgimento demenziale dei valori umani, viene anticipato a qualsiasi altro bisogno primario, indispensabile, invece, per potere vivere o semplicemente sopravvivere nel quotidiano.
Menotti Lerro ha il grande merito di non scrivere neppure un solo rigo di riflessione filosofica o sociologica o psicologica, ma di muoversi sempre nell’ambito lieve e ventilato di un’allegra metafora del tutto fantasiosa, dal sapore così intensamente umano e popolare, da sapere conquistare e divertire, con le sue trovate di derivazione dal teatro popolare napoletano e specialmente di Eduardo De Filippo, anche il più diffidente o immusonito lettore.

Sandro Gros-Pietro

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