Prefazione

Mirella Berardino è un’artista in cui coabitano con pari dignità le due dimensioni dell’attrice e della drammaturga. Nel 2017, scritto a quattro mani con Corrado Pumilia, Berardino ha pubblicato Tradimenti; successivamente, nel 2018 è uscito Bloody Twenty-Seven. Gli esempi illustri, tratti dal passato, di cogestione della funzione di attore e di drammaturgo nello stesso artista decisamente non mancano, da William Shakespeare, a Molière, a Isabella Andreini per poi arrivare in tempi moderni a Tina ed Eduardo De Filippo, Dario Fo, Laura Curino e a molte al­tre scrittrici e attrici d’attualità, in particolare dagli anni Settanta dello scorso secolo a venire ai tempi odierni. La presenza delle donne nel teatro si è fatta sempre più significativa – sia nel ruolo di scrittrice sia in quello di attrice – e ha assunto uno spessore fondamentale nella contemporaneità. Al riguardo scrive la studiosa Laura Fortini, “mi è accaduto più e più volte di porre in evidenza quanto e come gli studi e le ricerche sulle scritture delle donne abbiano il loro momento fondativo negli anni Settanta del Novecento, tanto più quel periodo è stato particolarmente significativo in special modo per quanto riguarda il nesso donne e teatro, individuato da subito il teatro come il luogo in cui il corpo e la sua sessuazione non poteva eclissarsi”. L’osservazione critica della professoressa ro­mana si attanaglia perfettamente al percorso creativo di Mirella Berardino, la quale ha drammatizzato in una sola realtà di studio letterario e di espressione recitativa la sua unicità di esperienza creativa nella definizione lacaniana del nuovo termine di sessuazione. Lacan, infatti, sulla scia di Freud, sostituisce il tradizionale concetto di sesso, basato sul fatto anatomico del possesso o del non possesso del fallo, con il nuovo concetto del processo di evoluzione con cui ciascuno di noi ha fatto suoi o ha ripreso in modo personalizzato i condizionamenti anatomici di nascita, le pressioni d’ambiente e di famiglia, le evoluzioni della cultura, e le ulteriori numerose e indefinite situazioni di formazione del proprio personale modo di vivere l’eros.
Siamo tutte Elettra è un vivacissimo lavoro teatrale che segue un modello molto caro a Mirella Berardino, quello del chiasmo creativo o se si volesse disturbare Plutarco si potrebbe dire delle vite parallele, nel senso non già di fare un confronto tra il mondo greco e quello romano, ma di inanellare una serie di convergenze parallele date da vite di donne appartenenti ad ambienti diversi, in civiltà differenti, in tempi distanti fra loro, addirittura abitanti in altri continenti eppure in un qualche modo riconducibili a una matrice ideale comune. Non si fraintenda l’aggettivo ideale col sostantivo idealista. Mirella Berardino è tutt’altro che un’idealista, perché non vive affatto nel mondo iperuranico delle idee, ma è profondamente e irrimediabilmente radicata nella realtà del suo tempo. Ciò non le impedisce di esercitare quella meravigliosa attività dell’essere umano che consiste nel sapere sognare ad occhi aperti, sapere dilatare la realtà in una proiezione di prorompente fantasia, sapere moltiplicare in modo indefinito la finitezza restrittiva dei casi della vita e immaginare, con consapevole fantasia, le mille vite diverse che convivono nella nostra unica vita di persona che possiede le moltitudini nell’unità e che vive gli eteronimi nella sua identità definitoria.
Sappiamo dai manuali di psicologia che il complesso di Elettra è il corrispondente femminile del complesso di Edipo e consiste nel desiderio di possedere il padre, con i corollari di identificare nella madre un’antagonista e di provare l’invidia del pene, in quanto simbolo del potere maschile. Se ciò, in termini piuttosto grossolani, può costituire gli elementi caratteristici del complesso di Elettra, il processo di sessuazione con cui poi tali elementi vengono miscelati da ciascuna donna, è decisamente variabile e conduce a situazioni diversificate, tuttavia unificate nel comune alone di luminescenza che potremmo definire eros verso il padre, meravigliosamente metaforizzato da Mirella Berardino con la formula del titolo del libro, Siamo tutte Elettra. C’è ancora da considerare il fatto che l’eros è anch’esso un chiasmo creativo, in quanto è allo stesso tempo affetto, amore, desiderio, attrazione, libidine, possesso, passione, gelosia e, se vogliamo esagerare, è confinante con i suoi contrari di vendetta e odio. Ne deriva che la formula di eros verso il padre può al limite anche essere rappresentata dal suo contrario e trasformarsi in una tragedia vendicativa. Sotto tale profilo si capisce perché accanto alla dolcissima storia di liason tra la tenera e intelligentissima Ipazia e suo padre protettore e ammiratore Teone sia accostata la parallela convergente della storia truce di Beatrice Cenci con quell’orco di suo padre, il conte Francesco. La vicenda secentesca della brava poetessa e drammaturga, nonché religiosa, Juana Ines de La Cruz va considerata come un classico delle eroine amate dalle donne e come tale ha ricevuto l’omaggio di Dacia Maraini e di molte altre donne, ma in Mirella Berardino si distingue per il piglio di libertà e di autodeterminazione con cui è illustrata la sua affezione verso il padre delusa e umiliata dal genitore, che avrebbe voluto un maschio e che la responsabilizza della mancanza del pene. Splendido è il personaggio della pittrice Artemisia Gentileschi, figlia d’arte del pittore Orazio, padre che confonde la venerazione della figlia con l’inclinazione a sfruttarne il talento e a difendere il suo orgoglio di padre in un processo degradante per la figlia e disastroso per il di lei stupratore Agostino Tassi, mediocre pittore. Il Tassi, tuttavia aveva meditato la lezione del Caravaggio, ma ben superiore a lui diventa l’Artemisia che realizza la sua vendetta dipingendo il quadro che rappresenta Giuditta mentre con determinato cipiglio, aiutata dalla sua ancella, taglia la testa di Oloferne, che insidiava le sue grazie e teneva in assedio la sua gente. Nella tradizione delle eroine al femminile, Giuditta taglia la testa un po’ a tutti gli uomini che tentano di possedere la donna con violenze o ricatti, per cui alla domanda “Chi è Oloferne?”, giustamente Artemisia risponderà “Non ha importanza. Agostino, Orazio… Quello che importa è il taglio. La recisione della testa”. Nella stupenda pièce viene anche citato il quadro di Artemisia Susanna e i vecchioni, che a sua volta rappresenta una sottile vendetta artistica presasi dalla pittrice contro la stolta arroganza e violenza maschile dei due vecchioni che tentano di disonorare Susanna e di farla condannare alla lapidazione, mentre finiranno loro stessi puniti a morte per l’ingiuriosa libidine che li spinse a tramare contro la virtù di una donna tanto coraggiosa quanto onesta.
Tutte le formule della sessuazione lacaniana su cui è costruito l’atto unico dei quattro episodi differenti, tutti realmente accaduti, è riassunto in metafora dal primo episodio di Elettra, che è la madre di tut­te le donne innamorata del padre Agamennone, ucciso dalla madre Clitennestra in concorso con l’amante Egisto. A sua volta Elettra induce il fratello Oreste a vendicare il padre. Nella ricostruzione del mito, che per altro viene tramandato con differenti versioni, Mirella Berardino introduce con sapienza tutti gli elementi in gioco nel cosiddetto complesso di Elettra: la venerazione verso il padre, che rimane indifferente e che anzi rivolge le sue attenzioni ad Ifigenia; l’odio verso la madre che si rende mandataria e realizzatrice dell’omicidio del marito; l’invidia del potere consustanziato nel possesso del pene; la ribellione allo stato di sottomissione femminile e il coraggio di compiere lo strappo alle regole, cioè di attaccare il potere del maschio dominante, nel caso specifico di uccidere ovvero fare uccidere Egisto.

Sandro Gros-Pietro

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