La caratteristica principale del romanzo di Ugo Pupillo, Memorie di Camilla, consiste nel mescolare con naturalezza la commedia e la tragedia. Non solo, ma si aggiungano anche i disorientamenti tra l’ordinario e il paradossale, la virtù con il peccato, la generosità con la crudeltà, il piacere con il dolore e altre contraddizioni di estremi fra loro opposti. Il libro finisce per essere la rottura dei codici, l’elusione dei proverbi, la vanificazione dei precetti etici. L’umanità viene presentata in perenne contraddizione con sé stessa, a bamboleggiarsi in un equilibrio precario di ricerca assidua della necessità del superfluo. Eppure a sorreggere la spettacolosa avventura della vita c’è la vuotaggine satirica di quella formula illusoria, sospesa tra la speranza e l’accettazione fatalista, che recita andrà tutto bene. Non è certo una novità e Ugo Pupillo lo sa benissimo. È la satira a Leibniz e all’idiozia di “vivere nel migliore dei mondi possibili” che già Voltaire aveva deriso con il capolavoro di Candide, ovvero il ritratto dell’ottimismo. Voltaire, tuttavia, non era un pessimista, forse perché non aveva ancora potuto leggere né Leopardi né Nietzsche, però aveva assunto piena consapevolezza del trionfo del male sulla scena del mondo, col quale bisogna imparare a convivere, come lo si fa con le guerre, le disgrazie, le epidemie, la gotta e la suocera. Camilla è una socia in affari con il Candido di Voltaire: anche lei ama la vita, l’ama ad oltranza e nonostante tutto. Di conseguenza, partecipa con autenticità e trasporto di sentimenti alle vicende che furiosamente si susseguono. Fabrizio de André ci ha affascinato con il magico ritornello di Bocca di Rosa che “metteva l’amore sopra ogni cosa”: la meretrice Camilla fa il mestiere di portare amore a poco prezzo, lo mette dappertutto, come la cuoca il prezzemolo. Forse non è amore, ma un calesse, utile per tirare avanti, con un certo decoro, con un mi nimo di sogno, con un’illusione benefica, non avvelenata. Si al ternano sul palcoscenico una teoria inanellata di personaggi: il suicida Ezio, la vittima del fisco Gilberto, il giornalista Fabrizio Ve rona, il terrorista musulmano, l’addetto alla nettezza anale di re Vittorio Emanuele III, il mitomane Abramo, il neurologo Bonaventura direttore di orchestre feline, c’è pure Candido affetto da ablutomania che finirà per impiccarsi, ed Egidio, e Girolamo, e Renato. Come in Voltaire presso cui leggiamo un risvolto esotico di Candido in terra di turchi e pirati, qui leggeremo l’avventura in Nuova Zelanda di Pietro che incontrerà l’amico Duilio. L’avvocato Trantillo difenderà le muse dell’amore e finirà per portarsene una all’altare. Ci sono le storie di Fernando e di Raimondo: c’è il lato familiare di Camilla e c’è una lavatrice magica e onirica, che lava i panni sporchi, anzi lava anche il nonno, almeno in sogno, perché lo si vede fare capolino dall’oblò. Non mancherà una ricca eredità che farà rima con generosità.
Memorie di Camilla è un magnifico romanzo sia di intrattenimento sia di densità e di spessore, sorprendente per la facondia affabulatoria dell’autore e per le sue critiche al sistema sociale, in particolare all’azzardo con cui è amministrata la giustizia e alle disparità sociali che gravano come prigioni invisibili fra gli uomini. È una Comédie humaine alla Honoré de Balzac raccontata da una donna che, per il mestiere che svolge, tira giù i suoi conti principalmente nei confronti dell’universo maschile.

Sandro Gros-Pietro

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