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Autore: Antonella Kubler
Editore: Genesi Editrice
Formato: libro
Collana: Le Scommesse,
Pagine: 64
Pubblicazione: 2008
ISBN/EAN: 9788874141104
PREFAZIONE
Antonella Kubler si è inventata un genere poetico di tenace originalità, nell’essenzialità del ritmo e delle figurazioni sì prosciugati, ma per più efficacemente allora offrire il passaggio del discorso dal quotidiano e dal minimo dell’esperienza, delle considerazioni, dei commenti, delle situazioni che ogni giorno si incontrano, fino alla sentenza suprema, alla rivelazione sublime del senso del mondo e della vita. È un esercizio difficilissimo quanto esemplare; e l’allegoria dell’alambicco mi sembra sia adattissima per spiegare il progetto poetico di Antonella: “Ci vuole un alambicco / per passare / da amore ad amore, / per cambiare colore / e non perdere il mondo, / ripetere passaggi / d’anima, morire / di trasformazione”. L’inizio del testo sembra leggiero un poco, quasi svagato, giocoso, ma subito trapassa alla dizione fondamentale delle vicende dell’esistenza e delle mutazioni dell’anima e del mondo, fino a coglierne il significato, magari con il rischio di perdersi: sinteticamente, sono le sequenze del sentimento nella loro varietà, la trasformazione cosmica e storica del mondo, le ferite dell’anima, il rischio continuo degli accadimenti da affrontare nel passare del tempo. La conclusione del componimento ritorna a sembrare ironica, ma la sentenza conclusiva esprime tutta la verità del vivere e del pensare, cioè della poesia come rivelazione e comunicazione: “Ci vuole un alambicco, / per favore: / ma / la strozzatura / è il cuore”: appunto la strozzatura, il punto decisivo del “redde rationem” della condizione umana e delle cose, ed è una lezione fondamentalmente drammatica.
Penso, allora, in un altro testo, al modo antifrastico, che pure si trasfigura in rinnovamento fulmineamente moderno della ripetizione del sacrificio dell’ultima cena: “Sulla tovaglia gocce / di vino / o sangue, tracce / di pane / – o dio – / briciole che io / raccolgo / piano, il mio / resto quotidiano”. È quanto, nel mondo moderno, è possibile fare ancora, con emozione e con fiducia, nella memoria della prima celebrazione dell’offerta del sangue e del pane: la quotidianità si solleva fino alla ripetizione del sacro. Cito un testo che inizia con una visionarietà giocosa e stupefatta, per concludersi con un’ulteriore citazione del sacro (biblico): “Certe notti, / quando la luna / abbassa il dorso / oscilla la cruna, / dondola il mondo / gioca in rotondo / cerchio femmina /vagabondo. / Quando la luna / non perdona, / chi è cieco vede, / chi ruba dona”. In questo continuo stupore di fronte a miti, visioni, riflessioni, reinvenzioni e reinterpretazioni del sacro, altre riscritture saporosissime e avventurose Antonella propone, sempre tuttavia con il fremito acuto della moderna trasposizione della fiaba che finisce nel pericolo della perdita, nel fine che non sembra poter più proporre la letizia dopo le ansie, i dubbi, le attese inquiete fino alla serenità e all’amore. Penso alle due fiabe reinventate di Cenerentola (“Non le domandi se / è pronta la carrozza / e c’è la fata…”) e del bosco fra Biancaneve e Pollicino, non senza l’allusione di Arianna e del Labirinto (“Accompagna nel bosco il tuo pensiero / … / e quando dorme dentro le tue braccia / torna da sola, / cancella ogni traccia”). Ed ecco, allora, anche la citazione pascoliana per un’altra fiaba incantata e, insieme, inquietante e drammatica: “Ho indossato / – lo sapevi? – / l’abito stellato, / quello che la Chioccetta ha preparato / mentre dal pigolìo tirava il fiato” (e anche il “pigolìo” è un’allusione pascoliana).
Il fatto è che la poesia di Antonella è proprio l’opposto della scrittura minimale che è di moda: è sempre per antifrasi la rappresentazione del significato delle cose, fino all’attingimento del sublime e del sacro e alle citazioni più raffinate ed esemplari della letteratura, dei miti, della Bibbia, dei classici. Si legga, per ulteriore esempio, questo testo, che rinnova il viaggio nel mito pagano verso l’Averno o il regno dei morti, per compiere il quale bisogna avere con sé la focaccia di miele e papavero (nell’ambito moderno, il biscotto): “Faremo colazione / come le altre mattine. /Solo, / porta qualche biscotto / in tasca / per domani”. E, ancora, indico un ulteriore componimento che esprime, nell’estrema rapidità del discorso, la contrapposizione fra sogno e allegoria, fra slancio dell’anima ed esperienza della morte, in questo caso raffigurata dal fiore viola della malva: “Corro per volare. / Oltre la malva / in fiore, / oltre”. L’alambicco di Antonella è molto stretto, a ben poco, ma lascia passare il vero e il bello dall’una all’altra ampolla. È il segno del valore assolutamente necessario della sua poesia; e rende, conclusivamente, mirabile la sapienza complessiva delle scadenze musicali, fra endecasillabo e singola parola, a seconda della necessità dell’invenzione, della sentenza, della visione.
Giorgio Bárberi Squarotti
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