Prefazione

Il viaggio poetico di Livia Naccarato è marcato dal trasporto d’amore da lei rivolto alle persone, alla natura, ai luoghi natii, alle idee di progresso, di libertà, di giustizia, in una congenialità ispirata tra la tensione lirica e l’impegno civile. C’è nella sua poesia, dunque, una pienezza di intenti che deriva dall’inesausto desiderio di conoscenza del mondo e dalla disponibilità di mettersi in gioco, intellettualmente e affettivamente, per vivere con autenticità sia gli intrecci della vita sia l’elaborazione di un pensiero tanto concreto quanto teorico, cioè una prassi, di avvicinamento alla realtà e alle sue contraddizioni. L’insieme organico della sua poesia è rimasto, negli anni, fedele a sé stesso e incentrato sul proposito fondamentale di tracciare, attraverso la letteratura e la poesia in particolare, un itinerario d’amore, come globalmente è testimoniato dalla sua splendida raccolta di massima importanza, Cercando amore. Il di­scorso poetico di Livia Naccarato si sviluppa come una sorta di interpretazione dilatata della propria vita, cioè una specie di autobiografia aperta non solo all’illustrazione del proprio specifico, ma più ancora alla generalizzazione del suo io nella rete collettiva dei rapporti e nelle dinamiche storiche e sociali. Se si dovesse indicare un modello precedente di scrittrice con caratteristiche simili a quelle della poetessa di Aiello Calabro, verrebbe in mente come primo nome la poetessa alessandrina Sibilla Aleramo, anche lei così fortemente connotata dalla capacità di fare del proprio tessuto autobiografico un’esperienza generalizzata e un’indicazione di ricerca inesauribile di amore. In più si può ag­giungere che tra le due scrittrici c’è anche un’identità di im­pegno a difendere il ruolo della donna, nella piena consapevolezza che la realizzazione delle facoltà femminili è la chiave di volta per ottenere un progresso in termini di libertà, di giustizia e di progresso sociale per l’intera comunità umana.
Il titolo del libro è uno stimolante ossimoro. L’oscurità della bellezza è, infatti, nella tradizione del pensiero occidentale di matrice cristiana e, ancora prima, di matrice pagana e greco romana, una contraddizione nei termini, perché la bellezza nell’antichità classica è solare, apollinea, luminosa come Venere, mentre la bellezza della cultura cristiana è rappresentata dalla luce abbagliante della gratuità dell’amore. Si direbbe allora, che la formula dell’oscurità della bellezza racchiuda in sé qualcosa di dionisiaco, se non di infernale, cioè la caduta dal cielo dell’angelo Lucifero, che sprofonda nell’oscurità di una ribellione ma­ligna, ovverosia rivolta a fare trionfare il caos al posto del­l’ordine e dell’armonia. Invece, il concetto illustrato dalla nostra Poetessa è tutt’altra cosa, e sta ad indicare l’indeterminazione nebbiosa della conquista del bello, ma anche la necessità di non arrendersi mai nella ricerca, fino a continuarla oltre il confine della vita, nei silenzi sepolcrali di un’ideale continuazione dell’amore. L’oscurità di cui ci parla Naccarato è, dunque, sinonimo di enigma, ma non già di tenebra; è sinonimo di moltiplicazione dei modi e delle possibilità, ma non già trionfo del Male sul Bene, anzi, è esattamente l’opposto. È l’ansia che sorge incontenibile di fronte all’opera d’arte di incomparabile splendore, e che scatena uno struggimento interiore di profonda no­stalgia e tristezza, quasi la consapevolezza della caducità, della perdita inevitabile, e della morte incombente. Tuttavia, è anche la continuazione ad oltranza dell’amore, come è perfettamente illustrato dalla Poetessa nei versi che se­guono: “e la tua assenza dilaniava / estraniandomi da me stessa / e da te che non mi stavi accanto / in quell’ora di oscura bellezza / che improvvisamente si contrasse / lasciando cadere fiocco bruno / inesplicabile, severo / co­me un ammonimento, una profezia: / ‘Il tuo amore, donna / ti è accanto / anche se tu non puoi sfiorarlo / non temere ci sarà sempre / quando intensamente lo vorrai / per te sola lo vorrai / come in questa ora di oscura bellezza. / Allora la tua tristezza in riso si muterà / e tu all’ombra / della sua ombra / terra sarai / all’ombra del suo fiore / quando distesi i suoi petali / scudo le faranno i teneri lembi’”. Appare chiaro che l’oscura bellezza è un messaggio d’amore so­verchiante i ridotti confini della vita, proiettato in una di­mensione di enigma irrisolvibile per la ragione, un’Idea talmente bella da apparire un enigma o una follia, certo non comprensibile dalla ragione e per questo mo­tivo definita “oscura”. Vengono in mente le sensazioni di “bellezza” e di “condizione di grazia” descritte da Sibilla Aleramo nel suo romanzo autobiografico Una donna: “In cielo e in terra, un perenne passaggio. E tutto si sovrappone, si con­fonde, e una cosa sola, su tutto splende: la pace interiore, la mia sensazione costante d’essere nell’ordine, di potere in qualunque istante chiudere senza rimorso gli occhi per l’ultima volta. In pace con me stessa”. Anche in Sibilla Aleramo, come in Livia Naccarato, en­tram­be scrittrici po­liticamente impegnate a realizzare un ideale di so­cia­lismo libertario – anche se, nel caso di Aleramo, ci fu una prima fase di adesione al fascismo e d’amicizia personale con Mussolini – si manifesta con forza una componente spirituale capace di trascendere i limiti grezzi della materia, addirittura i confini della vita biologica, e di traguardare a una bella oscurità, cioè a un conforto dell’anima e dello spirito che rimane oscuro alle ragioni della ragione, per usare un’espressione che fu sì cara a Norberto Bobbio. La persona amata in vita dalla poetessa continua a essere una presenza assente accanto a lei e a trasmetterle una carica di gioia e di dolore. Lo sceneggiatore e regista Bruce Joel Rubin vinse nel 1990 l’Oscar per la sceneggiatura con il film Ghost-Fantasma, con protagonisti Patrick Swayze e Demi Moore. Si tratta di uno dei film più amati dal pubblico mondiale negli ultimi trent’anni di storia cinematografica planetaria, e racconta la vicenda, fantastica e visionaria, di un uomo morto prematuramente, ma che non abbandona di amare la sua compagna e a lei si manifesta in un modo tanto oscuro quanto carico di incommensurabile bellezza. Livia Naccarato racconta la stessa vicenda, occorsale nella sua vita personale, ma sostituisce la bellezza delle parole al fascino cinematografico delle immagini e della musica di accompagnamento. Eppure, questo amore “umano, troppo umano” che resiste ad oltranza al di là dei confini della vi­ta, non è un’invenzione hollywoodiana, perché già la mitologia classica trasmette questo mito d’amore soverchiante, che palpita misteriosamente al di là della sua scomparsa, come splendidamente ricostruisce la Poetessa presentando la vicenda dell’amore di Poseidone per una ninfa dei campi: “Ora la coltre dorata / è appena visibile / ritornato il nume al suo mare / la ninfa ai suoi campi. / Eppure dolcissima aura / spira dall’amoroso luogo / accarezzando le labbra / di chi l’ammira tremante / fermandolo in uno stato di magico incanto. / Tanto può la favola antica / pur mutila della sua intimità / a cui nessuno è mai giunto?”. Gran parte delle poesie di questo luminoso libro di Livia Naccarato sono dedicate alla rievocazione memoriale del suo amore prematuramente perduto alla vita, ma mantenutosi come assenza presente nel corso degli anni. E non è da credere che le ricordanze siano dedicate a un amore solo platonico e spirituale, ma al contrario sono pervase da armoniosa e delicata sensualità, che prende a simbolo “il tocco del seno” come acme dei sensi di entrambi i protagonisti, fusi in una dolcissima unione di intenti dello spirito e della carne, come leggiamo nei versi. L’invito all’amore mantiene la vibrazione dei sensi, anche nella visione della bellezza oscura, al di là della morte: “Chiudi gli occhi / e dormi, amore / al dolce dondolio del mio corpo. / Strappiamoci dalle radici della realtà / entriamo nel sogno / liberi e congiunti / nel delirio d’amore. / Andiamo per le azzurre piane / varchiamo i suoi confini / e di confini in confini ar­riviamo / arriviamo fin dove il mistero / rinserra le sue porte / per viverla tutta intera / la pura gioia”. Altri momenti d’amore sono rivissuti nel ricordo, come il primo bacio, la dolcezza dell’attesa, le passeggiate a Villa Borghese, le estasi di sogno ad occhi aperti nella contemplazione della Luna. Proprio la “casta diva”, cioè la Luna, è sicuramente – e leopardianamente – uno dei simboli onirici e ispirativi principali del mondo poetico di Livia Naccarato. Certamente, Livia Naccarato è tra le poetesse italiane del secondo Novecento e dei primi decenni del Duemila che più riccamente e con maggiore fantasia hanno cantato l’amore della donna rivolto al suo amato bene.
A coronamento del discorso poetico condotto dalla Poetessa, si deve sottolineare il suo amore per la Calabria, “sasso buttato in azzurre acque / impervio e pur dolcissimo / quando morente sole miela / le sue cime che ebbre / si lasciano andare”, “la bella Calabria / oggi offesa da troppi sanguigni mattoni / ma ancora capace di maturare sì dolci frutti / ancor regale nel suo aspetto / di dea marina / che s’erge sublime / dalle acque dei mari”. E connesso con il canto del suolo natio, s’elevano le ricordanze ai cari affetti familiari, prima di tutto alla madre, poi al padre e infine, con dolce strazio e profondissimo sentimento alla cara so­rella maggiore, perduta anch’ella anzitempo alla vita, ma richiamata a rivivere nell’incanto dei versi, come toccò a Euridice. Tutto Aiello Calabro rivive nel canto della sua celebre concittadina, che ne evoca gli angoli più suggestivi, i volti più noti, gli usi e i costumi semplici e gentili della gente del posto, come le festività natalizie o altre ricorrenze di gioia in comune. Non per ciò si può pensare che la poesia di Naccarato abbia un’anima locale, anche se è at­tenta a valorizzare il genius loci della sua terra, tuttavia la Poetessa tende a esemplificare la sua terra come simbolo rappresentativo della terra di tutti gli esseri umani, perché nella mente di Naccarato è sempre vigile quella vocazione al discorso dei diritti civili delle genti, l’invito all’impegno per fare progredire la pluralità più vasta delle forme di li­bertà, e a realizzare la giustizia sociale. Si compone così una pienezza di contenuti e di tematiche che rendono la poesia di Naccarato un viaggio perimetrale di rappresentazione del mondo contemporaneo.

Il grande fascino persuasivo del discorso poetico di Livia Naccarato si realizza nel messaggio d’amore che parte dall’esperienza personale e autobiografica della poetessa, ma che poi compie un lungo viaggio di attraversamento nelle condizioni reali della vita e che sbocca in un delta allargato di motivazioni e di contenuti attinenti l’intero mondo culturale della poetessa, i suoi affetti, i suoi studi, i suoi sogni, il suo alacre impegno di testimonianza del mondo, l’elaborazione ultimativa di un messaggio d’amore che poeticamente dura più del bronzo, oltre i confini stessi della vita.

Sandro Gros-Pietro

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