Prefazione

Maria Pagano ha il merito di avere scritto il più creativo omaggio a Virginia Woolf della recente storia della Poesia italiana. Non è poca cosa, se si tiene a mente che la scrittrice londinese rappresenta il Prometeo al femminile della liberazione del genio delle don­ne dall’ingombrante maschilismo non solo vittoriano, ma in genere esteso a tutta la cultura occidentale, sia a Est che a Ovest delle Colonne d’Ercole. Prometeo ha liberato gli uomini dalla soggezione agli Dei regalando loro il fuoco. Virginia Woolf ha liberato le donne dal­la soggezione verso gli uomini regalando all’altra me­tà del cielo il flusso di coscienza: cioè il continuo contatto con la loro intimità di pensiero e di sensuali­tà. Se proseguiamo nel gioco dei miti paralleli – come lo sono le vite di Plutarco – necessita dire che entrambi, Prometeo e Virginia, sono finiti tragicamente, se­condo un finale di partita che appare d’obbligo nella cultura occidentale per chi incarni la figura del redentore.
Virginia era una donna di una bellezza struggente: gli occhi dolcissimi, colmi di malinconia; le labbra carnose, i ca­pelli fluenti, le mani lunghe e affusolate, i piedi leggeri, sempre avvinta in abiti debordanti, qua­si pepli dell’antichità: emanava un’attrazione magnetica e i suoi pensieri, riflessioni, ar­go­men­tazioni e aforismi sono specchio di saggezza e di stupore. Non si contano le biografie di Virginia Woolf. Tra le più recenti c’è il libro Virginia e Vanessa di Susan Sellers – peraltro citata nelle poesie di Pagano – in cui ricostruisce la figura di Virginia a specchio con la ricapitolazione confessionale esposta in prima persona della sorella pittrice Vanessa.
Maria Pagano ha il merito di non avere confezionato il medaglione celebrativo dedicato all’antesignana della donna libera come si è formata nel ventunesimo secolo, però riferito alla scrittrice londinese vissuta a cavallo del diciannovesimo e ventesimo: ne ha fatto, invece, uno scandaglio nella sua stessa carne e mente di Poetessa salernitana di oggi. Se si legge il li­bro Le pietre di Virginia con voluta superficialità – ammesso e non concesso che ciò sia possibile – si ammira una figura femminile che è consustanziata nelle due scrittrici, Pagano e Woolf, in uno stesso personaggio eteronimo che vive in un tempo fluido, fatto di anticipazioni e di ritorni temporali all’interno della biografia come all’interno della bibliografia di Virginia, ma totalmente rivitalizzato e personalizzato dall’anima ricreatrice di Maria. Tale modello di epica poetica, se vogliamo fare i saccenti, non è poi una novità. Manzoni, per esempio nel suo Adelchi, ci racconta un’Ermengarda che è interpretazione manzoniana della vicenda umana della principessa longobarda figlia di Desiderio. La differenza sta nello scarto che esiste tra interpretazione e identificazione. Maria Pa­ga­no si identifica in Virginia Woolf e produce le poesie che Virginia non ha mai scritto, e che sono scritte con la mano e con la mente di Maria, identificata in Virginia.
Pagano dimostra di essere una perfetta conoscitrice delle vicende umane e del pensiero di Virginia – si vorrebbe dire dell’anima, se l’uso di questa parola è ancora consentita per indicare l’entità caratteriale indivisa della persona che la psicanalisi moderna non riconosce – fino al punto che diviene ella stessa Virginia. Ogni poeta scrive di sé con modi e atteggiamenti completamente diversi da come ne scriverebbe il biografo. L’autore dà per scontato tutto ciò che c’è da sa­pere di sé stesso: dov’è nato, cosa ha scritto, dove ha vis­suto, cosa ha fatto. Si dedica, in alternativa, ad esporre i frutti esteriori del pensiero e delle emozioni. Il biografo invece inizia il lavoro scandagliando le radici e minutamente illustra la formazione del tronco e dei rami prima di arrivare a esporre i frutti in opere dell’autore di cui redige la biografia. Quest’ultima è precisamente la trattazione biografica che Pagano as­solutamente non fa, perché il libro Le pietre di Virginia è l’identificazione della poetessa Maria Pagano nel personaggio umano di Virginia Woolf: nella mente e nella sensualità, nelle categorie ideali e nelle emozioni della poetessa londinese.
Le tensioni lesbiche, la relazione intrattenuta con Vita Sackeville-West o con Ethel Smith, i rapporti contraddittori di affascinamento e di noia verso il mon­do degli intellettuali, in primo piano il padre e la madre, la gioiosa malinconia riservata alla Cornovaglia e alla casa di Saint Ives, la protezione e l’abitudine intercorrente col marito scrittore Leonard e la casa editrice Hoghart Press, i sogni del fabianesimo di Leonard, la grande epopea del loro salotto del giovedì e il Bloomsbury set che influenzò l’intera cultura angloamericana del tempo, la passione per il giornalismo e la tenera affezione collaborativa con il fratello Toby, i guasti e le turbe procurate dai fratellastri che invadono la sua sfera di intimità, la catena delle morti de­vastanti, precisamente della madre, della sorella Va­nessa, del padre, del fratello, lo sviluppo del “vizio assurdo”, una sorta di cupio dissolvi totalmente laico, cioè una tentazione calamitante verso l’abisso e il dissolvimento di sé, culminata con l’auto-annegamento con le pietre in tasca nel fiume Ouse: è tutto presente nel magnifico libro di Poesia di Maria Pagano ed è tutto dato come vissuto in prima persona da questa sorta di alter ego che si muove in simbiosi nella pagina poetica con la scrittrice della Gita al faro.
Maria Pagano ha il grande merito di avere perfettamente assimilato il metodo di scrittura di Virginia Woolf del flusso di coscienza, consistente nell’automatica espressione dei pensieri così come aggallano nella mente dell’autore, prima di ordinarli organicamente in frasi logicamente concatenate. Ne deriva che nelle poesie di Le pietre di Virginia il lettore rintraccia e conosce non già la stilistica delle corrispondenze e degli affiancamenti della letteratura successiva all’avere passato al vaglio la creatività dello scrittore, ben­sì i collegamenti della mente e le sinapsi cerebrali che avvengono nell’atto stesso di formazione del pensiero creativo, prima ancora che esso assuma la forma di progetto letterario. Si legga la mirabile esplosione lavica di pensieri riferiti alla Hogart Press, la poesia 13. Grembo fecondo ha la Hogart Press, tenendo a mente che in quella casa editrice Virginia pubblica La stanza di Jacob, La Signora Dalloway e Gita al faro, e che vi pubblica il marito Leonard, nonché i più insigni rappresentanti del Bloomsbury group, tra i quali lo stesso Thomas Stearns Eliot.
Il tempo scorre avanti e indietro nelle cento poesie di Maria Pagano, proprio come accade nella vita di Virginia Woolf, che vive immersa in una dimensione di presente e passato fusi insieme, che si dilatano come un alone opalescente in­torno alla sua esperienza terrena, per cui ogni momento potrebbe essere tutti i momenti e viceversa. Cruciale nella conduzione della sua depressione diviene la tragedia di violenza della guerra e la figura ossessiva di Hitler, persecutore degli ebrei – Leonard è ebreo – e guerrafondaio crudele e d’ambizioni smisurate. Una catena di morti stringe d’assedio la mente e il cuore di Virginia. Muore in guerra anche l’amato nipote, figlio della sorella Va­nes­sa. La casa di Londra viene distrutta dai bombardamenti tedeschi. Il 28 marzo 1941, all’indomani del­la vittoria finale inglese nella Battaglia di Inghilterra contro il Führer, quando una nuova primavera inizia a sbocciare in campagna, Virginia si riempie le tasche di pietre, dopo avere scritto un’ultima lettera a Leonard e si ritira per sempre dalla scena del mondo. La bellissima poesia 30. The End rappresenta mirabilmente l’a­sciutto congedo della scrittrice: “Nel 1941 mi sono concessa la libertà di morire / nel fiume Ouse / a Monk House / il giorno 28 marzo” e in modo altrettanto asciutto ed enigmatico si muove la conclusione “Ho vissuto / poi / ho smesso / luce e buio / pentita / inorridita? / Convinta / mi spiace. / Restare era diventato faticoso. / Nessun avviso / una lettera / la più triste e vera”.
L’omaggio di Maria Pagano offerto a Virginia Wolf, fra le più colte e tormentate scrittrici della prima metà del Novecento, realizza in pieno la predizione di Marcel Proust nei confronti dei lettori: “Ognuno è convinto di leggere sé stesso dentro i libri”.

Sandro Gros-Pietro

Anno Edizione

Autore

Collana

Recensioni

Non ci sono ancora recensioni.

Scrivi per primo la recensione per “Le pietre di Virginia”

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati