Prefazione

Il valore della Poesia di Antonello Catani risiede principalmente negli sconfinati territori della memoria che viene mantenuta in costante richiamo nei versi. Poesia della mente come raffigurazione quasi visiva di testimonianze relative a epoche, fatti, costumi, credenze riguardanti il passato remoto, quello prossimo, per poi arrivare a spingersi fino al presente. La visione di Catani è certamente raffigurazione della scena del mondo, in senso dantesco, come ricostruzione surreale di verità storiche documentate. Siamo lontani dalla nozione della poesia lirica e siamo all’opposto della poesia intimistica o del diario di bordo di una quotidianità ordinaria, ai confini con la sciatteria tipica dei beat. Siamo, invece, nell’eco della storia dell’umanità, dall’antichità per giungere fino ai tempi moderni, nel gioco vichiano dei corsi e dei ricorsi, in una visione nietzschiana dell’eterno ritorno. Se pronunciamo dei nomi per indicare una collocazione nelle Pleiadi della Poesia, le costellazioni di apparentamento potrebbero essere Eliot e Pound, con lontani antesignani in Laforgue, Lautréamont e Rimbaud. C’è un’eco di malia del celebrato maledettismo, di quell’intenzione volutamente contraddittoria di tagliare i ponti e di fare terra bruciata con la tradizione, nello stesso tempo richiamandola come un’ombra sempre incombente sulla pa­gina, agitandola come spirito mai assente e rinserrato nei precordi, da Baudelaire a venire a oggi.
In chiave di metafora sono rappresentate le vicende della vita e a specchio le pagine della letteratura. Si legga una delle più belle poesie della raccolta, Il vento, che è una vasta e poliforme allegoria delle forze, delle situazioni, degli appetiti dello “spirto vital” che ha attraversato la storia della nostra letteratura e che viene dato per disatteso e inesistente nel perfetto incipit in negativo, “Non c’è una vela oggi / sul mare / non un’imbarcazione. / Nessuno si azzar­da a uscire per la pesca, / a causa della burrasca”. Alla fine della strofa, quella sola parola – “burrasca” – rovescia in tragedia l’assenza degli elementi con cui s’apre la visione, destinata a evolversi in dramma con l’anticipazione di una situazione di forte pericolo della vita in quel “si azzarda”, che è già avanguardia rivelatrice del cataclisma. E più in avanti troviamo la simbologia antropomorfa della natura, con “le coltri di nubi” aizzanti “le lenzuola che svolazzano a schiera” a conferma delle baudelairiane correspondances tra le forme della natura e il destino degli uomini.
L’ironia è una delle corde di Catani. È un’ironia che taglia la pietra inesorabilmente e lentamente, come un raggio laser che non lascia scampo, si legga I buchi neri, che servono a fare una proporzione in diminuzione tra la scienza e la poesia, “Raccontata così, quella storia di mondi / che scompaiono nel nulla / gli appariva un po’ rozza e non molto dissimile / dalla futilità di certi poeti”.
Circa il ricorso alla memoria della letteratura basti ricordare, tra le tante citazioni possibili, il richiamo all’amor de lonh, di Jaufré Rudel principe di Blaia, poeta e trovatore, che si innamora di Melisenda, principessa di Tripoli, da lontano, senza averla mai vista e per lei esalerà l’ultimo respiro, tra le braccia dell’amata, accorsa a conoscere cotanto prestigioso ammiratore che fece dell’amore una leggenda letteraria citata ormai da nove secoli. Nella Poesia di Catani c’è anche l’epica o più esattamente una visione onirica dell’epopea antica sotto forma di apocrifi: per esempio, le visioni di Cornelio Gallo sulle sponde del Mar Rosso. Ci sono anche personaggi della mitologia, ovviamente trasportati in una realtà moderna e reinterpretati senza l’edulcorazione delle forme eroiche, per cui abbiamo una Penelope in versione ventesimo secolo che descrive il suo Giorno pariniano, iniziato sulla tazza del water e concluso ad attendere l’arrivo dell’amante a notte fonda, dopo una serata di libagioni e sensualità. Anche l’arrivo delle anatre ci dice che qualcosa è cambiato rispetto alle oche del Campidoglio e che i tempi non sono più quelli o forse, proprio il contrario. I tempi sono sempre gli stessi, ma il modo di raccontare ha cambiato il tono del discorso, se non proprio la sostanza, che era sempre stata nascosta sottotraccia.
Ci sarebbe molto da dire circa la forma del linguaggio poetico adottato. Esemplari, a questo proposito, le ricorrenti inclusioni, infiltrazioni, immissioni di greco, inglese o francese nella lingua che fu di Dante e che richiamano l’espressione plurima della parola poetica, trasversale rispetto alle letterature nazionali, come se i significanti della poe­sia avessero universalità di significato, come insegnava Ezra Pound, nelle sue commistioni linguistiche.
Infine, di Catani non va sottaciuta la vigile attenzione musicale che si risolve in omaggi ai grandi compositori e in una strategia di attenzione continua all’espressione della musica, l’arte umana più libera e coprente dell’intero patrimonio di manifestazioni emotive e cerebrali dell’uomo, mirabilmente contenute dentro lo spartito del pentagramma. E proprio per tale motivo che una poesia in particolare della raccolta – Il tema dominante – finisce per costituirne come il prisma in miniatura. Allo stesso modo delle scene riflesse nello specchio di certe pitture fiamminghe, quel “pentagramma fatto da linee / della memoria… / cercando nel pentagramma / il tema dominante” anticipa la pluralità tematica e di livelli dell’intera raccolta: “Linea dopo linea / si affollano le stagioni in processioni…”.
La poesia di Antonello Catani è un viaggio di esplorazione e di stupore all’interno dello sconfinato mondo della cultura umana, travasato e rinnovato nella temperie dei secoli e nella diversità dei popoli, eppure mirabilmente ricondotto al linguaggio lineare dei poeti e al pentagramma ispessito dei musicisti, per una rappresentazione in categorie che tende ad essere ricapitolazione per simboli dell’omnia.

Sandro Gros-Pietro

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