Nota 

Il testo qui fedelmente trascritto è contenuto in alcuni rotoli di un materiale simile alla pergamena recentemente scoperti in Tibet in uno dei rifugi scavati prima della Grande Catastrofe sotto le pendici granitiche del Monte Kaylash, ‘Il prezioso gioiello delle nevi’. Poiché nel luogo non sono stati rivenuti resti umani, tutto induce a pensare che il suo o i suoi abitatori lo abbandonarono in un non meglio identificato periodo di tempo.
Sull’autore della narrazione le opinioni risultano divergenti. Secondo alcuni, costui avrebbe liberamente rielaborato alcune venerabili e antichissime tradizioni riguardanti dei cosiddetti “esseri angelici”, ma secondo altri egli stesso sarebbe stato uno di questi ultimi. Le contaminazioni con tali tradizioni sono indiscutibili, ma alcune differenze sono comunque significative, in particolare quella che liquida senza esitazione la nozione di una presunta ‘caduta’ di costoro dai cieli.
In ogni caso, mentre anche il nostro testo allude palesemente a degli ‘esseri angelici’, questi sembrano più misteriosi e sfuggenti delle analoghe figure dei Cherubini, rappresentati nelle suddette tradizioni come guardiani del trono di Dio e del favoloso giardino dell’Eden, da alcuni chiamato anche Dilmun. L’alone che circonda i protagonisti della narrazione sembra piuttosto ricordare un’altra schiera di entità analoghe, i Serafini, anch’esse menzionate nelle suddette tradizioni e rappresentate come avvolte da fiamme perpetue. Ma forse la rassomiglianza più attendibile, anche se non meno misteriosa, rimane quella con gli enigmatici Anunnaki delle non meno antiche cronache di Sumeria, anch’essi raffigurati come portatori di civiltà da mondi lontani.
Sia come si sia, la ragionevole opinione dell’Editore è che il testo alluda a una specie in parte simile e in parte ormai distaccatasi dalle sue origini e le cui vicende già in tempi remoti parevano troppo ardite e inquietanti per essere accettate e liberamente diffuse fra il popolo.

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