NELL’ONDA DEI SOGNI

Nel libro di poesia Il treno della relatività di Antonio D’Elia un intimismo delicato pervade i versi, come a tenere lontano l’angoscia e a scacciare la pesantezza dei ricordi: è un dire interiore sommesso, ma illuminato da improvvise impennate di sogni che infiammano, sospinti da un inesauribile desiderio di vita: “Il nostro destino si sposta / come il vento; lascia passare / gli affanni, perché mettano alla prova la vita”.
È la lucida coscienza che il rovello della vita porta costantemente al sogno, grazie al tenace lavoro della scrittura “Accordi di parole per equilibrare l’anima…”.
È un distillato di pensieri, di frammenti di vita, dove vorticano ricordi di amori e speranze: la delicatezza di un sentire interiore che si espande in un dire puntiglioso, misurato, pacato per registrare l’incanto mescolato alle ombre della notte e di sottili inquietudini.
Ma che sarebbe la vita se non è inquietudine e sogno? Una patina opaca di avvenimenti risaputi, ma qui irrompe l’ardore e l’impulso della terra cara dell’autore, quel Salento affascinante e misterioso che fa da sostrato e humus del suo dire in punta di piedi, nella speranza di liberarsi dei “Pesanti fardelli!
Un irrefrenabile desiderio d’amore “Un caldo di festa / avvolge il mondo / nella gioia”, nella visione di una realtà che sembra lontana, fuori dal tempo, ma dove il gioco e l’incanto della vita si ripetono beffardi, profondamente umani.
Gronda di umanità la parola del poeta, con tutte le sue infiammate e le sue delusioni, con l’eterna aspirazione all’amore che regala un senso alla vita: “Al risveglio pensare alla vita / che serba i miei ottant’anni / significa avere un grande cuore / per contenere tutti i battiti d’amore”.
La luce che irrompe come forza salvifica, “Basta la luce del cielo, / perché la vita riprenda / a vivere”, è una costante sferzata di energia che stempera l’inquietudine.
Ma è l’irrequietezza, il tormento segreto del poeta che cattura e sospinge lontano “Oggi l’anima mia è irrequieta / come il mare…”: la poesia nasce dal travaglio, dallo sconforto, dalle privazione in un desiderio incessante di riaffacciarsi alla luce, di uscire dal tormento dell’abisso, della cancellazione, dalla malvagità dei soprusi eternamente in agguato.
È quell’anelito costante all’infinito, per allontanarsi dalle bassezze terrene: “Non ha forma la luce / che unisce la terra al cielo, / … Spazia nell’immensità / come il vento, / amica dell’infinito”.
A volte trapelano rimpianti, ben misurati nella speranza di una vita di pace in campagna “m’abbandono alla quiete / che m’accompagna / alla mia nostalgia”.
In altri momenti si ha come l’impressione che il poeta reciti una parte, ma è subito pronto a uscire di scena “in silenzio attendo con dolore / la fine del mio spettacolo”, ma quando tutto sembrava travolto spuntano le confessioni a cuore aperto “per una vita vissuta nei sogni”.
Forse il sogno è la dimensione più centrale in queste poesie, scritte in punta di piedi, come degli appunti di giornata, fuscelli fioriti da donare a chi ha il cuore per ascoltare: scattano subito effetti emotivi, distillati con parole levigate e pure, come in un fluire sotterraneo di pensieri concatenati che spesso rimandano ai ricordi, a un vissuto carico di colori e luci.
La dolcezza è un elemento centrale della poesia di Antonio D’Elia: “Torni alla luce, / pensiero / e invadi la mia mente”: a volte testi lapidari, scintille esplosive di immagini, sensazioni di speranze.
Nella capacità salvifica della poesia sta l’assunto di tutto un lavoro di scavo nel profondo per far emergere alla luce le incrostazioni del vissuto e l’onda dei ricordi, ma è nella dichiarazione esplicita di poetica che si delinea spontaneamente l’assunto del poeta “Le parole dal foglio / entrano nell’anima. / Si mescolano. / Fioriscono e si moltiplicano. / Con sonorità escono / e si fissano sul foglio. / È poesia.”
Nel lirismo controllato affiorano ricordi dell’infanzia e della terra d’origine, il cuore del Salento: nel gioco delle parole si sciolgono e si realizzano tutte le emozioni, la scrittura rappresenta il viatico del sogno e delle sublimazioni delle inquietudini: “Ma io attendo la parola / che sgorga dal cuore sincero”.
La poesia da distillato dei sogni si trasforma in spinta oracolare, luogo di attese, tensione verso l’infinito: a volte frasi lapidarie, ma cariche di spiritualità e di disarmante candore in un mondo che si preannuncia sempre più ostile: nell’espulsione del dolore e della sofferenza “La poesia matura / i sogni della vita / col desiderio d’infinito / e coi versi scava / nell’anima.”
All’interno dell’incanto, gli inevitabili contrasti della realtà circostante: “Imparo l’alfabeto dell’amore, / ma l’odio, l’invidia e l’orgoglio / lo rendono inconoscibile, / s’oppongono e lo disperdono”.
Un costante desiderio di luce e di sogno, seppure nella caducità delle cose: quell’anelito all’infinito che è spinta incessante in nuove direzioni, verso una pace celeste, una serenità interiore conquistata col crogiolo delle parole scandite come litania dell’incanto, come spinta irrefrenabile all’assoluto dell’eternità.
Una parola misurata, costruita con puntiglio, che non deborda mai dal rigo, come un soffio di vento, un palpito segreto del respiro che declina in silenzio le parole da cesellare per regalarci l’incanto di un trepido sogno.

Mario Rondi

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