Prefazione

Il Basso Medioevo, con l’organizzazione civile ed economica a base comunale e con la concentrazione della classe dirigente intorno alla corte del locale castello, è al centro di quest’ultimo bellissimo libro di poesia di Rossano Onano. Va subito detto che si tratta di una poesia di epica popolare, quella cioè che in altre situazioni si chiama anche la letteratura del cantastorie, in una sorta di contaminazione tra la cultura alta e il folclore, perché nacque principalmente come tradizione orale, ma ben presto acquisì la dignità di letteratura scritta. Anzi, la letteratura scritta italiana ha i suoi primi illustri natali un poco all’ombra dei giganti della letteratura provenzale e un poco per partenogenesi spontanea come affinamento delle fonti dialettali autoctone che raccontavano storie di amore divino e storie di amore profano, così si formarono le due grandi strade dell’ispirazione letteraria italiana: quella chiesastica, principalmente umbra, con Francesco e Jacopone da Todi e quella mondana, di ispirazione siciliana, con Giacomo da Lentini, Cielo d’Alcamo, Pier delle Vigne e altri. Ma ciò che maggiormente ci interessa è la collocazione storica e secolare di questo “favellare per castella” che va posizionata intorno ai quasi tre secoli fondamentali che vanno dall’inizio del secondo millennio alla morte di Federico II di Svevia. In tale periodo splendevano nel cielo empireo del potere due grandi soli: la Chiesa e il Sacro Romano Impero. Ed erano entrambe due autorità supreme e lontane dalla popolazione locale, cioè due entità superiori ma assenti, e rappresentate nei luoghi della vita quotidiana dal Castello e dal Monastero, con tutte le combinazioni possibili, perché talvolta il Castellano stava con il Papa e talvolta l’Abate stava con l’Imperatore, anche se più sovente si verificava il contrario, ma era sempre un’alleanza anfibologica e mutevole, oscillante da una parte e dall’altra. Molti storici hanno già più volte elaborato un parallelo tra il Basso Medioevo e la situazione europea contemporanea. A quel tempo c’erano i due poteri centrali, sostanzialmente uniti in modo saldo fra loro, sia pure con un’alleanza sempre ritrattata (l’imperatore del Sacro Romano Impero, potere di emanazione dinastica; e il Papa della Chiesa Romana Cattolica, potere elettivo di ispirazione divina), e tale situazione di equilibrio centrale consolidato si contrapponeva alla condizione di fluidità paludosa e impastoiata dei poteri locali, estremamente liquidi e sempre guerreggianti fra loro. Così oggi in Europa, al potere centrale della Confederazione europea, saldamente consolidato su un consenso sempre “discusso e ridiscusso”, si contrappongono le realtà locali in continua ebollizione ribelle e di sbandamento da una parte o dall’altra. I cittadini di oggi avvertono come lontanissimo e quasi inesistente il potere centrale europeo, mentre sono pienamente sottoposti ai chiari di luna contrastanti dei poteri locali, che si guerreggiano aspramente fra loro, dichiarando di schierarsi un po’ a favore e un po’ contrari all’immobilismo del potere centrale. Questa intuizione di attualità metaforica delle due epoche storiche così distanti e così simili fra loro – ci passa in mezzo un intero millennio in cui prima si formarono, poi si affermarono e quindi si affievolirono le monarchie nazionali e la formazione degli stati europei – è già una delle indicazioni più felici e meglio pertinenti della creatività poetica di Rossano Onano in termini nietzschiani dell’eterno ritorno del sempre uguale. Ma c’è ben di più: c’è il gossip asfissiante e morboso del XXI secolo che nell’XI secolo aveva lo stesso riscontro nella curiosità divorante e assetata di notizie e di sangue riguardante ciò che facevano i castellani, e gli abati, e le streghe, e i giovani amanti, e le monache viziose, e i crudeli capitani di ventura, le tenebrose violenze carnali, le sdolcinatezze amorose, gli efferati delitti sui fanciulli, tutto era oggetto di notizia per cantastorie, da cui nasceva una voce folcloristica, successivamente elaborata in mito, canonizzata nelle forme aforistiche del proverbio, elaborata nella densità culturale del poema cavalleresco, magari in secoli successivi. C’è forse una differenza tra la stucchevolissima e tragica storia di lenzuola e di morte violenta della principessa Diana uccisa nel 1997, e l’altrettanto stucchevolissima storia di lenzuola della castellana Ivalda, amata e trucidata da Ezzelino intorno al 1250? Già vedere questa attinenza e conversione di rette parallele è il pregio di quell’occhio poetico che a Rossano Onano certo non manca. Ma si aggiunga il tocco veramente superlativo di ricorrere all’ottonario, il verso che sorge quasi dal nulla esattamente circa ottocento anni or sono con Giacomo da Lentini e che poi attraversa, appiccicoso e sonorizzante, tutti i settecento anni della letteratura italiana per arrivare fino alla splendida poesia Ultima preghiera di Giorgio Caproni. L’ottonario è un verso memorabile e memorizzabile in modo unico, che può rivestire la più alta tradizione metafisica e chiesastica come in Alessandro Manzoni in La resurrezione degli Inni Sacri, ma che si presta anche gioiosamente alle ballate e alle canzoni, celebre il caso di Lorenzo de’ Medici, nel Trionfo di Bacco e Arianna. Anche Jacopone da Todi, Gabriello Chiabrera, Pietro Metastasio, Giuseppe Parini, Vincenzo Monti, Giosue Carducci, Giovanni Pascoli hanno consegnato alla letteratura italiana capolavori poetici scritti in ottonari. In tempi moderni, l’anima sostanzialmente popolare dell’ottonario, armonico nelle rime, nell’accentazione, nella dizione breve, ha confinato questo verso nella produzione per l’infanzia con esempi eccellenti in Gianni Rodari in Il libro degli errori e nell’attore e scrittore Sergio Tofano, con Il Signor Bonaventura, sul Corriere dei Piccoli.
Rossano Onano ha il grande merito di riprendere con destrezza e modernità, avvalendosi di un linguaggio poetico di concezione e di espressività contemporanea, una grande tradizione della letteratura italiana, che servì quasi sempre a raccontare un’epica minore, di mezze figure, di eroi confinanti più con il vizio che con la virtù, un’umanità sognatrice, ma anche faccendiera, con vocazione da esteta e cultrice della bellezza e dell’eros, ma anche con cadute nel pacchiano per non dire nel truculento. Ciò che è un merito di grande importanza in Rossano Onano è la scrittura di queste radiose e luminose pagine di poesia, così pregne di vita e di stupore divertito per l’insulsaggine umana, sovente drammatica se non tragica, dando così a vedere che la buona e l’alta poesia può veramente essere ancora impiegata per raccontare la storia degli uomini, per scrivere l’epica, per trasformare in sogno metaforico e metamorfico la gretta e livida realtà minimalista del quotidiano. Il canto dei castelli che ci consegna Onano sembra nascere, per la modernità del linguaggio, dall’invenzione rap dei cantastorie moderni, ma porta dentro di sé una memoria millenaria di avventura della vita comune degli uomini, sempre sottoposta al libero arbitrio dei signori che si prendevano gioco dei popolani, tra il Castello e il Monastero, e che tuttora infinocchiano gli inermi cittadini del ventunesimo secolo, avvelenati dalle immagini dei televisori e dei computer.

Sandro Gros-Pietro

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