PREFAZIONE

Non è un azzardo ritenere che Walter Chiappelli, maestro di musica ed erudito poeta, nello scegliere il titolo Contemplando il sole, abbia evocato, forse nella mente e forse nel cuore, La città del Sole del frate filosofo Tommaso Campanella. Non è il caso di cercare troppe somiglianze, ma è certo che Campanella poneva a governatore della Città un Principe sacerdote, esperto in erudizione, teoria e pratica, nonché creatività e saggezza. Inoltre, tale Principe era a sua volta assistito da ulteriori tre Principi: il primo cultore di saggezza; il secondo difensore della Città in pace e in guerra e il terzo difensore e diffusore d’Amore. Una simile impostazione di pensiero, benché lontana nel tempo di ben quattro secoli dal Nostro, non è altrettanto lontana nell’impostazione teorica. Il culto del Sole è centrale in Chiappelli come in Campanella -si pensi al Tempio del Sole– astro che esprime la vita e la creatività. Non si dovrà, tuttavia, insistere nel cercare affinità, perché Cam­panella è realmente troppo lontano nel tempo da Chiappelli, il quale non è per nulla impantanato nelle polemiche filosofiche tra Platone, Democrito, Aristotele, nella condanna delle tre religioni monoteiste e nel porre sullo stesso piano Gesù, Maometto, Iside, Mosè, e fermiamoci qui.
Il mondo poetico di Chiappelli è sempre acceso da una luce che splende di creatività e di amore, al punto che trasmette a chiunque un sentimento struggente di stupore e di meraviglia esterrefatta per la fantasia magica con cui il mondo appare animato. Tutto ciò che vediamo è luminoso, ed è in animazione continua. Per il Poeta anche le cose sono animate, perché le acque si muovono, i venti respirano, le piogge scrosciano, le pietre rotolano, i pianeti camminano per vastità siderali, le comete rigano il cielo come strali luminosi. Pervade nell’opera di Chiappelli un sentimento di stupore che assomiglia alla meraviglia suscitata nello spettatore da un prestigiatore che compia le magie. Tutto il mondo è magico, agli occhi del Poeta. Tuttavia, non c’è alcun trucco e neppure alcun espediente d’inganno, perché la magia sta nelle cose più semplici e più immediate, che chiunque può ammirare stupefatto: il pulcino che nasce dall’uovo e il bimbo che viene al mondo uscendo dal ventre materno, sono atti miracolosi di cui non si riesce a carpire il segreto materico delle vicende primarie e concausali, grazie alle quali gli elementi fondamentali dell’universo hanno creato l’immenso spettacolo in movimento della scena del mondo.
L’aggettivo che più sovente ricorre nei testi di Chiappelli è mistico. Infatti, solo per citare qualche caso, troviamo la mistica letizia e anche la mistica vendemmia e ancora più rivelatrice troveremo la mistica visione. Vi è una parentela non solo di somiglianza lessicale tra il mistico e il mirifico, che troviamo nelle “genti creanti mirifici fatti”: è il fenomeno della contemplazione che è tipica della visione mistica, ma che è suscitata anche dall’onesto lavoro delle genti che creano “mirifici fatti”, da contemplare per la loro grandezza, in un matrimonio del cielo e della terra. C’è un criterio di confine ultimativo della ragione, la quale non riesce a fare i conti con lo splendore inenarrabile dell’intero universo, e si arrende davanti all’impossibilità di dare una spiegazione ultimativa. Tuttavia, non si arrende affatto l’anima, la quale di fronte al mistero, anziché rimanere impaurita, atterrita e sconvolta, si accende di una luce intensissima che si chia­ma Amore: l’anima, per il Poeta, è attratta dal mistero come se avesse riconosciuto un legame d’amore. L’unica differenza risiede nel fatto che non si tratta di un amore sensuale, cioè, disciplinato e alimentato dal piacere dei sensi. Al contrario si tratta di un amore mistico. Si tratta, cioè, di quella mistica visione capace di consentire a ciascuno di noi il superamento ideale dei confini della ragione e di trovarsi illuminati dalla luce d’amore, che diviene pura sapienza, adesione e speranza.
Tutto ciò avviene nella scontata accettazione che la vita trova un limite invalicabile segnato dalla morte: anche se sarebbe desiderabile portare la vita “avanti, avanti e avanti”, ciò non avverrà, perché il corpo decade in un procedimento entropico che è inarrestabile. L’amore è rappresentato da una rosa che possiede le spine: la rosa trasmette gioia e le spine creano il dolore. La rosa è il bene e le spine sono il male. Cioè, le spine sono il Dolore ungarettiano cui nessun essere vivente può sfuggire. Pertanto, il discorso poetico di Chiappelli, da un’impostazione sostanzialmente metafisica, traguarda verso un orizzonte di ritorno etico e anche politico: diviene inno verso la pace, diviene misericordia verso chi soffre, condanna della violenza dei prepotenti, senso civico di comunanza, fratellanza verso le genti. La contemplazione del sole comporta, dunque, un viaggio bidimensionale continuo: si procede in direzione di Dio e si incontra inevitabilmente l’umanità intera, con il suo splendore di grazia e di creatività artistica, ma anche con le sue miserie, la violenza e la pervicace volontà di diffondere il male. Tutto ciò rappresenta il mistero, che avviene alla luce del sole e che lascia stupefatti, come il pulcino che esce dall’uovo e il bimbo che nasce dalla donna.

Sandro Gros-Pietro

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Ottobre

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