12,00 €
Autore: Natino Lucente
Editore: Genesi Editrice
Formato: libro
Collana: I Gherigli,
Pagine: 80
Pubblicazione: 2011
ISBN/EAN: 9788874142767
PREFAZIONE
Il canto di un sosia, che dà il titolo alle poesie in questo volume raccolte, ma che è anche il titolo della poesia che la stessa raccolta apre, potrebbe far credere che il dramma del poeta Lucente sia la negazione del poeta, quindi la negazione di sé come poeta,
… io solo somiglio
e recito al meglio la parte
ma sarebbe questo solo errore grossolano di chi la poesia non legge nel suo percorso profondo di formazione. Altra è la negazione di Lucente, come chiaramente possiamo leggere fra i versi della poesia intitolata Altre quartine
frasi private di un senso compiuto
parole senza nesso fra di loro,
forse era meglio se restava muto,
il silenzio era più degno di alloro…
E ben l’aveva capito, e altrimenti non poteva essere, il critico letterario Antonio Piromalli il quale, nella prefazione della raccolta di poesie del Lucente con titolo Omotetie, scrive “… egli esprime a ragione fastidio per le raccolte poetiche così chiamate solo perché scritte in versi. In realtà in tale raccolte dominano gli elementi negativi quali: la farneticazione che non ha nulla a che vedere con la libertà espressiva tecnica e letteraria… il manierismo che imita qualsiasi forma amplificandola in modo barocco; il libertinaggio espressivo… la mancanza di incisività… il fenomeno ridicolo del ‘minimalismo’ per cui tutto è ridotto…. a enunciazione ‘de minimis’”.
Ma nulla farnetica nei versi di Natino Lucente e lontanissimo da lui è qualsiasi manierismo o costruzione barocca. Il suo poetare, netto e spesso crudo, come può essere solo il poetare di chi vive sull’orlo della scrittura la percezione del vivere, attraversa l’ultimo decennio dell’ultimo secolo del secondo millennio per approdare nel primo decennio del terzo millennio nella matura saggezza dell’uomo che ha la coscienza del vissuto e l’attesa del non vissuto. Il vissuto e il non vissuto che il Veterano ci rappresenta nella “… percezione della nostra inutile storia…”, e i suoi versi ci inducono a riflettere sul vuoto apatico da cui si affacciano gli uomini nel volgere lo sguardo verso il tramonto. È per questo che ho voluto definire la poesia di Lucente anche poesia “cruda”, in quanto egli è poeta del racconto reale e non solo delle cose percepite ma anche delle cose emozionali e immaginifiche. L’esito della sua poesia va cercata nel suo carattere difficile, complesso e a volte impermeabile, in cui si cela l’esistenza mimica del verso che imita solo sé stesso nella circolarità di un procedimento che proprio attraverso la affermazione della poesia e la negazione di ciò che comunemente viene definita “non poesia” (quindi inesistente come poesia e pertanto informità d’arte), trova l’insito concetto di bellezza e di perfezione (o ricerca di bellezza e di perfezione) che l’idea di Arte racchiude in sé e che è rintracciabile nei versi di tutte le raccolte di Natino Lucente.
Ma nei versi di Lucente non è rintracciabile solo la ricerca di bellezza e perfezione, a questa si aggiunge la circolarità delle parole e quindi del cerchio umano che va a chiudersi. Ma non basta ancora. Infatti i suoi versi si proiettano fin dall’inizio in direzioni che appaiono opposte. Già questa prerogativa era stata sottolineata nella seconda edizione del suo primo lavoro Cassetto, nella cui apertura di introduzione Sandro Gros-Pietro enunciava “Cassetto è una coraggiosa dichiarazione di personalità poetica attraverso lo spettacolo di stalattiti e di stalagmiti…”, individuando perfettamente fin dal principio la doppia direzionalità della poetica di Lucente: l’alto e il basso. L’alto e il basso che nel suo poetare si scambiano posizione semplicemente alternando i punti di osservazione. Così a volte è facile perdere l’orientamento del suo viaggiare su onde inquiete in cui il mare diviene cielo e il cielo diviene mare, e non per riflesso, ma per consistenza. E lui, poeta che vorrebbe abitare nel luogo in cui:
… le ubbie del sapere e l’astrazione
non più faranno gli uomini soffrire”,
soffre la condizione di chi vede ancora non chiaro l’alternarsi fra ciò che è stato e ciò che non sarà più.
Lucente in questa sua ultima raccolta Il canto di un sosia ci racconta la realtà del tempo che è stato, del tempo che verrà e in mezzo c’è il tempo dell’ascolto di nuove-vecchie sensazioni che elargiscono emozioni, come nella splendida poesia Eden, dove l’uomo-poeta allenta, come egli stesso afferma, per un attimo la ragione e scrive, come messaggero dell’eterno sentimento, un piccolo poema d’amore che ogni donna vorrebbe sentirsi cantare. I versi
… in questo stesso arcano mi rispecchio
penso di somigliarti ed ho paura…
sono versi che mi riconducono verso altri suoi versi che appaiono sulla copertina de Gli stinti colori del tempo
Ho evitato il pensiero dell’onda
che oscilla, dell’altalena leggera,
del sincrono pendolo
che il tempo scandisce crudele.
Il tempo, tema caro a Lucente, diviene spazio dove lui colloca le sue silloge e parallelamente diviene domanda attraverso i simboli che la vita stessa racchiude in sé. La percezione del tempo, come inteso dal poeta, la si può rintracciare nei versi della sua precedente raccolta, intitolata Dilazioni, dove nella introduzione, curata da S. Gros-Pietro, si legge ad apertura: “Si ha l’impressione che il tempo sia sospeso…”, ma questa impressione si può rintracciare anche in altre opere di Lucente, quali Sezioni e Quiescenza. Ma è la sospensione del tempo a venire che il poeta ci racconta in Il canto di un sosia, mentre il tempo presente e passato diviene sospensione stessa dello scorrere verso tutto ciò che popola i canti della speranza che accompagnano:
questo sole che desta
rimpianti di nebbia e di neve
è come una vita che implode
che cerca la quiete del buio.
E il poetare di Lucente è un continuo viaggiare su spiagge affollate o deserte, in mezzo a viandanti che navigano verso l’ultima avventura. Ma egli, come Demiurgo riesce a trovare certezze perfino nelle parole del quotidiano poetare:
… L’incanto o la tristezza della pioggia
solo io li creo e ciò basta ed avanza.
Il canto di un sosia è il binario composto dall’intelligenza acuta e dall’ironia forbita del poeta. Binario che determina senza difficoltà la traccia del tema profondo che esprime e sottolinea sentimenti a volte contrapposti, che sono suscitati dalla solitudine che pare libera di cadere ma che, improvvisamente e prontamente riesce ad aprire il paracadute del ricordo, della speranza, del sentimento, pur rimanendo illesa la difficoltà di rintracciare i particolari di una vita che non sarà più:
… Noi siamo adesso, l’oggi ci appartiene
… Precari attori della nostra vita…
Il disagio del viaggio ci riporta sempre nelle incertezze, ma le emozioni che i versi di Lucente ci sanno regalare somigliano ad iconografie sulle quali le parole scrivono poesia.
Patrizia Altomare
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