PREFAZIONE

La scrittura di Mino De Blasio si arricchisce ancora di Altre decafavole e una pièce.
Sono racconti di varia misura in cui la magia del simbolo tenta la trasfigurazione del reale nell’i­deale, le “brutture” del quotidiano nella catarsi del sogno.
I motivi ispiratori nascono dalle sinestesie del senso, saltano gli steccati del creato, si tuffano nelle acque lustrali del sacrificio e dell’amore.
Emergono i valori dell’affetto familiare, del legame fraterno e della riconoscenza sincera.
La solidarietà spunta inaspettata sui campi di guerra; la vita ritorna dall’ombra come soffio di vita; l’amore si fa telepatia nell’ora del pericolo.
C’è, nello scrittore, come altrove dice Bárberi Squarotti “lirismo e passione morale”, c’è il bisogno di comunicare segni di verità, di liberare l’uomo dalle catene del dolore e della perversità.
L’intervento della “favola”, scrive Sandro Gros-Pietro, “riscatta dall’ingiustizia”, dona figura, celebra l’amore come strumento “universale” che fuga “ogni forma” di male “tra gli esseri umani”.
Nel Bambino kamikaze, l’amicizia prevale sul­l’odio e salva la vita: “Hassam decise in quel momen­to che nessuna bomba sarebbe scoppiata per mano sua né quel giorno né mai”.
Pure le belve feroci s’inchinano al gesto del cuore: “il grosso animale gli fece le fusa (…) e non pensò più di attaccare le pecore”.
La malvagità spesso varca i confini d’ogni decenza e piomba come fionda sui destini del mondo.
Tragico resta nella memoria di tutti l’“11 set­tembre”; eppure l’amore riscatta l’amore “al di là d’ogni cattiveria”: “Alice”, come “l’angelo” buono pren­de il piccolo fra le braccia e sfida il vuoto.
Il bene si veste d’ogni colore, non conosce le barriere del pregiudizio, interviene nella gioia e nel dolore: “l’onda si era fatta grossa (…), per Simone non c’era che la disperazione della fine, quando “due amici neri (…) a prezzo della loro vita” giunsero “in soccorso”.
Drammatico fu l’incidente: stroncate le gambe, sfasciata l’auto di lusso, perduta ogni ragione di vita. Ma il bimbo vince l’oscuro rifugio e, nel padre, ripor­ta un raggio di sole: “sarò io le tue gambe e ti porterò dovunque vorrai”.
I piromani girano fra le piante d’antica memo­ria, se ne accorge il bimbo che torna da scuola: non può permettere che il “bosco” scompaia nel fuoco, “per quei brutti”.
Fischia la sirena, gli alberi gorgheggiano di gioia e rifioriscono più belli, nutriti dai raggi celesti.
Presso la banca si spara, Rocco stramazza col­pito, l’urlo si ferma sul curvo ginocchio: “questo è mio fratello”, non posso fuggire.
Più spesso di quanto si pensi il dolore purifica i nostri cuori e ci spinge a gesti di toccante solidarietà: nel “ghetto di Varsavia” sta scritta una pagina in tal senso del tutto particolare.
“Mosè”, di stirpe ebraica, alla notizia della morte del soldato tedesco che l’aveva salvato, dice ai suoi genitori, rimasti vecchi e soli: “Non vi abbando­neremo; sarete la nostra famiglia”.
Nessuno più dell’orfano sogna l’estinto: “il bimbo (…) avvertì sulla fronte un bacio affettuoso”. Corre dal padre, nel fondo della notte, e sussurra: “È mamma che ti manda questa carezza”.
Dice il vecchio Virgilio, nell’antico poema, che “omnia vincit amor”. Tutto vince l’amore che nasce dal cuore: Rosa temeva per la partenza di Marco, lo sentiva in pericolo lontano da sé.
Un mattino, sul far del giorno, spinta da un tra­gico presentimento, lo sveglia di soprassalto: fuggi, esci, c’è pericolo.
Marco, a malavoglia, lascia con gli amici la camerata. Subito, un gran boato sprofonda nel baratro la caserma: tutto è distrutto, ma lui e gli amici sono salvi.
L’amore si fa telepatia, nasce dalla poesia del sentimento, “non può ingannare” mai.
C’è, nella scrittura di Mino De Blasio, la capa­cità di catturare il lettore con la maestria del giocolie­re festivo.
Godono, sia il bimbo, sia l’adulto, perché la favola rimbocca, per l’uno e per l’altro, le coperte del sonno e risveglia il sogno della fantasia.
Nel messaggio, c’è denuncia del male ed ansia di bene, come fonte perenne di vita.
Vibrano i registri del linguaggio, si curvano al metro del bimbo e sfidano l’orgoglio del sapere.
Nella favola di questo scrittore, precisa Sandro Gros-Pietro, “traslato e sublimato (…) non risultano mai artefatti ed astrusi ma si porgono ai lettori trami­te il lieve ed appassionato linguaggio della sensibilità e dei sentimenti”.

Armando Santinato

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