PREFAZIONE

Tutto il Novecento italiano è stato attraversato da un fervido vocativo rivolto dai poeti alla loro madre. Iniziò Guido Gozzano, ai primi del secolo, con la sua Laus matris, solenne lode rivolta alla propria genitrice, ma attraversata da un’impareggiabile luce affettuosa di ironia (Ho un biasimo solo, dal quale / saprai la mia gioia di Vita. / Perché non m’hai fatto immortale?). In fatto di tragica solennità, nessuno ha pareggiato il celeberrimo Ungaretti di La madre, uscita nel 1930, e poi raccolta nel Sentimento del tempo del 1945: “In ginocchio, decisa, / sarai una statua davanti all’Eterno”. Ungaretti ha dato un’espressione di folgorante prepotenza al sentimento di essere madre, immaginando che la donna, che in terra abbia partorito un figlio, assunta in cielo non si spogli della maternità, ma si inginocchi davanti all’Eterno per chiedere grazia dei peccati commessi dal figlio e non si riprenda dalla prostrazione se non quando abbia ricevuto il segno del perdono divino concesso al figlio. Ungaretti arriva ad una concezione a tale punto per eccesso dell’amore materno da apparire sacrilega, perché giunge a fare premio rispetto all’amore verso Dio, infatti la donna manifesta la precedenza del suo amore per la creatura terrena rispetto all’amore che essa nutre per il padre celeste. Tuttavia, si sa che, in materia di femminino, il poeta cristiano-cattolico tutto concede alla donna, in quando nel ventre di lei si incarna il Cristo. Per i cristiani, pertanto, l’utero della donna è l’autentica grotta di Betlemme, da cui tutto nasce e in cui tutto si pasce, onde l’amore materno non è sacrilego neppure se precede l’amore verso dio, enigma di cui Ungaretti garantisce la soluzione ermetica.
Con più ragionato sentimento espositivo e con soluzioni di dolce racconto in prosa, intervallato da intersezioni liriche di intenso sentimento emotivo, Mino De Blasio muove da questo assunto di centralità suprema della figura della donna-madre, collocata nel mondo degli uomini. Sarebbe un errore pensare al mito della Grande Madre, perché non vi è nulla né di pagano né di mitologico nel racconto di De Blasio, il quale, invece, ha una visione profondamente cristiana dell’amore. L’amore, per De Blasio, è il sentimento di suprema manifestazione della gioia di vivere che si realizza nel procurare, a propria volta, la gioia di vivere nella persona amata. La mamma del poeta, pagina dopo pagina, realizza esattamente questo sentimento, che è l’essenza mondana e civile della buona novella dell’amore cristiano e non certo di quello pagano: vivere con gioia la propria vita, sempre con il sorriso disegnato sul volto, perché si è raggiunta la certezza di vivere solo per dare vita a chi noi amiamo. Nel caso luminoso della madre del poeta, ella ama il suo sposo, i suoi figli, i suoi nipoti. E vive nella gioia di procurare loro la gioia di vivere. Il lettore potrà vedere che le pagine vocative di De Blasio sono in realtà evocative di un memoriale familiare e più precisamente esse descrivono e ripercorrono per breve tappe la luminosa e laboriosa vita terrena della mamma del poeta, maestra, sposa, madre e nonna. Tuttavia, per quanto si è detto prima, queste pagine acquistano il valore esemplare di illustrazione di un’etica civile e religiosa: parlando di sua madre, il poeta ci ricostruisce un modello esemplare di donna e di sposa della nostra civiltà moderna e contemporanea. Un modello di cui abbiamo bisogno che si mantenga non solo la memoria, ma sempre si rinnovi l’esercizio e se ne riproponga l’esempio da seguire.

Sandro Gros-Pietro

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