PREFAZIONE

Mino De Blasio resta fedele al manifesto di poetica che egli stesso ha compilato con Il vivere lirico, apparso nel 2001, e che in quella data avevamo già commentato come volontà del poeta di proiettare la vita e i suoi meccanismi di prosaicità quotidiana nella dimensione del sogno della poesia, attraverso gli ideali incorruttibili della bellezza e dell’eterna durabilità. La discrasia che inevitabilmente si viene a determinare tra l’episodicità deperibile e franante della materia umana e l’essenza eterea delle idealità poetiche crea nel poeta quello stato d’animo di fervente tensione che riempie di desiderio, di progetti, di animosità, di speranze, di promesse e di attese ogni pagina di poesia, che a sua volta è una tessera rappresentativa del lungo diario dei giorni, ed è parte della scia luminosa del viaggio di avanzamento del poeta dentro l’esperienza della vita, che diviene anche e mirabilmente esperienza di letteratura scritta.
La questione endemica nell’esperienza terrena di Mino De Blasio è il dolore, esprimibile sia nei termini ungarettiani di profonda riflessione sul prezzo della morte dei propri cari (e amici e maestri di vita) da scontare trovando il disperato coraggio di continuare a vivere nella lucida accettazione della perdita irredimibile sia nei termini eroici e romantici del patimento fisico che umilia la plasticità statuaria del corpo con un’offesa cieca e irrazionale – ossia la malattia, che diviene il supplizio della prigione da cui non si sfugge e che deve essere scontata come fece Silvio Pellico, con l’indomita determinazione di investirla di un significato rivelativo ed esemplare della capacità di resistenza e di valore di tutte le virtù umane. La rassegnazione, in De Blasio, non è mai cedimento, ma è contemplazione lucida dell’eroe che prende coscienza dei guasti che ha già subito, delle offese che gli ha recato il tempo e la sventura, sempre facendo coincidere la poesia con la vita: “È stanco / il mio verso. / Non ha più avuto / la forza / d’estate / d’intonare / le stesse cadenze / tristi / di sofferenza”. Ma come succede invariabilmente nei poemi epici, ecco che usato il riposo per curarsi le ferite, l’eroe si rianima e si riaccende in lui la speranza, l’attesa, l’impegno verso il futuro: “Volo via / sempre / negli spazi della mente, / nei labirinti del cuore. / E pure ferito nel corpo / ancora / sto meglio di altre volte. / Non mi spaventa / il turismo coatto della salute / e la città delle due Torri / e l’Emilia / saranno un po’ / l’oggetto dei miei occhi / e il respiro della mia anima”. Bologna è la città dove il poeta affronta il lungo calvario della malattia e dove sostiene la sua epica lotta contro il male.
La poesia di Mino De Blasio è continua testimonianza di fede, fino al punto da rendersi quasi forma di preghiera, colloquio con il superiore interlocutore che sta al di sopra dell’uomo ovvero che si colloca come orientamento supremo di tutte le attese umane. Appartengono a questo filone anche la splendida poesia Nel cielo dedicata alla figura di Papa Giovanni Paolo II, di cui il nostro non trascura di sottolineare l’impegno altrettanto eroico profuso nell’affrontare il dolore fisico delle tante malattie sopportate da Wojtyla: “E conservavi sempre / quel sorriso accattivante / e quella dolcezza mai doma / neppure / di fronte alla sofferenza”.
La donna ha sempre rivestito una particolare importanza nel mondo del poeta De Blasio, portato a vedere in lei il simbolo per antonomasia della grazia, della comprensione del prossimo e della gentilezza in generale, oltre che la scontata metafora di fecondità della vita nel processo di gestazione di cui la donna è protagonista. “La sensibilità / è qualità / tipicamente femminile” arriva a scrivere nei suoi versi il nostro, che non potrà certo passare per misogino, ma esattamente al contrario si presenta come grande estimatore delle virtù muliebri, sotto tutti i punti di vista, nessuno escluso.
La poesia di Mino De Blasio si snoda attraverso un rosario di composizioni che assumono naturalmente l’ordine cronologico degli eventi, nei quali si specchiano sia i momenti privati sia i tragici eventi collettivi che hanno segnato in modo indelebile la storia contemporanea della nostra civiltà, in un intreccio di vicende personali e interpersonali che costituiscono il vivido tessuto di cui la pagina si alimenta, per poi orientarsi, grazie alla sicurezza dell’autore, a un riflessione sistematica che diviene sempre professione di fede e di limpida attesa del futuro, nella convinzione che alla fine trionfa la buona volontà dell’uomo giusto e paziente, capace di costruire il sogno del suo domani con la costanza dei valori e con la bontà del cuore.

Sandro Gros-Pietro

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