Una poetessa amica di Dio: Elena Bartone

Questa nuova raccolta poetica di Elena Bartone è riuscita e per i contenuti e per la lingua, il modo come viene messo in versi il Vangelo, che di per sé è già alta e profonda poesia, poesia d’amore, non certo astratta. L’Autrice, come provano pure le sue precedenti opere, è una poetessa di segno cristiano, religioso che ci fa assaporare la bellezza, il profumo, l’aroma della spiritualità e della grazia divina, e non per nulla in una sua poesia si consegna totalmente a Dio, visto come «l’amico / che cammina accanto / che sussurra vita / […] / se la lampada della speranza / tace, si affievolisce, / poi si spegne». Orbene ogni componimento della raccolta porta come epigrafe un versetto, un pensiero della «Lieta novella» e quindi ecco i nomi di Giovanni, Matteo, Luca, Giovanni.
A me pare che questa limpida e sentita poesia religiosa e umana della Bartone si configura pure, almeno in certi componimenti, come una esortazione rivolta agli uomini a seguire gli insegnamenti di Cristo, e nel contempo ne son fatti vedere i benefici di quegli insegnamenti, comandamenti; benefici ovviamente sulla natura umana che si allontana da Dio. Tutto viene detto con immagini chiare, linde che colpiscono il lettore, immergendolo in straordinarie atmosfere che emanano profumo di amore, di bellezza, di pace interiore. Leggendo i versi però talvolta appaiono «visi spauriti, / persi tra il dubbio / e un tocco di divinità, / membra che attendono / una voce, un sussulto di vita, / unguento e salvezza / alle umane perdizioni. / Abbiate fede!». La poesia di questa raccolta si dispiega su due piani che poi si intrecciano a vicenda: quello umano, la condizione umana vacillante e alterna e la bellezza, la potenza vitale e quindi benefica dello spirito divino. Perciò per questo leggiamo versi non sofisticati e oscuri ma immediati, diretti, che si snodano in fluide sequenze caratterizzate da diversi atmosfere e timbri che da più lati mostrano ciò che opera il signore sull’uomo, ed ecco che partendo da Giovanni 1,9 che parla della venuta nel mondo di una luce vera, quella che illumina ogni uomo, scorrono versi come quelli che ora cito: «La Tua luce Porta di Dio, / soglia di pigmenti / d’aurorale sostanza, / danza profumata di fragole». In sostanza la Bartone fa poesia sulla poesia: «E da lassù la Sua Parola / per i semplici, gli umili, / i più soli»; «Quante volte, Signore, // cammini accanto / e noi non Ti riconosciamo, / non udiamo i respiri / che alitano di cielo, / gli sguardi che si posano leggeri / sui vissuti che sanno di pesche / acerbe, rosari che balbettano / sillabe trafugate a diluvi / di terrena erranza». L’ermeneutica, l’interpretazione della Bartone si basa in modo esclusivo sui testi sacri antichi, come la Bibbia, e per essere più esatti guarda all’Antico e Nuovo Testamento, specie al Nuovo e come si può constatare non c’è mai alcun riferimento a quelli che sono i regolamenti, le norme, le interpretazioni ecclesiastiche dovute e divulgate dai sacerdoti. Lo si vede chiaramente che ciò che conta soprattutto per Elena Bartone è la lingua, il linguaggio della buona novella, che è poi il linguaggio che da un punto di vista letterario è poetico e non certo narrativo e neppure «pragmatico» ma che è misterico e che rivela qualcosa che va al di là della ragione umana e quindi bisogna percepirlo un tal linguaggio per fede e grazia. Il linguaggio del Divino è quello di Cristo, quello con cui parla e comunica ai quattro evangelisti: «Salvaci Signore, siamo perduti» (Mt. 8,23-27); «Ciò che esce dall’uo­mo è quello che rende impuro l’uomo» (Mc. 7,14-23), per esempio. Per poter capire meglio questa poesia è da tener presente il linguaggio e i due piani – di cui già si diceva prima – sui quali si svolge la poesia appunto: il divino e quello caduco, vano, pieno di inganni: la natura umana «debole lucerna esposta ai sussulti / del vento», ed è qui che i versi registrano «tenebre profonde», errori che portano l’essere, l’uomo ad essere un cieco viandante che va alla ricerca di «cose caduche e vane». La precisione e la forza del linguaggio dice la condizione umana e quella dell’anima, per esempio, «falciata dal delirio», l’anima che «vive nell’arsura / inseguendo un luccichio, / una parvenza di solarità» ma basta un «alito di gratitudine, / un sussulto d’amore» per cui si aprono le «porte / alla Misericordia divina». Altro aspetto fondamentale della presente silloge poetica è la varietà tematica e linguistica che si scioglie in toni esortatori in alcuni casi, in altri registra delle cadute quando ci si allontana dalla parola e dalla luce divina (vedi «A volte, tra mulinelli». In altri componimenti viene detto che il Signore è «ciò che non passa», è il «vento / che solleva la gioia / nei giorni uggiosi / di malinconia». Sto abbondando nelle citazioni per far vedere che fisionomia ha questa poesia della Bartone che è ben diversa da quella di altri poeti religiosi: è tutta chiara, non presenta immagini, parole difficili ma tutto è trasparente e naturale e questa «amica di Dio» dice tutto ciò che avverte nel suo animo e lo comunica al lettore. Un’opera, questa della poetessa calabrese, che va accolta positivamente e che ci fa sentire tutta la poesia raccolta nel pensiero biblico che alimenta a sua volta quello dell’Autrice e a tal riguardo potrei fare molte citazioni. Ancora da sottolineare il ritmo narrativo ben scandito che accompagna la condizione umana e l’altra luminosa che è inondata dalla luce divina, entram­be rappresentate da metafore e immagini ben azzeccate e fortemente icastiche. Ho messo solo in evidenza alcuni tratti fondamentali di questa silloge per la quale Elena Bartone mi pare una poetessa che si differenzia tantissimo da altri scrittori e poeti cattolici, religiosi per la chiarezza del suo linguaggio, per la sua immediatezza e per aver saputo cogliere con la massima naturalezza, e trasmetterla l’imperitura poesia della «Buona novella», senza ricorrere a metafore, a immagini e a versi chiusi e di difficile comprensione.

Carmine Chiodo

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Gennaio

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