Prefazione

In questo libro Armando Santinato sceglie un percorso nuovo e sicuramente originale: allineare in una rassegna poetica scrittori, poeti, vecchi compagni di collegio, religiosi, persone entrate o passate nella sua vita, che gli hanno lasciato comunque un segno.
Trattasi di ben 49 personaggi per un totale di 64 liriche. Per gli scrittori, in calce alla poesia che viene loro dedicata, si cita la loro opera, ritenuta più significativa, mentre, a fianco al titolo della lirica, vengono riportati, a mo’ di epigrafe, versi o stralci dei loro scritti.
Per gli altri personaggi viene precisato – sempre a fondo pagina di ogni componimento – chi sono ed il rapporto di vita intrattenuto con l’Autore.
La particolarità dell’opera sta nell’aver tratto spun­to e ispirazione dalla personalità e dagli scritti dei personaggi scelti per arrivare a fare poesia.
Poesia che non restringe il suo ambito ai temi letterari o di vita dei personaggi in rassegna ma, attraverso quel filtro, sottopone al lettore tutta la gamma di sentimenti e di emozioni dell’Autore.
Egli si fa amorevolmente portare per mano dai 49 personaggi per percorrere i sentieri della poesia e raggiungere l’apice oppure è egli stesso ad accompagnare quelle persone a lui care per sublimarne gli scritti o la vita con il linguaggio superiore della poesia.
La lettura del testo dimostrerà che entrambe le figurazioni sono valide. Nel 2010 Santinato ha pubblicato Trattato lirico di cocente gelosia; a distanza di quattro anni ecco un altro Trattato lirico, questa volta di “cocente nostalgia”.
Non si fa fatica a trovare una continuità fra le due sillogi, che sembrano segnare le due fondamentali età della vita del Poeta, quella della giovinezza e quella dell’inoltrata maturità. Pur scritte entrambe in quest’ultima, esse intendono ripercorrere i momenti focosi e ruggenti della giovinezza per acquietarsi in un sentimento languido e crepuscolare proprio dell’età avanzata, quale la nostalgia.
Le due opere citate possono giustamente definirsi autobiografiche ma la loro universalità sta nel fatto che quelle due età appartengono alla vita di tutti gli uomini e i sentimenti che in esse maturano sono tipici della giovinezza e dell’età avanzata di tutti noi. Quella che rimane invariata nei due momenti di vita del nostro Autore è l’intensità di quei sentimenti; infatti sia la gelosia che la nostalgia sono cocenti.
Giustamente si dice che lo spirito non invecchia e infatti Santinato, che ha superato da tempo l’età giovanile, compone versi sia di gelosia che di nostalgia in modo cocente.
Egli, sia come uomo sia come poeta, vive i suoi sentimenti con l’ardore della passione riuscendo pur tuttavia a esprimerli con delicato lirismo.
Anche la forza delle passioni viene stemperata dalla dolcezza del verso sicché tutto il dionisiaco che è nell’uomo va a finire nel suo opposto, che è l’apollineo della poesia. Persino la durezza della passione trova la sua soluzione catartica nella poesia.
Il Poeta, rivolgendosi alla protagonista di questo “Trattato”, così si esprime: “Nostalgia / che porti voci dolenti / volgi lo stanco percorso del volo / là dove gli occhi si fanno ridenti”, in Nostalgia.
In questi versi si stabilisce il collegamento tra i momenti ridenti e quelli dolenti rispetto alle gioie ed alla felicità vissute.
Ci sono sentimenti che sono autentici, cioè sorgono spontanei, come moto primario, altri che non potrebbero esistere senza un fatto, una situazione che li ha preceduti.
È il caso della nostalgia, che è sempre nostalgia di qualcosa e sempre di qualcosa di bello, di piacevole, di amato.
Delle cose negative rimane solo il ricordo, non la nostalgia. In Santinato gli antefatti della sua nostalgia sono principalmente: le gioie d’amore, la vita familiare, la laguna veneta, gli anni di studio.
A farla da leone è l’amore, cantato con un’infinità di sfumature, da quelle più sensuali: “Ben riconosco / la turgida forma dell’acino / come i tuoi capezzoli”, in Vendemmia e “Eri bella e formosa / tra le braccia del vento”, in Autunno, a quelle tinte di natura: “E un timido raggio / colpisce l’arco del tuo cuore / ove dolce si posa il labbro della bianca luna”, in Magia veneziana e “Appuntamento alla rotonda sul mare / dove i sentimenti si cullavano / all’ombra del crepuscolo”, in Un momento, a quelle di puro stilnovista “Donna / dagli umani rapita / nel sonno di una distrazione divina”, in Possiedo la tua assenza.
Lo schiocco del merlo è una confessione sui suoi ricordi familiari: “Mio padre … Non lo vidi mai più / sparito fra l’onde d’un mare lontano – Sola / rimase mia madre”, che trova come suo epilogo la sorella nostalgia dell’ultimo verso.
Quanto sia legato il nostro Poeta alla natia laguna veneta e a Venezia è detto in sei liriche da accenti nostalgici, toccanti, prima fra tutte l’ormai famosa La mia laguna, già presente in Tentazioni liriche e Trattato lirico di cocente gelosia, nella quale basta il primo verso a imprimere di nostalgia l’intero testo (Non tornerò mai più…).
In Poesia e mistica riaffiorano i ricordi di studio, e la nostalgia si fa pianto “Tempi lontani / è scomparso il collegio / tra i calcinacci neppure un foglio di poesia” e con il pianto “solo tanta malinconia che si fa preghiera”.
I ricordi consolano l’anima ma spesso la rattristano; è per questo che Armando Santinato, rivolgendosi a tanto celebrato Amore, gli vieta di parlare d’amore: “Amore / perché mi parli / d’amore // Divieto a chi vive / di cocente nostalgia // Non resta che la palpebra socchiusa / sulla panchina dei sogni”, in Viso dolce di pallor roseo.
In quasi tutti i componimenti della raccolta il Poeta suole rivolgersi ad un qualcuno, come le persone che hanno alimentato la sua nostalgia.
In una lirica, Viandante, si trova invece un altro soggetto: viandante, nel quale sembra riconoscersi l’intera umanità. Il viandante infatti è quella figura che rende subito l’idea del transeunte della vita, del pellegrino cristianamente inteso, come colui che arriva sulla terra per visitarla, viverne e poi andare, colui che erra apparentemente senza una meta ma, in realtà, con un prefissato punto di arrivo ineluttabile. “Insieme / conteremo tutte le stelle / al tremito di luna // Viandante / sogna un istante / e nel sogno riprendi la via”.
Questi versi sembrano evocare un altro viandante, il leopardiano pastore errante dell’Asia, il cui canto notturno è sostanzialmente un piangere sulla via e sulla sorte dell’uomo.
In Santinato invece l’uomo-viandante viene invitato ad uscire dalle secche dell’esistenza per proseguire il cammino nel sogno.
Ma questa forma di evasione non basta e, per guarire dalle ferite dell’esistenza e dalla ferita più grave e definitiva, che è la morte, ne soccorre sempre la nostalgia, che è il tema portante di questa silloge.
Essa non accompagna l’uomo solamente in vita ma è anche un dolce viatico alla morte: “Nostalgia // Unica sei rimasta // e tu o terra d’oscuro vestita / muta mi guardi sulla rigida zolla”, in Addio.
Abbiamo ricordato Leopardi e non è sbagliato ac­co­stargli il Santinato del Trattato lirico di cocente no­stalgia. Anche nel Leopardi infatti il tema della nostalgia è ricorrente e ne alimenta fortemente la vena lirica: “Chi rimembrar vi può senza sospiri, / o primo entrar di giovinezza, o giorni / vezzosi, inenarrabili…”, in Le ricordanze, 119-121.
Chi è vicino a Leopardi è vicino anche al Romanticismo, i cui temi e le cui effusioni poetiche sono presenti nell’opera qui in prefazione.
Certo sorprende che un poeta del terzo millennio possa retroagire di duecento anni e riproporre contenuti e forme di espressioni superate dal tempo.
Però il romanticismo di questa poesia non è ro­manticismo d’epoca o di scuola, come quello che ha ca­ratterizzato la parte centrale dell’Ottocento, ma un ro­manticismo intrinseco. È la stessa nostalgia che, col suo celebrare le gioie perdute, fa romanticismo.
La consapevolezza del bene perduto viene compensata dalla gioia che dà il ricordarlo: “… la memoria si veste di nostalgia”, in L’atto che si consuma.
E la cocente nostalgia dei versi delle pagine che seguono riesce a trascinare seco il lettore, quasi costringendolo ad affiancarsi a sorella nostalgia per provarne il fascino sulla propria pelle.

Aldo Sisto

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