La poesia di Duberti non è una, ma multipla, è fatta di nicchie, insenature, scorci, progetti, appunti, esercizi, evocazioni, estasi nostalgiche, rapimenti lirici, morsure abrasive sul testo, correlativi oggettivi agganciati al reale, notizie dal mondo, cronache veriste e molto altro ancora. A Duberti non serve la patente che marchia l’esercizio delle belle lettere con il sigillo doc della vigna prescelta. Di qualità in qualità, invece, nel piattino del sommeiller si effondono gli aromi di tante poetiche diverse. Non si tratta solo di una sinestesia: è una definizione di cultura poetica. Poesia come fili pendenti che il poeta riannoda, fibre della matassa che si assemblano e che compongono il filo, provengono dalla storia – quella minuscola degli anonimi collettivi o degli individui dispersi – ma provengono anche dalla fantasia e dai repertori della cultura alta, così come promanano dal folclore autentico della sapienza locale, quella tetragona e terrigna, che sa di muffe e di bosco, e che si rigenera nella fertilità dell’humus. Una poesia che serve per cumulare la vita, per riscattarla dalla dispersione e dall’insignificanza, non mai un azzardo, ma un progetto irradiante di salvezza del salvabile. Una visione del mondo? Va bene: una visione del mondo.

Sandro Gros-Pietro

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