<B>PREFAZIONE</b>

La poesia di Lida de Polzer si snoda con l’armoniosità di un verso modellato sul ritmo del nuoto, che non è altro che danza nell’acqua secondo cadenze ben definite. L’autrice è infatti allenatrice professionale di nuoto sincronizzato e quindi esperta della necessità di coordinare i movimenti di ogni membro del corpo fra di loro e con i tempi della respirazione. E in ciò è aiutata anche dalle sue conoscenze musicali. Del resto il numero è alla base di ogni manifestazione del micro e del macrocosmo e ne determina le variazioni e le composizioni. Le combinazioni dei gesti si correlano con gli accordi delle note, con le regole della metrica, sia accentativa sia quantitativa, con le pulsioni del cuore. Già Pitagora fondò sul rapporto di armonia che intercorre fra i numeri e i suoni della scala musicale la sua ricerca dell’archè o principio primo della natura. E i pitagorici ritenevano il numero l’essenza di tutte le cose. Non si distacca dal concetto il polemico Piergiorgio Odifreddi il cui pensiero potrebbe essere sintetizzato nella parodia “il numero è tutto”.
C’è chi nuotando conta le bracciate come aiuto della memoria alla sincronizzazione dei ritmi, che possono essere contemporaneamente anche quelli di una creazione poetica. Così credo faccia Lida de Polzer, il cui grande amore per il mare ondeggia per tutta la silloge sotto l’apparenza tranquilla della superficie: “mare che veglia sospiri di risacca / voci d’altrove tracce d’infinito / e miraggi di perle fuggitive / tra le dita dell’acqua”. (<i>Dateci la notte</i>)
Il mare è principalmente quello di Trieste, deputata dall’autrice a piccola patria, <i>città dal cuore di frontiera</i>, nella quale è ubicata la casa-madre: “Sì, ti vorrei cantare / città del sangue antico / della mia gente / anima del mio sangue solitario.” (<i>C’è chi non sa</i>)
Trieste è la città delle gratificazioni estive, vissute in sintonia di anima e di sport con una cara amica, come è raccontato nella poesia <i>A Paola</i>: “Sì, sarà come hai detto. Incontreremo / ancora nelle strade di Trieste / quella luce serena / quella dolcezza quieta in cui la vita / raccoglie sotto l’ala i giorni andati / come madre paziente, e li consola.”
Sopra il Castello di San Giusto fa da contraltare <i>l’anfiteatro verde del Carso</i>, che a volte è acceso del <i>ros­so dei sommacchi</i>, secondo il sempre incisivo e pertinente cromatismo che distingue le note paesaggistiche dell’autrice. Sul panorama aleggiano folate in <i>Concerto in bora</i>, che promuove la danza allegra di uomini, cose, animali: ”Barcollano i semafori stamane / sbandierano i bucati arcobaleno / l’aria giovane, viva / corre sul volto e gioca nei capelli / e la luce la luce / vola per la città con i gabbiani / e chiama il mare a una malia fremente.”
Il vento sabiano <i>suona</i> nel cielo triestino, che <i>profuma</i> secondo il gioco delle sinestesie dove gli odori sono collegati agli altri dati sensoriali in orchestrazioni di im­ma­gini inedite, a volte coinvolgenti il sublime.
Ma la poetessa sofferma la sua attenzione anche su altri luoghi. Mirabili sono i suoi spaccati, frutto di soste negli itinerari culturali e psicologici, su diverse città. Am­pia è la sezione dedicata a Roma, alla sue strade, ai suoi monumenti, ai suoi motivi di meditazione. In <i>Calabria</i>: “Han radici di sabbia gli eucalipti / sul lungo mare verde azzurro”; <i>Paestum</i> è “antica terra, e sacra”; <i>Arezzo</i> ha “nelle strade nobiltà d’antico”. Avvincente soprattutto ap­pare la tonalità raccolta color seppia di Spoleto, dove “rapido s’impenna il tuo vicolo freddo”.
In contrasto con la solarità marina di molte composizioni, nella varietà stagionale predomina l’inverno, nel momento cronologico della notte, quando <i>l’aria odora di neve</i>, che isola in <i>bianco spazio a perdita di sguardo</i> e protegge nell’auspicato <i>silenzio</i> tratti di malinconia, dolcezze di ricordi, pause di riflessioni. Ma a volte la notte è illuminata da una leopardiana <i>luna piena</i> e allora <i>il cielo è chiaro; si allarga nell’aria un profumo / d’amore bambino</i>. In un altro testo, con un inaspettato capovolgimento umorale che prova la ricchezza sensitiva dell’autrice: “Irrompe da uno scorcio di finestra / mentre discende l’ultimo suo buio / la luna mozza, e pare sangue d’ombra / la sua metà perduta nella notte.”
(<i>Luna mozza</i>)
La luna domina nelle <i>Minime</i>, brevi composizioni dalla consistenza poetica degli haiku: “Magica notte / il canto del torrente / la luna piena” “Tace la neve / pallida nella notte / alta la luna”.
Il parco assaggio prova la sapienza metrica dell’autrice, che si fonde con quella immaginifica in composizioni dalla “armoniosa melodia pittrice”.
La poesia <i>Attesa</i> può essere esempio di come il sovrastare della luna offra occasione a una descrizione spazio/temporale di territorio e di anima fuse in favolosa analogia, sospesa nel protettivo silenzio di un mondo fiabesco dai tenui colori in trepida aspettativa. Dalla scansione dei versi, dai rimandi degli enjambement, dal gioco delle metafore, deriva una musicalità particolare, come un giro di danza, di valzer, come una nuotata, con una breve pausa prima del guizzo finale.
Lontana da ogni implicazione orfica, la poesia di Lida de Polzer modula, sul doppio profilo di una realtà oggettiva e soggettiva, le variazioni di un animo sensibile e delicato, in misure meditative e a lungo meditate sul controllo metrico, stilistico, espressivo ed emotivo.

Liana De Luca

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