PREMESSA 

Il semplice rider alto vi dà una decisa superiorità sopra tutti gli astanti o circostanti senza eccezione. Terribile ed awful è la potenza del riso: chi ha il coraggio di ridere è padrone degli altri, come chi ha il coraggio di morire.
Giacomo Leopardi (Zibaldone)

L’umorismo ha non solo un che di liberatorio, come il motto di spirito e la comicità, ma anche un che di grandioso e nobilitante. […] La grandiosità risiede evidentemente nel trionfo del narcisismo, nell’affermazione vittoriosa dell’invulnerabilità dell’Io. […] L’umorismo non è rassegnato, anzi esprime un sentimento di sfida e costituisce non solo il trionfo dell’Io, ma anche quello del principio del piacere, che riesce in questo caso ad affermarsi a dispetto delle reali avversità. 
Sigmund Freud (L’umorismo)

Ogni sublime umorismo comincia con la rinuncia dell’uomo a prendere sul serio la propria persona.
Hermann Hesse (Il lupo della steppa)

Dove non c’è umorismo non c’è umanità; dove non c’è umorismo (questa libertà che ci si prende, questo distacco di fronte a se stessi) c’è il campo di concentramento.
Eugène Ionesco (Note e contronote)

La potenza del riso e l’umorismo hanno intrigato una larga schiera di uomini seri, oltre a quelli sopra citati. Lo stesso Leopardi riprese gli appunti riportati nel suo privato Zibaldone in un’opera destinata alla pubblicazione, i Pensieri, probabilmente in una stesura meno efficace di quella affidata al suo brogliaccio personale: «Grande tra gli uomini e di gran terrore è la potenza del riso: contro il quale nessuno nella sua coscienza trova sé munito da ogni parte. Chi ha coraggio di ridere, è padrone del mondo, poco altrimenti di chi è preparato a morire». Il riso avvicina gli affini e separa i dissimili.
Il riso è una straordinaria forma di resistenza, difesa e contrattacco nei confronti delle insidie e dei dolori della vita, come pure nei riguardi della malvagità e della stupidità umana.
Il valore liberatorio, catartico, protettivo e a volte terapeutico del riso costituisce la prima ragione che mi ha condotto alla ripubblicazione dei versi umoristici e satirici apparsi in anni diversi in riviste e pubblicazioni varie.
La volontà di salvare dalla dispersione quei testi pubblicati un po’ alla volta in sedi differenti, dal 1986 al 2002, è stata la seconda spinta che mi ha mosso a radunarli in un solo volumetto. Ho escluso da questa raccolta solo gli epigrammi più datati a causa della scomparsa dei protagonisti eponimi delle stesse poesie. In compenso ho inserito alcuni inediti nella stessa sezione (Intellettuali d’Italia) e in altre.
La terza motivazione è data da un minimo di interesse suscitato dai miei versi ironici e satirici nelle comunità di lingua slovena e serba. Gli epigrammi pubblicati nella rivista «La Vallisa» nel dicembre 1991 sotto il titolo di Intellettuali d’Italia attirarono l’attenzione di Jolka Milič, che il 19 maggio 1992 ne parlò nella pagina culturale del giornale «Primorski dnevnik» (Quotidiano del Litorale), diffuso a Trst (Trieste), Gorica (Gorizia) e Čedad (Cividale del Friuli). In séguito, quattro miei limerick risalenti al 2002 sono stati tradotti in serbo da Marijana Savatović nel libro Kralj špageta i kraljica vila (Il re dello spaghetto e la regina delle fate) uscito a Novi Sad nel 2009.
Prevedo che qualcuno, dimenticando che in letteratura esiste anche il divertissement, storcerà il naso durante la lettura di questi versi, ma non posso farci niente. La poesia sorridente, bizzarra e ridanciana è fatta così, ha tante finalità e funzioni: ludica, taumaturgica, consolatoria, metaletteraria, parodistica, umoristica, satirica, sarcastica, caustica, goliardica, grottesca, iconoclastica, dissacratoria, ironica e autoironica. E tutte mi sembrano irrinunciabili.
D’altra parte, ho scritto queste poesie per divertirmi, per prendere in giro alcuni personaggi importanti o ritenuti tali e soprattutto per prendere in giro me stesso, attenuando lievemente la severa massima del filosofo George Santayana: «Forse la sola vera dignità dell’uomo sta nella sua capacità di disprezzarsi». Perciò, se il principale bersaglio dei versi – esplicitamente o implicitamente – è il sottoscritto, spero che i lettori vorranno usargli magnanimamente un po’ di indulgenza.

Marco Ignazio de Santis

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