L’avventura letteraria di un valetudinario in maschera

Quasi mezzo secolo di attivissima produzione letteraria, tra poesia e narrativa, in un Giardino delle Esperidi di parole prorompenti, con significati traslati, in metafora, tra sogni immaginifici e reperti reali, tra il caos e la geometria di significati anfibologici coniugati con espressioni letterali curatissime, sovente calibrate a una metrica rigorosa, in un continuo “esorcismo incantatorio” delle ossessioni più comuni e nello stesso tempo più grottesche: il lungo lavoro creativo di Mario Rondi costituisce un opus magnum della creatività letteraria che ha pochi riscontri altrettanto ricchi di prospettive nel periodo a cavallo tra la fine del xx e l’inizio del xxi secolo della letteratura italiana.
Gli esordi dell’attività poetica di Mario Rondi avvengono nell’ambito della poesia sperimentale, verso la fine degli anni Settanta. Autore di riferimento di questo primo periodo di Rondi, compagno di ricerca nella poesia di sperimentazione, è il suo amico bergamasco Lucio Klobas, con il quale condivide gran parte del tempo libero lasciato dall’insegnamento: insieme elaborano progetti e manifestazioni a vario genere di poesia sperimentale. Nel 1978 uscirà il primo libro di Poesia di Rondi che si chiama Corpo & poesia, con una nota critica dell’amico Lucio Klobas, nei caratteri della casa editrice Geiger. Va ricordato che tale casa editrice è stata fondata dieci anni prima dai fratelli Adriano e Maurizio Spatola, durante il periodo di soggiorno torinese di Adriano, sentimentalmente legato alla poetessa Giulia Niccolai. La poesia di sperimentazione di quegli anni – poesia visiva, poesia del suono, scomposizione dei lemmi e frantumazione del linguaggio – deriva la sua origine ancora dal Gruppo 63, fondato a Palermo, presso l’Hotel Zagarella dagli scrittori riuniti a convegno Umberto Eco, Edoardo Sanguineti, Alberto Arbasino, Alfredo Giuliani, Giorgio Manganelli, Antonio Porta, Renato Barilli, Francesco Leonetti, Lamberto Pignotti, Nanni Balestrini, Elio Pagliarani e molti altri ancora. Antesignana della fondazione del Gruppo 63, come si sa, è stata l’antologia de I Novissimi curata da Alfredo Giuliani e pubblicata nella Biblioteca del Verri, nel 1961, diretta da Luciano Anceschi. Ovviamente, stiamo parlando quasi di una generazione precedente a quella di Mario Rondi, il quale, all’uscita de I Novissimi deve ancora compiere i dodici anni. Il Gruppo 63 rimane più o meno operativo come movimento poetico fino verso la fine degli anni Sessanta, mentre la Poesia sperimentale, con Maurizio Spatola, che sopravviverà al fratello Adriano, resterà attiva fino agli anni Novanta, ma quasi ridotta ad archivio museale di gloriose sperimentazioni. Mario Rondi esce con il suo secondo libro di Poesia, che ancora possiamo collocare nell’alveo della Poesia sperimentale, e che si chiama Poker di cuori, con prefazione di Giulia Niccolai, edito nel 1983 come numero speciale della rivista Tam Tam, fondata da Adriano Spatola e Giulia Niccolai nel 1972. Tam Tam proseguirà le sue pubblicazioni fino al 1990 e coinvolgerà autori come Milo De Angelis, Mario Ramous, Mario Lunetta, Fernanda Pivano, Antonio Porta e molti altri.
Per concludere questo primo periodo che definiremo “sperimentale” va detto che da parte di Rondi, sopraggiunta nell’anno 1983 l’età di trentaquattro anni e, quindi, la piena maturazione autonoma come scrittore, pur continuando a essere sempre più parte attiva del dibattito culturale e letterario nazionale, decide di abbandonare l’area della sperimentazione radicale, che progetta la cosiddetta antipoesia e antiletteratura. Tuttavia, non si tratta di una rinnegazione del lavoro precedentemente svolto, bensì di un meditato e complesso superamento. È un vedere più in là del rifiuto totale degli sperimentali di costruire con le parole un messaggio storico-sociale di interpretazione del mondo reale. Non si tratta neppure di credere ancora nelle possibilità del realismo o del neorealismo, che tuttavia continuano a ispirare una gran parte della letteratura degli anni Ottanta e che la spingono a promuovere forme di documentazione storico-giornalistica di inchiesta sociale ovvero di ricostruzione dei cosiddetti “spaccati civili del quotidiano” o ancora biografie romanzate di personaggi storici, adattati al gusto variabile degli atteggiamenti di opinione dei lettori. Poco alla volta Mario Rondi costruirà un universo parallelo e distorto del mondo reale, sostanzialmente un cosmo valetudinario, ossia che si soffre di un qualche cronico disagio, con sentimenti di spaesamento, come di chi si senta fuori posto, essere oggetto di vaghe minacce o meschini destini, ma anche con irremovibile capacità di rinascita, di riproposizione, resistenza alle pieghe e alle piaghe dell’esistere. Con un salto di specie, l’universo descritto non sarà quello della specie umana, ma apparterrà invece al Regno Vegetale, in prima approssimazione, e successivamente vedremo, nei libri a seguire, che verranno introdotti anche una serie di rappresentanti verminosi e mollaccioni del Regno Animale, come lumache, rospi e rane e non solo loro.
La pietra angolare che inaugura questo nuovo mondo poetico apparentemente così sradicato dalla realtà, ma in verità disciplinato come un universo parallelo a quello umano, è il libro di poesia che si intitola Erbario immaginario, pubblicato da Tracce nel 1985, con una prefazione che appare un poco venata da stupore o da imbarazzo del bravissimo Adriano Spatola, il quale pensa rifarsi alle classificazioni del naturalista settecentesco Linneo, per spiegare queste maschere vegetali che Rondi con sapienza fantastica crea nella Poesia. Leggiamo, infatti, che Erbario immaginario ci conduce in una serie di labirinto di Linneo, dove forme naturali si mescolano inestricabilmente a forme mostruose, di chiara origine psicotica: labirinto di parole, come si è detto, più che di cose; e aggiungerei, di parole più che di esseri viventi”.
Seguono dodici anni di intensa attività di scrittura e di pubblicazione, nel corso dei quali Mario Rondi pubblica ben cinque libri di poesia e si impone all’attenzione dei critici e degli scrittori più attivi della ricerca poetica d’attualità. Precisamente, si tratta dei libri La luna in ammollo, in Edizioni del Leone, uscito nel 1987, con nota critica di Alberto Cappi, autore e critico di riferimento nazionale della sperimentazione immaginaria; La stanza dei sogni, con prefazione di Mario Ramous, Edizione Tracce, esce nel 1989; Il trucco, con introduzione di Lucio Klobas, Edizione Campanotto, esce nel 1993; Sonetti silvestri, nuovamente con introduzione a cura di Mario Ramous, in Edizione Araberara della Val Seriana nel 1995; Il vento dei saturni, con introduzione di Maurizio Cucchi, nuovamente in Edizione Araberara, del 1996.
Il nono libro di Mario Rondi si chiama Il nastro della fuga, Book Editore, Castel Maggiore, 1997, con una postfazione di Vincenzo Guarracino. Il libro contiene la sezione eponima che dà il titolo al libro: è una sezione che Vincenzo Guarracino definisce “storia ambigua e angosciante, in un degradato, interno domestico”. Seguono le sezioni Calcomanie, Il trucco della sovrabbondanza, Le stanze del volo e Sharade. L’intero libro rappresenta un paradosso moltiplicatore di significati, storie, invenzioni, sogni, miti contraddetti e metafore ordinarie o catàcresi prive di significanza, fino a moltiplicare in modo indeterminato l’infinita avventura delle parole che descrivono la materia e la realtà o che narrano le alterazioni psicotiche o gli incubi della mente.
Nel 2002 appare la plaquette L’onda del sogno, nei preziosi caratteri di Signum Edizioni d’Arte a Bollate, consistente in sette poesie di delicato eros, in un incanto di carezze e speranze, in un eccesso benigno di slanci, ardori e sentimenti.
Nel 2005 esce L’orto delle gru nei caratteri di Manni, editore di San Cesario di Lecce, con prefazione di Vincenzo Guarracino. Il libro è composto dalla prima sezione eponima, introdotta da un esergo dedicato al poeta padovano Cesare Ruffato, amico di Rondi e di Gianni Giolo, il quale a sua volta lo aveva definito “Dante del dialetto veneto”. La seconda sezione del libro si intitola Il profumo delle fiabe, ed è introdotta da un’epigrafe tratta da Dimenticando un sogno di Jorge Luis Borges e contiene ventuno poesie organizzate ciascuna in otto versi endecasillabi, con ideazioni sospese tra il sogno e la dolcezza di visioni vagamente surreali. La terza sezione si intitola Videoclip, ed è introdotta da una citazione tratta da Edoardo Sanguineti, proveniente da Laborintus, sul progetto di una poesia sperimentale, che, come si sa, non piacque per nulla a Cesare Pavese e che invece Pasolini commentò come “un tipico prodotto del neo-sperimentalismo post-ermetico che riesuma entusiasmi pre-ermetici. È un furentissimo pastiche!”. Quest’ultima sezione è composta da quindici brevi composizioni, dove trionfa il gusto per il gioco dell’eccesso, che è una sorta di cavallo di battaglia di Mario Rondi. La quarta sezione del libro si chiama Il fiore del ricordo ed è introdotta da un omaggio reso a Giovanni Pascoli, tratto da Primi poemetti, versione del 1907: si tratta di trentacinque composizioni, ciascuna delle quali è formata da due terzine di endecasillabi in rima abc e da un distico a rima baciata, in uno straordinario esercizio del bel comporre, non disgiunto da una certa ironia e un velato gioco di significati allusi. L’orto delle gru rappresenta il decisivo cambio di passo di Mario Rondi, dopo avere raggiunto una facile facondia e ricchezza espressiva, con una pluralità di forme e di registri poetici, che gli permettono di passare con disinvoltura dalla tradizione in rima delle forme chiuse alle soluzioni di anti-poesia o al racconto fiabesco o all’invenzione surreale: la sua Poesia sta diventando sempre più quel tappeto volante ingegnoso e immaginario che descrive con minuzia un mondo parallelo e pur tuttavia congruente con quello reale in cui siamo immersi. Di lui scrive Vincenzo Guarracino che “ci introduce in un mondo di grazia pudica e severa, dove le cose hanno forza e concretezza, verità, pur nel limbo sospesa della loro essenziale presenza”.
Nel 2009 appare l’opera che inaugura la stagione più creativa e innovativa della poesia di Mario Rondi, il quale ha raggiunto la piena maturità poetica e possiede ora una straordinaria capacità di moltiplicazione della realtà con invenzione di proiezioni sussidiarie in dilatazione come in un frattale in continua espansione. Il libro si chiama Medicamenti, nei caratteri di Genesi Editrice, con prefazione di Sandro Gros-Pietro, che afferma come “nella poesia di Mario Rondi la geometria armoniosa delle forme è parte costituente del messaggio poetico, che in tanto esprime con vigore e con grazia un ragionamento affascinante in quanto realizza la perfezione del modello ripetuto, sempre uguale a sé stesso”, appunto si diceva come in un frattale. È una gioiosa rappresentazione arcimboldesca costruita con la descrizione di ciò che l’homo naturalis vede, pensa, ama, desidera fino ad agognare, poi si rassegna, ma, ecco, subito dopo che torna a rinvigorirsi, a ringalluzzirsi, come un bambolotto misirizzi. La rappresentazione poetica si rinnova in una teatralità che ha l’inventiva della commedia dell’arte, basata sull’eccezionale capacità professionistica del Poeta di creare sempre situazioni nuove. La poesia di Mario Rondi diviene in tale modo proiezione dell’eleganza formale della parola poetica nel mondo immaginoso e magico di una natura codificata in forma antropomorfica, infine proposta come scelta di apparentamento per una salvezza dalla follia del reale, sovente così disumanizzante e meschina, per cui la via del rifugio – per usare una metafora gozzaniana – è la sottoscrizione di una soluzione immaginaria, esattamente come proponeva il poeta maudit Alfred Jarry con l’invenzione della patafisica, cioè la filosofia delle scienze inventate, la quale non è poi una trovata così nuova, perché era già pienamente messa in campo nell’ideazione di uno dei più grandi capolavori della letteratura occidentale, dicasi in El Ingenioso Hidalgo Don Quijote de la Mancha di Miguel de Cervantes.
Passa appena un anno e nel 2010 esce Ortolandia, sempre presso la Genesi Editrice, di cui Gros-Pietro scrive “per avvicinarsi in modo neutrale alla ferinità degli umani, senza mai giudicarli, senza mai sottometterli alla mitraglia delle azioni dell’impegno civile, senza farli soccombere sotto le bombe incendiarie delle sentenze etiche, senza sterminali con i gas nervini delle ideologie utopiche, senza asfissiarli con la retorica dei protocolli, Mario Rondi usa il virtuoso espediente adoprato fino dai tempi dell’antichità ellenica di servirsi di un bestiario ovvero di un erbario […] è assodato che ci troviamo a contatto con una delle espressioni più curate e profonde della poesia italiana contemporanea: una voce capace di rendere piena testimonianza del nostro tempo caduco a confronto del tempo indeterminato salvato dalla tradizione”. Ancora una volta il cavallo di battaglia, in un gioco a perdere del gusto per l’eccesso, sarà la favolosa composizione breve di due terzine di endecasillabi in rima abc, con chiusura in un distico a rima baciata.
Nel 2014 esce il libro di Poesia Cabaret, che già nel titolo fa presagire il carattere di voluta teatralità che complessivamente adotta l’opera, sempre per i tipi della Genesi Editrice: “Mario Rondi è fra i più autorevoli esponenti della letteratura italiana contemporanea espressa in chiave ironica e anche comica […] si pensi ad Aldo Palazzeschi ed Emilio Gadda, a Cesare Zavattini e Giovannino Guareschi, a Concetto Marchesi e a Pasquale Festa Campanile. Straordinaria importanza, in questo genere di letteratura, ebbe il teatro sia nelle sue espressioni più leggere sia nelle rappresentazioni di maggiore intensità drammatica, a partire da Ettore Petrolini ed Eduardo De Filippo per arrivare fino a Dario Fo e Giobbe Covatta. Ritroviamo la sete erotica di dare e di ricevere amore, che intona e rintrona il refrain abusato dalla contemporaneità, l’eroe anonimo e misconosciuto calato nella dimensione spicciola e quotidiana del sogno monstruoso per un sesso all’eccesso, secondo la ormai nota formula rondiana. C’è una figura della divinità che appare sfiduciata, stanca e obsoleta, superata dalla stessa eternità di sé stesso in cui si è immerso, un Dio Godot che è il Grande Assente del teatro dell’assurdo. Il libro si articola in tre sezioni: Tragicommedia, Avanspettacolo e Sarabanda, le quali, riunite insieme, contano un centinaio di testi.
Una preziosa plaquette, intitolata Presenze, contenente appena tredici composizioni, esce nel 2015 presso il raffinato editore Lubrina di Bergamo con la brillante prefazione di Vincenzo Guarracino, che nota come “dai Sonetti silvestri del 1995 a L’orto delle gru del 2005 fino al memorabile Ortolandia del 2010, la Poesia di Rondi è stata tutto un insorgere e pullulare di fiori, erbe, insetti, animali e volatili di ogni sorta, in cui l’io è andato ritirandosi e mimetizzandosi […] un teatrino di presenze, che conserva e incrementa, ogni raccolta di più, una arcadica grazia e leggerezza settecentesca”.
Nel 2016 esce lo spettacolare libro di Poesia che si chiama Gran varietà, nei caratteri della Genesi Editrice e con prefazione di Sandro Gros-Pietro, che pone in risalto il tema dell’amore impossibile e la vocazione al paradosso sempre più sviluppata nella Poesia dell’universo parallelo inventata da Mario Rondi. È un genere letterario di altissima intelligenza e finezza, che si richiama al Burchiello, con “la potenza stralunata di un novellare sognante e caotico, che mette insieme ciò che è discorde e inavvicinabile”, ma che mantiene l’astrattezza geometrica della forma chiusa, cioè di una poesia che rispetta la metrica e il decoro letterario del dire acconcio, con formidabile persuasione contenutistica e con appropriatezza descrittiva. Tuttavia, il racconto volutamente appare scardinato nel senso immediato del discorso, perché il linguaggio è paradossale. “Mario Rondi, a suo modo, è il più ricco e completo poeta paradossale in attività attualmente in Italia […] la sua specialità consiste nel non concedersi mai pienamente alla comicità, ma fermarsi a una forma di ironia sottile e trattenuta, pur raccontandoci una storia antica come il mondo – l’amore negato, l’amore impossibile, l’amore sognato, l’amore sfuggito, il mito di Dafne e Apollo – riesce sempre a sorprenderci comunque con le sue strabilianti soluzioni.
Nello stesso anno, cioè il 2016, Rondi fa uscire presso l’editore bergamasco Lubrina un’altra plaquette di sedici composizioni, Stramberie d’amore,presentata dallo scrittore e studioso Vincenzo Guarracino. Si tratta di “un teatrino intriso di malizia e perfidia, in cui la tragedia sottesa della vita continuamente si stempera in farsa, per farsi beffa di ogni superbia”. Le poesie sono illustrate dall’artista bergamasco Beniamino Piantoni, “che, secondando estri e umori dei testi, dà corpo a forme-immagini dai tratti nervosi e grotteschi in virtù di linee razzenti e reticolari, dalle forti valenze espressionistiche, che del personaggio in oggetto colgono l’attimo di un’emozione che sapit hominem, che sa di vita, di uomo, come diceva il poeta latino Marziale”, e come leggiamo nella sapiente presentazione di Vincenzo Guarracino.
Dedicata all’avvento catastrofico della pandemia del 2019, che ha sconvolto nel profondo le certezze della civiltà del benessere in tutti i Paesi impropriamente definiti benestanti, e che ha minato la fiducia in un futuro planetario migliore, nonché ha diffuso una sorta di peste psicologica nelle popolazioni con disgregazione di molti rapporti sociali, esce nel 2020 la plaquette Corona virus, presso Lubrina Bramani Editore, presentata da Vincenzo Guarracino e illustrata dai disegni di Silvia Manfredini. Si tratta di diciassette testi, sempre organizzati negli otto versi tradizionali di Rondi, cioè due terzine e un distico elegiaco, nel rispetto della metrica, ma con una straordinaria modernità espressiva, in un linguaggio poetico totalmente rinnovato rispetto alla tradizione. La raccolta mette a fuoco il ritorno della cultura poetica all’antico binomio amore e morte, sia pure in termini teatralizzati e sapientemente camuffati. È certo che Mario Rondi coglie subito con straordinaria acutezza critica l’incrinatura che scheggia come una crepa profonda non solo le economie produttive dei Paesi avanzati, ma gli stessi fondamenti culturali e addirittura i metodi e i contenuti della comunicazione: la Pandemia si presenta come un Kraken, il leggendario mostro marino di abnormi dimensioni in grado di avvolgere e affondare con i suoi tentacoli un’intera nave.
Nello stesso anno 2020, esce il libro di poesia Un mondo di stramberie, nei caratteri della Genesi Editrice, con prefazione di Sandro Gros-Pietro. Il libro è stato definito da Gros-Pietro con la formula “la bellezza dell’errare”, nella sua doppia significazione di “allontanamento dalla rettitudine”, ma anche “libertà assoluta di movimento, avvicendamento, contrapposizione”. Il discorso poetico di Rondi contiene sempre dei riflessi anfibologici che moltiplicano la vastità e la profondità del linguaggio. Come Pessoa, Rondi è sempre un eteronimo di sé stesso, un diverso che collide all’identità presunta o presumibile, grande maestro di sapienza filosofale, che sarebbe lo stesso come dire filosofica, ma nella sua accezione scherzosa, leggera, conciliatrice, velata di melanconia, con punte di “maliziosa perfidia”, come stupendamente aveva annotato Vincenzo Guarracino nei suoi studi sull’Autore. Ci sono sette sezioni diversificate nel libro: Stortabanda, Stramberie, Nello specchio dell’acqua, Il regno di storbanda, Dedalo umano, La celeste dimensione e La morte a ridosso. Proprio l’ultima sezione rappresenta simbolicamente il finale di partita del Poeta, e possiede la teatralità beckettiana di un discorso conclusivo che è tutt’altra cosa dalla pomposità dei poeti che si piangono addosso mentre si promuovono in arcosolio e dettano il loro fiero e malinconico testamento. In realtà, Mario Rondi, mentre conclude Un mondo di stramberie sta già mettendo in canna un suo ulteriore capolavoro, che sarà Il poema delle verdure. Si tratta dell’ultimo libro di Poesia, ultimato nel 2022 ed incluso, come inedito, nella presente edizione cam della Genesi Editrice, l’Ipermondo delle parole di Mario Rondi, opus magnum riepilogativo della bellezza dell’errare, che il Poeta ha descritto e sviluppato nei cieli terragni della Poesia italiana del xxi secolo. È ovviamente un poema favoloso, in cui Rondi riprende con insospettata freschezza e facondia i grandi temi della sua inventiva letteraria. Se la Poesia di Omero era un’e­pica destinata a cantare le grandi gesta degli eroi, descritti per metà come esseri umani e per l’altra metà come divinità pagane; se tale rimane la Poesia fino a Catullo e ai neoteroi che introducono la dimensione fuggevole dei destini terragni dell’umanità, spoglia di gloria e aperta anche alle vicende del quotidiano; se poi la letteratura occidentale si trasforma in un’indagine delle vicende dell’intimità e dei precordi umani e infine si sterilizza in uno sperimentalismo scientifico di analisi del linguaggio: Mario Rondi travalica di un solo passo i quasi trenta secoli di letteratura dell’Occidente che sono più che presenti nei suoi oceanici archivi della memoria e inventa la Poesia di elogio delle creature che non hanno voce. È un canto radioso, antico, primordiale, ma anche progredito, civilizzato e psicanalitico, e dimensionato e misurato, dedicato al mondo vegetale e animale delle creature più umili e imbattibili che hanno percorso i miliardi di anni del nostro pianeta e che ora si riverberano a specchio nelle miserie modestissime e nei vizi ignobili della civiltà umana che sta avvelenando senza preoccupazione alcuna questo meraviglioso Pianeta Azzurro. Appaiono sul boccascena del teatro del Poeta rape, carote, rute, fagiolini e fave, con piselli, malva, ramolaccio, zucche, calicanti, cipolle e cetrioli, senza farci mancare spinaci, radicchio, finocchi e malva e quant’altro ancora. Sono soci in affari poetici del Regno Vegetale anche gli esponenti minimi del Regno Animale, altrettante dilettose creature rimaste senza voce: talpe, lombrichi, serpi, lumaconi, qualche volpe, mosche, tafani, bisce, pulci, maggiolini, ramarri, nottole, millepiedi e un gracidio antichissimo di rane, che si eleva dagli stagni della memoria letteraria. L’umanità è riflessa a specchio nelle creature che sono state e che tuttora sono la preda quotidiana degli uomini, il loro cibo di sussistenza o di derivazione nella scala alimentare. Noi siamo quello che mangiamo, diceva il filosofo Ludwig Feuerbach. Ed eccoci mirabilmente descritti dalle creature senza voce che compongono questa bella d’erbe famiglia e di animali, siccome canta con magistrale estro Ugo Foscolo. Mario Rondi regala alla Poesia italiana una delle espressioni più virtuose e geniali della parola poetica del xxi secolo: la parola della gioia di vivere delle creature rimaste senza voce. Non è difficile riconoscere in questo canto afono l’espressione dei vinti, degli sconfitti, dei deboli, ma anche la forza della moltitudine, dell’anonimato, delle speranze condivise. Il grande sogno del riscatto e della libertà: l’unico fuoco acceso delle vestali nel tempio della civiltà umana.
Per ben oltre un lustro, anzi per circa sette anni, Mario Rondi ha collaborato anche alla rivista parrocchiale della sua Città, precisamente alla Voce di Vertova, sulle cui colonne tiene la rubrica denominata L’angolo della Poesia. Nella sezione dedicata a tale serie di componimenti, sono raggruppate centosedici poesie: il mondo e il modo poetico sono inconfondibilmente quelli di Mario Rondi, distinguibili al primo colpo d’occhio per la forma classica dell’ottava rondiana – le due note terzine, con distico in chiusura, anche se talvolta l’ottava diviene caudata, con aggiunta di un ulteriore distico o anche più di uno, oppure con trasformazione della terzina in quartina. Tuttavia, è accesa nella sequenza storica delle poesie una luce di speranza, di amorevole dolcezza, con totale assenza di quella “maliziosa perfidia” di cui si è parlato altrove, ma anzi con una sorta bene delineata e profonda di fede nella continuità della vita oltre la vita stessa. Pertanto, questo angolo è frequentato da amorevoli angeli che distribuiscono doni alla vigilia di Natale a tutti i bimbi; si pronunciano preghiere con fede di essere ascoltati da qualcuno che ci ama lassù, oltre le nuvole che nascondo le presenze del divino e che custodiscono la memoria della madre del Poeta, di altri amici poeti già saliti alla luce delle stelle, come il torinese Armando Santinato, di artisti e pittori e compagni di scuola. Nei versi vi è un francescano trionfo degli uccelli, con cui Rondi sembra potere dialogare o quantomeno coniugare verbi poetici, in frullio d’ali e nel cinguettio di fringuelli, tortore, pappagalli, crociere di passo, barbagianni, civette e merli. Non mancano anche gli animaletti che zampettano, come moscardini, mosche, qualche cimice e ramarri; non sono assenti neppure gli animaletti che strisciano, come il lombrico che si produce in rima cadendo dal fico. Sono queste le poesie di Mario Rondi in cui più si avverte una vicinanza confortatrice con Dio e una persistenza dell’assoluto, in un’atmosfera di eternità che unisce la vita biologica con quella spirituale.

Sandro Gros-Pietro

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