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Autore: Francesco D’Episcopo
Editore: Genesi Editrice
Formato: libro
Collana: Novazioni, 62
Pagine: 144
Pubblicazione: 2019
ISBN/EAN: 9788874147199
Per ogni battito del mio cuore
Questa parte drammaturgica è quella che più ci appartiene, in quanto segnata da un crescendo umano di complicità e familiarità tra l’autore e chi scrive.
Menotti Lerro è un autore, che tenta la tradizione, la sfida per andare oltre. Egli scardina così i miti di personaggi consolidati, provando a riproporli in una chiave diversa, tutta sua, attivando una fantasia, a volte, bizzarra, blasfema, reintroducendoli in un dibattito, sociologico e psicologico, tutto contemporaneo, che ne proclami le ragioni più superficialmente profonde, avrebbe detto Nietzsche.
Importante, per lui, non è tanto sorprendere o, addirittura, scandalizzare, come si sarebbe appunto superficialmente indotti ad immaginare, ma dare forma e sostanza a fantasmi interiori, che egli però, si badi bene, evita, ancora una volta, accuratamente, di autobiografare, anche se, a volte, la forza originaria dell’autobiografia resiste a questa deliberata operazione di depistaggio e slittamento, come ne Il gorilla, comunque pervaso da una tensione emotiva ed espressiva, che da un lato lo ricongiunge a una sorta di teatro dell’assurdo, dall’altro non può fare a meno di rivelarsi un tributo d’amore nei confronti del proprio genitore.
Per realizzare questa difficile operazione, per l’autore ovviamente del tutto naturale, Menotti Lerro è indotto a praticare una magia letteraria e teatrale, che la critica, anche la più accreditata, rischia di rimuovere e trascurare dal perverso ordito delle sue ipotesi, non sempre, in verità, corrispondenti a quelle degli autori: il grottesco, di cui Michail Bachtin ha rivendicato la radice espressionisticamente carnevalesca. Si tratta insomma di manipolare un mito, di abbassarne il livello di autorità, per adattarlo ad esigenze, nel caso di Menotti, più concrete e contemporanee, che sono proprie dell’autore. Un’operazione, è possibile aggiungere, fondamentalmente, come si è già accennato, in apparenza blasfema, perché mina alle radici la sacralità di una tradizione stabilmente codificata, ma assolutamente legittima per la prospettiva letterariamente alternativa che l’autore persegue.
Lerro, confrontandosi con Cervantes, Tirso de Molina, Goethe, ma molti altri, ha centrifugato forme e funzioni, tendenze e tematiche, piegandole alla sua voglia, tutta giovanile e contemporanea, di addomesticarle, in qualche modo, a specifiche esigenze personali. Guai però, come già accennato, confondere autore e creature; queste ultime si muovono autonomamente, come burattini guidati da un regista sorprendentemente assente, per non dire, indifferente alle loro esigenze più elementari.
La letteratura, e ancora più il teatro, torna così ad essere un ludus, un gioco, talvolta perverso, dove l’autore può prendersi gioco degli altri, talvolta, persino di se stesso.
Quando chiesero a Pirandello come avesse scritto i suoi capolavori, rispose sorprendentemente di non averli mai scritti, ma di essere stato sempre scritto. Forse anche per Menotti Lerro può accadere qualcosa di simile, quando la sua inquieta e inesauribile creatività lo possiede e talvolta lo porta anche dove egli non vuole.
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