PREFAZIONE

Presentare un libro di Adriana Albini è sempre assai stimolante per l’intreccio costante di narrativa, frammenti di vita vissuta e resoconti scientifici; elementi che peraltro si compenetrano, e caratterizzano l’insieme del racconto in modo così armonico e piacevole da adescare il lettore in un percorso godibile e partecipato.
La lettura di questo nuovo lavoro dell’Albini mi ha suscitato pertanto curiosità, diletto letterario e riflessione sulle attività che avvengono ogni giorno nel contesto di una ricerca scientifica.
L’impianto del racconto può sembrare via via un’avventura sentimentale, una vicenda extrasensoriale o un romanzo giallo su competizione scientifica o interessi mercantili. In realtà è il prodotto di un’analisi che cerca di considerare il senso del proprio lavoro, che riflette il legame che sempre esiste tra medico e malato, anche se spesso può stabilirsi in modo non consapevole, legame che sempre più attualmente si proietta anche sui ricercatori, essendosi ridotto e quasi annullato il divario che pochi anni fa separava la ricerca sperimentale dalla clinica.
Il libro dimostra che queste attività professionali possono essere coinvolgenti sin quasi all’assurdo, e denunciano una partecipazione reale dei ricercatori agli interrogativi che ciascuno si pone di fronte allo sviluppo impetuoso delle ricerche biologiche; interrogativi che sollevano talora problemi che devono essere risolti con la riflessione e un’appropriata valutazione di ogni nuova situazione.
Con una narrazione che lascia spazi a ipotesi fantasiose motivate da preoccupazioni inconsce, l’Albini ha quindi voluto sottolineare che il ricercatore è partecipe dei dubbi che talora affiorano quando si affrontano temi che incidono sul patrimonio genetico degli esseri viventi o che trattano cambiamenti, anche se in modo parziale, dell’identità di ogni persona. Il bilanciamento tra ciò che è utile e ciò che è o può essere consentito, fa parte della sfera morale della collettività cui peraltro i ricercatori appartengono e in modo ancor più emotivo di altri.

Il racconto dell’Albini è un forte contributo per comunicare all’opinione pubblica quest’intensa partecipazione dei ricercatori alle ricerche che svolgono e rappresenta quindi una garanzia per far sapere che ogni risultato è ottenuto con la piena consapevolezza che la ricerca scientifica è elemento necessario per migliorare le nostre conoscenze ma anche per garantire una migliore qualità di vita. Le incertezze, i dubbi devono quindi trovare risposte che sono la risultante delle possibilità innovative della ricerca, insieme alla riflessione etica del loro uso.
Cercare un rapporto costante con la popolazione, per identificare insieme le scelte più opportune, è quindi elemento essenziale ai ricercatori per acquisire sicurezza e senso del proprio lavoro.
È quanto afferma l’Albini all’inizio del libro e che in sostanza lo conclude: “Bastava fossi sicura di me stessa perché gli spettri anche i più materiali, si dissolvessero”.
Questa frase completa la narrazione di una ricercatrice con una nota autobiografica e un messaggio positivo per tutti noi.

Leonardo Santi

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