“Vendimi le tue parole
Straniero
delle mie sono stanco
Prestami la tua eternità”

Sono i versi con cui si apre la raccolta poetica La cattedrale tra gli scogli, opera prima della giovanissima Erika Lux. E si comprende subito che ci si trova di fronte alla voce di un’anima protesa nell’oltre, anche se irretita nelle strette maglie dell’esistere.
Nel procedere lungo il filare dei versi dobbiamo prendere atto che le idee e i concetti dominano sulle immagini per cui il paesaggio resta sullo sfondo mentre in primo piano balza prepotente l’operare di una mente tesa a evitare che lo spirito venga umiliato dal volgare di cui è piena l’umana realtà. Questo atto dell’intelligenza può dare l’impressione che si voglia togliere alla poesia il primato sul poeta, ma basta un’arcana inflessione nella voce, una lontana eco di un primitivo suono e ogni cosa riprende il suo posto.

Giovanni Chiellino

Erika Lux ricostruisce in sé il mito della perdita edenica della felicità e della verità ed intona, per conseguenza, il suo canto allo spleen – per usare ancora una volta un termine tanto caro a Baudelaire – cioè ad una nostalgia radicata nel dolore amaro ed irrisolvibile. Questo modo di sentire e di agire poeticamente, come insegna la migliore tradizione moderna, non è solo un portato di consapevolezza della fatica e del sangue che è la vita, ma è anche e soprattutto uno splendido artificio dell’arte moderna, cioè un’invenzione del poeta, ancorché proprio da tale invenzione autonoma possano derivare molti specchi altamente rappresentativi del reale.

Sandro Gros-Pietro

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