Prefazione

Il canto poetico di D’Elia, nel nuovo componimento lirico, riprende il motivo centrale del vivere, con una cadenza più insistita che lega il cuore e ragione.
Il poeta fa a ritroso il percorso e pieno di sconfitta d’affanni, cercando l’ombra, frutto della vita che si perde nella sera: della fanciullezza che il tempo lentamente ha consumato.
Per dirla con Quasimodo:

              Ognuno sta solo sul cuore della terra
              trafitto da un raggio di sole
              ed è subito sera.
                                                        (Ed è subito sera, 1942)

Ma D’Elia si è sempre accompagnato al “fanciullino” di pascoliana memoria, struggendosi per la spontaneità e freschezza durante la via percorsa, a volta crudele e “matrigna”, e nello specchio tenta la realtà del suo riflesso, nel sogno del passato aperto all’alba propizia di vita serena e semplice.

Tuttavia, tra le pieghe degli “enigmi” della vita, irrompe inesorabile l’altra faccia, quella oscura e misteriosa che apporta ribrezzo, odio e prevaricazione, facendo apparire i fantasmi della divisione e dell’ignoranza.
Il “fanciullino” di tre anni annegato, insieme ad altri migranti, in cerca di vita, di dolcezza e di speranza, è disteso sulla sabbia del mare, vittima sacrificale dell’idiozia e della più vergognosa ingiustizia ne “l’auola che ci fa tanto feroci” (Dante, Paradiso, canto XXII, v. 151).
È una delle tante tragedie, che ormai non si contano più, ne fa parte di una lunga fila, che ancora non finisce, sprofondando nell’“abisso orrido” che tutto dimentica e ingoia l’età, le cose e persone perdute.
Ma la poesia, il suo verso di vita e di senso, è la via della “spes” che non muore, non cede, non s’ingabbia e parla, invece d’amore infinito, di un giorno di festa.
Il verso è un’arma nelle mani del poeta, che sotto la superficie del sogno sente, prova, assapora sino in fondo la bellezza, l’amore, la speranza, ma anche patisce l’angustia dei giorni più bui degli uomini, fratelli di una stessa vita che ad alcuni mostra sempre il buio dell’ingiustizia, la mano fratricida, il falso sorriso e l’inganno, mentre l’ingordigia accumula ricchezza volgare e spropositata e briciole ai “fratelli” sfruttati.
La vita ci lascia dopo tanto tempo, come una cosa vecchia, ma la poesia non si fa “mettere da parte”, perché è il senso più profondo, intimo, del cuore dell’uomo.
È un capolavoro avvolgere il reale e penetrarlo con la bellezza del verso, che non ha paura della vita che declina, perché, come dice D’Elia: i versi vivono per giorni o per anni nel cuore degli altri, magnificandoli, e dunque non muoiono. La poesia ha questo dono, creare come la radice del suo nome:

              tutti la chiamano poesia.
              La guardano corteggiandola
              ma io voglio che canti
              al mio cuore l’amore vero.

La realtà vive nel verso di D’Elia, trasparendo, non apparendo, per scandagliare in silenzio l’intimo più profondo del cuore dell’uomo, e per farlo riemergere col sorriso tagliente, nella realtà vera, che non imita e non finge.
E scrive D’Elia: quando il sorriso passa dal cuore ci purifica dagli affanni.

Ma l’uomo, giovane o vecchio, è sgomento e incredulo, solo, quando la natura mostra la sua potenza, immensa, superiore di molto a ogni creazione umana.

Sono i ricordi dello specchio, quelli dell’infanzia, che attutiscono la solitudine, e riconducono il Poeta tra i bambini:

              La palla di pezza era il nostro gioco.
              Ricordi di vita, di guerra.

              Nel labirinto la morte abbracciava
              famiglia, lacrime, lotte per la vita.

              Boati, Bombe, Sensazioni di pace
              Per la guerra che finiva.

È un rinnovarsi della giovinezza.

              Tornano le voci nelle famiglie
              a provare le delizie della vita
              nell’ebrietà della luna.

Ed è anche una promessa per la propria terra:

              Combatteremo insieme
              le lotte della vita, fianco
              a fianco nella terra salentina.

Con l’odore della sua terra e la vista del mare:

              Il Salento è la terra
              dove l’uomo nasce
              tra gli ulivi
              il suo dolore
              è pungente
              come i fichidindia
              ……………….
              L’uomo nato nel Salento
              ama la sua casa e la memoria
              lo accompagna con le parole
              e lascia la sua speranza ai figli.

In ciò che D’Elia col suo verso scrive al padre vi è il sogno di bimbo e la realtà ombrosa della vita:

              Quand’ero bambino la sera
              camminavo sicuro con la mia
              mano stretta alla sua e il mio
              sorriso era aperto ai sogni.

È la nostalgia struggente della vita, cantata dal verso di Poeta.

Franco Nicoletti
Alpignano, 8 Febbraio 2019

Anno Edizione

Autore

Collana

Recensioni

Non ci sono ancora recensioni.

Scrivi per primo la recensione per “Il tempo nello specchio”

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati