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Autore: Miriam Pierri
Editore: Genesi Editrice
Formato: libro
Collana: Le Scommesse, 538
Pagine: 164
Pubblicazione: 2018
ISBN/EAN: 9788874146840
Prefazione
Con Dieci parabole per Autore Miriam Pierri ha scritto il “romanzo labirintico”: la soluzione conclusiva resta da scoprire da parte del lettore; quindi, la liberazione del lettore dalla trappola della scrittura diviene estremamente complicata, perché lo scrittore non si presta a scodellare al lettore la “versione esatta delle cose”, ma al contrario illustra una quantità di sviamenti, errori, false interpretazioni, rovesciamenti delle parti che possono essere originati dall’esposizione dei fatti. L’intento di Miriam Pierri è quello di demistificare il potere acclarante della scrittura, come strada maestra di riflessione e di ordinamento della realtà. L’Autore non è un demiurgo che possiede la suprema virtù di sancire la versione corretta delle cose, ma al contrario appare come il “Principe dei demistificatori”, capace di nascondere sotto il fascino incantatore delle parole la verità dei fatti e di farla scomparire all’interno di un labirinto fuorviante di ipotesi contraddette.
Ovviamente non è la prima volta che uno scrittore formula l’esempio di una scrittura mistificatoria o vanesia o ingannevole, comunque incapace di realizzare la corretta partitura dei ruoli tra i personaggi per giungere alla soluzione chiara del racconto. Basti pensare al capolavoro teatrale di Luigi Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, in cui si rende evidente che la “trama reale” della scrittura è una totale falsità operata chissà da chi, probabilmente dall’Autore, ma poi neanche, forse dal diavolo o da una strega, al punto che l’opera si conclude con la risata cinicamente stridula e diabolica della Figliastra, che è uno dei personaggi in cerca d’Autore. Anche Italo Calvino con il romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore, uscito in tempi relativamente più recenti nel 1979, fa i conti con le molteplici possibilità offerte dalla scrittura di imbastire delle vicende di fantasia e contemporaneamente con l’incapacità di giungere alla realtà conclusiva. Il modello di Calvino appare assunto come spunto d’ispirazione da parte di Miriam Pierri, che non quello pirandelliano. Infatti, anche Pierri adotta il criterio seguito da Calvino, di inserire in una cornice esterna alla vicenda dieci avvenimenti fuorvianti ed autonomi rispetto a quella che presumibilmente è la vicenda centrale del “Delitto nel Collegio”, che rimane sospeso in una risoluzione dubitativa e dubitabile.
Miriam Pierri concepisce un romanzo inimitabile, che si presenta in totale autonomia rispetto alle opere appena citate, anche se ovviamente, come provetta scrittrice, Pierri dimostra di avere piena conoscenza dei precedenti capolavori della letteratura italiana. In Pierri c’è un gioco omerico di negazione dell’identità: l’Autore non ha nome, ma il suo Alterego si chiama Nessuno, come Ulisse. Si crea così la nebbia sull’Autore del “delitto del Collegio”. Va detto che, come avviene nei romanzi di Agatha Christie, c’è una cornucopia di azioni delittuose. Il romanzo potrebbe essere inserito nel filone dei gialli-noir, se non fosse che è sostanzialmente un romanzo di alto costrutto letterario, al punto che non nasconde l’intento di fare il punto sulla condizione di attualità della parola letteraria, sia in prosa sia in poesia. Infatti, va detto che il romanzo di Miriam Pierri è più esattamente un prosimetro, cioè un’opera scritta sia con l’intento di fare prosa sia con quello di fare poesia, perché non solo contiene parti poetiche, ma soprattutto perché esercita l’inclinazione interpretativa della realtà del mondo, come fa la poesia, e contemporaneamente porta avanti la vocazione denotativa della realtà mondana, come è nei canoni della prosa. Quindi, si tratta di opera di prosa poetica ovvero di poesia in prosa.
Fondamentale importanza ha l’atmosfera tipica delle opere di Pierri che è ricreata con sicura perizia nel romanzo. Per tutta l’opera è proposto un contesto orfico, in cui la realtà è un sogno, anzi più propriamente un incubo alla Edgar Allan Poe; c’è una evanescenza nei fumi dell’alcool e una ambiguità nei fantasmi della droga; c’è sempre un’indagine psicanalitica che corre sul filo di ogni singola vicenda, con delle soluzioni che alludono a poteri paranormali diffusi nell’ambiente come veleni sottili o come agenti inquinanti tossici che si respirano in uno con l’aria, per cui tutti i personaggi soggiacciono a questa deformazione della realtà in una dimensione alterata di possibilità di azioni e di pensiero. Il lettore vive un appassionante giro di ottovolante, che si slancia sulle cime e negli strapiombi del significato: un racconto che si proietta tra i barbagli accecanti della verità e le tenebre oscure della dannazione. C’è una grande perizia di scrittura, capace di scatenare la fantasia del lettore che diviene interprete di una vicenda enigmatica, angosciante e attanagliante, prima di giungere alla conclusione finale.
Sandro Gros-Pietro
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