Colmo di freschezza saturnina, il libro di racconti di Andrea Saratoga, L’odore del tempo, appare meditabondo, riflessivo, melanconico, perché sensibile agli influssi del caso, della sorte avversa, del ghiribizzo degli astri.
Vi pulsano dentro le metamorfosi umane, di an­tica memoria di Ovidio e di Kafka, tra le analessi e le prolessi, con continui tuffi nel passato e nel futuro della vicenda.
Sono storie di protagonisti intricati, dal doppio o triplo volto, sgusciano come anguille, nei gorghi del destino, dove si nascondono e si appalesano, in epifanie rivelatrici e in discanti illusori.
Trionfa un segno rivelatore e di buon auspicio, quello della luce che invade gli anfratti oscuri dei racconti, illumina i personaggi e le stanze di vita, incendia la fantasia del lettore, rapito dal fascino e dagli enigmi descritti borderline del reale.
Ma trionfa anche una città, Moncalieri, che è la Macondo di Saratoga, come per Marquez è un luogo magico, sospeso tra realtà e finzione, un im­menso universo che ha alle sue dipendenze il borgo cittadino di Torino, capitale del Piemonte.
In questo rovesciamento delle dimensioni c’è l’autentica astuzia narrativa di Andrea Saratoga, la sua calibrata sapienza di cogliere l’odore del tempo.

Sandro Gros-Pietro

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