PREFAZIONE

Nel subisso di poeti italiani contemporanei, quasi tutti di inclinazione esterofila, per lo più anglo-americana ma sovente anche ispirata ad autori dell’Europa orientale o addirittura dell’estremo Oriente, Daniela Della Casa rappresenta un felice caso di scrittrice che riprende con convinzione e con amore la grande tradizione italiana di fine Ottocento e di tutto il Novecento, per rinverdirla con fantasia e garbo, in un’attualità di accenti personalizzata, che sfocia in un esito luminoso e per nulla intellettualistico. In questi versi si ritrova l’atmosfera caratteristica dei grandi temi della civiltà letteraria italiana che si sono imposti come distintivi del nostro stile di rappresentazione poetica, e che sono noti e apprezzati non solo nella civiltà occidentale ma anche nel resto del mondo, quali l’amore filiale, la sacralità della memoria degli avi, la religione del desco familiare e il legame con le cose d’uso quotidiano, la gioiosità sensuale dell’amore e la profondità intimistica del rapporto monogamico, l’amore per la natura non solo come fascino di immedesimazione panica con il creato ma anche come specchio metaforico e antropomorfo di rappresentazione dell’intera umanità, la meditazione filosofica sui grandi temi dell’esistenza e primi fra tutti sull’inevitabilità del dolore e sull’evanescenza angosciante della giustizia e della verità, l’aspirazione irrinunciabile a una ricapitolazione metafisica delle cose del mondo. Queste tematiche hanno contribuito a delineare il carattere di italianità della nostra poesia. È un carattere che ancora oggi non è da tutti i critici universalmente riconosciuto, ma che sempre più viene avvertito dagli studiosi e dagli appassionati di poesia come espressione di alto e ampio registro, certamente tra i più eccellenti all’interno della civiltà occidentale. Daniela Della Casa, con il libro di poesia Vaniglia, dolce amarcord, ha precisamente inteso valorizzare e rinnovare la tradizione italiana e ha deciso di marchiarla, già nel titolo del libro, con la cifra della nostalgica rammemorazione dell’amore filiale verso il padre, provetto pasticcere che profumava di vaniglia, come un profumiere tendenzialmente olezzerebbe di bergamotto. Zuccherini non sono solo i ricordi riferiti al padre, ma tutta l’atmosfera familiare di mamma, nonna, zia e di un talentuoso zio, che cita a memoria Baudelaire e Tolstoj e che va alla ricerca del tempo perduto a braccetto con Proust. In questa atmosfera di lemuri della memoria, perduti e ritrovati come la Recherche imposta e conclude, la figura del padre s’incastona come il solitario che splende di luce altra e superiore: prigioniero di guerra consegnato al casalingo riposo del guerriero, intramontabile amante della vita che canta romanze da fare fremere il cuore della bimba piccina, genitore gioioso che sottrae alla fiamma le caldarroste che “a son per i mort” e che se le gode in un deliquio domestico di sogni e di favole, con la piccina a fianco che si riempie gli occhi e l’anima di tanto padre. Non c’è solo la famiglia ristretta, in questa prima sezione del libro che s’intitola Il ricordo, ma c’è piuttosto un lessico familiare che si distende in una panoramica di riferimento e di documentazione sull’ambiente culturale e letterario in cui vive la scrittrice, non già a livello nazionale come ha rappresentato Natalia Ginzburg nel 1963, ma piuttosto in chiave provinciale e paesana come amò fare Guido Gozzano nel 1907 con La via del rifugio, ma con l’intento di farne una metafora universale al di là del tempo e dello spazio. Così, quella tale farfalla che in chiesa misteriosamente prende il volo dal feretro della poetessa Ines Poggetto altro non è che la Psiche, figura mitologica prepotentemente amata e cantata dai poeti occidentali per oltre duemila anni, ma anche etimologicamente è la “farfalla” in lingua greca, cioè l’insetto metamorfico più bello del mondo, e che gode di una specie di reincarnazione in se stessa.
La seconda sezione del libro si chiama Amore e celebra il viaggio di ricerca di Penelope, la prima femminista della storia che si fece beffe per vent’anni dei Proci che l’assediavano – oggi si direbbe che facevano stalking – intorno al suo talamo, riservato a un’idea forte di amore coniugale e monogamico. Della Casa rinvigorisce forme e modi dell’espressione d’amore ispirandosi a modelli ben più recenti di quelli omerici, come troviamo in Innamorarsi ancora, dove l’autore citato è il poeta, cantante, attore e regista Jacques Brel, che in tempi recenti fu un’autentica autorità in questioni di cuore, come lo fu qualche anno prima Jacques Prévert, e come lo sarà in anni di poco successivi Lucio Battisti. Della Casa, quindi, va alla ricerca della radice comune di ispirazione che affratella i poeti con i cantautori in questioni di rima baciata cuore-amore. Ma le fonti principali di ispirazione della poesia di Della Casa restano agganciate agli autori italiani del Novecento, come appare nella poesia La villa, che è ricca di echi e di ideazioni di natura pascoliana, specificamente ispirati a Il gelsomino notturno, e che conducono alla levità della segreta alcova d’amore coniugale che può essere custodita tra le ospitali mura domestiche. Nella sezione dedicata alla natura, non solo c’è l’incanto per la bellezza sognatrice del creato e delle sue creature, ma in particolare modo c’è il trionfo del più intimo e meno addomesticabile animale amico dell’uomo, il gatto, che viaggia per le pagine e per i versi della scrittrice in un trionfo multiforme di aspetti, colori, comportamenti, apparizioni e atteggiamenti enigmatici, marchiati soprattutto dallo splendore del suo sguardo magnetico e imperscrutabile.
La terza parte del libro si chiama Meditazioni e sviluppa alcuni dei grandi temi che prima abbiamo elencato. In generale, Della Casa predilige la concezione del testo in forma di racconto narrativo lineare, sovente sottolineato da anafore, ripetizioni, talvolta anche da ritornelli o da rondeau, che richiamano la forma armonica della ballata medievale, ulteriore allusione ai punti di congiunzione e contatto tra la canzone e la poesia, addirittura il ballabile, come si usava nel medievo. È tanto più vero quanto si è appena detto se si esamina La poesia, un testo che più d’altri è costruito per elaborare una poetica di immediato riferimento, con una concatenazione di anafore e di altri vari tipi di ripetizioni. Ma, ancora una volta, si conferma l’esercitata attenzione della poetessa a richiamare nella memoria del lettore i grandi esempi della poesia italiana del Novecento, come accade in Indietro mai, che allude a una delle maggiori cuspidi di bellezza e di significato della poesia italiana, precisamente alle trenta poesie di Giorno dopo giorno di Salvatore Quasimodo, in particolare alla poesia Il traghetto, ove il poeta di Modica scrive è tempo, i cani avidi si lanciano / verso il fiume sulle peste odorose e la poetessa di Lanzo riprende e rinnova il concetto della vita che si consuma come una fuga lasciando peste grevi sui gradini, fino ad adombrare nella chiusa della poesia l’incombenza enigmatica della morte, esattamente come fece Quasimodo. Rivediamo, invece, affettuosamente rievocato l’Umberto Saba delle celeberrime cinque poesie sul calcio nella bellissima poesia Gioia mondiale, che è certamente un delicato omaggio al grande poeta triestino. Richiamano, invece, apertamente Gli aquiloni di Giovanni Pascoli quelli di Daniela Della Casa, con l’invito che fu già di Pascoli di “farli salire” più in alto possibile, al di sopra di ogni misura fisica della grandezza, in una dimensione di pura idealità. Gozzaniana, infine, appare la poesia Lucore di perla, che scatena la forza di rappresentazione e di invenzione della fantasia, innescata da una semplice chiave – che di per sé è già una metafora polivalente – saltata fuori da un vecchio cassetto. Apre un nuovo e importantissimo capitolo la poesia Femina agabbadora, che introduce la novità della tradizione popolare come fonte di poesia, cioè il folclore, i miti e le leggende del passato, anche se ormai appare abbastanza acclarato che queste donne dispensatrici della buona morte ai moribondi siano realmente esistite.
L’ultima sezione del libro, dall’accattivante titolo L’amicissia a scauda, declina la poesia in forma di amicizia tra gli uomini e demanda a quel bellissimo slogan elaborato da uno dei maggiori critici letterari italiani oggi viventi, il fiorentino Emerico Giachery, autore del bellissimo libro Letteratura come amicizia.

Sandro Gros-Pietro

Anno Edizione

Autore

Collana