PREFAZIONE

Con la grintosa verve che lo contraddistingue, Franco Zoja affronta due temi che gli sono cari, quello dell’accumulo di memoria e cultura che ci provengono dal passato e quello della vecchiaia propriamente detta, che incombe come terza stagione di età a ciascun uomo che abbia la fortuna di raggiungerla. In realtà, i due temi non rappresentano una contrapposizione dicotomica, ma piuttosto una continuità consequenziale, in quanto entrambi generati dal fluire del tempo. Ma la prima, la memoria, viene per lo più esposta nel suo valore collettivo e universale, come sapienza umana accumulatasi nel cammino delle civiltà che si sono succedute. Al contrario, la seconda – la vecchiaia – è più trattata come anticipazione autobiografica di una stagione della vita in progressivo avvicinamento. La riflessione sulla cultura e sulla memoria del passato spazia tra l’antichità greca-latina e l’Ottocento della letteratura italiana, in specie fino a Leopardi, autore molto caro a Zoja, al punto di citarne non solo L’infinito (e sovrumani silenzi / e profondissima quiete), ma anche due brani diversi del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia. Anche nella prima parte del libro, tuttavia, vediamo come vi sia una presenza dell’elemento autobiografico, in quanto in Zoja vi è un continuo scambio di ruoli, di posizioni, di funzioni tra la dimensione individuale e quella collettiva. Senza mai risolvere in toni piccati da sentenziosità o da concettosità prolissa, tuttavia Zoja va sempre allo scavo delle cose, va alla ricerca delle ragioni profonde per fare luce sui nessi di capricciosa casualità del destino, che poi, invece, ove si indaghi più a fondo, rivelano un principio causale quasi sempre riconducibile alla volontà dell’uomo e, ben più sovente, alla sua mancanza di vo­lon­tà, alla sua imperizia d’agire o quand’anche alla natura maligna diffusa in tanti comportamenti umani. Non c’è mai in Zoja il tono querimonioso dell’afflitto, ma semmai la carica di ironia e di sdegno di chi denuncia fatti e vizi umani senza girarci intorno, perché la natura dell’autore è quella del burbero che le canta schiette ai suoi lettori, senza eccedere in irascibilità, ma anche senza mai adoprarsi a indorare le pillole della critica e dei rimproveri. Nella seconda parte del libro, però, c’è anche un poco di spazio e di occasioni per aggiornare almeno in parte il cahier des doléances che gli acciacchi della salute e l’incomodo degli anni vanno scrivendo da soli, senza che lo scrittore possa impedire l’assedio dell’età alla sua vita e alla sua scrivania. Anche in tale situazione si crea uno spettacolo a miscuglio tra ironia e sdegno, per la perdita parziale di efficienza e di capacità di lavoro al crescere del peso degli anni. Ciò che non si piega mai è quella benevola ruvidezza di carattere che fa da grattugia agli orpelli inutili della vita e che porta Zoja ad andare sempre con precisione al bersaglio dei suoi obiettivi.

Sandro Gros-Pietro

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