PREFAZIONE

Ivana Trevisani Bach è nota per il suo impegno nei confronti dell’ambiente naturale. Da parte della scrittrice si tratta di un fervore ammirativo rivolto alla Natura la cui capacità di rinnovare la vita sul Pianeta Azzurro non ha mai smesso di commuoverla. Il sentimento di amore per la Natura è indubbiamente all’origine della civiltà umana, poiché quasi in modo simultaneo l’uomo supera il comportamento istintivo tipico degli animali quando riesce a elaborare la consapevolezza ragionata della propria identità autonoma e contemporaneamente dell’alienità dell’ambiente esterno in cui vive. Essere consapevoli sia del proprio io sia dell’ambiente esterno rappresenta l’immensità del salto che si frappone tra tutte le creature viventi unite insieme e, dall’altra parte, l’unicità esclusiva dell’uomo, il solo essere vivente che elabora la nozione della sua autonomia e che modifica tale criterio nello scorrere dei secoli e nel rinnovo continuo delle civiltà. La civiltà nasce quando l’uomo intuisce di essere altra cosa dall’ambiente. Per elaborare tale intuizione probabilmente deve consumarsi un’intera temperie di secoli e di millenni, durante i quali è quasi impercepibile la differenza esistente tra tutte le creature costituenti la scala più alta degli esseri viventi, cioè i mammiferi, gli unici dedicati ad allevare la prole trasmettendo ad essa il patrimonio delle esperienze elaborate in vita: una scimmia primate per oltre un milione d’anni appare del tutto simile all’essere umano. Poi avviene la scintilla prometeica: l’uomo assume consapevolezza della sua autonomia rispetto all’ambiente in cui vive e scopre di avere dentro di sé un immenso universo che non esiste in natura. In quel momento nasce la civiltà umana, in una lontanissima notte dei tempi di cui neppure gli antropologi hanno chiara datazione. E in quel momento parte il treno del progresso, che fermerà in ogni stazione. Il rapporto dell’uomo con l’ambiente cambia in continuazione, si invertono alternativamente i poli della dialettica servo/padrone della Natura. La Scrittrice sorvola giustamente con rapidità l’oltre mezzo milione d’anni che contraddistingue la civiltà umana, per soffermarsi nei tempi più recenti della nostra civiltà occidentale, estremamente giovane, con circa 11.000 anni di cammino alle spalle, in cludendo tra i nostri diretti antenati gli Egizi, gli Itti, i Sumeri. Sono civiltà in cui gli uomini tremavano da vanti all’immanenza invincibile della Natura e ad essa soggiacevano: individuavano nella Natura una serie di divinità sia prodighe di doni sia severissime di giudizi e di punizioni. I poeti dell’antichità inventarono il Dio Pan, un personaggio ovviamente antropomorfo, buono, fecondo e facondo, amante dell’arte, della musica e dell’eros. Avere un sentimento panico, nel mondo an tico, significava immedesimarsi profondamente nel l’ambiente naturale e vivere in serenità e appagamento con la Natura, considerata la divinità madre di tutti gli esseri viventi. Ben presto il treno della Scrittrice arriva alla contemporaneità e mette a fuoco una ulteriore consapevolezza elaborata dalla civiltà umana contemporanea: la Natura non è né inesauribile né eterna né invincibile, ma al contrario è peritura, non totalmente rinnovabile, e inoltre sopravvive in un equi librio sempre precario. Nasce la nuova scienza del l’ecologia che studia i danni, le modificazioni diminutive e restrittive causate dalla civiltà umana alla Natura e contemporaneamente studia i rimedi a cui ricorrere per tutelare l’ambiente in cui l’uomo vive e tenta di preservarne le risorse. Anche i poeti diventano alfieri del nuovo atteggiamento. Nascono movimenti letterari rivolti alla Natura. Già in altra occasione ne abbiamo citati due, precisamente la Geoepica, fondata dallo scrivente, e l’Ecopoesia, fondata dalla nostra scrittrice, la poetessa Ivana Trevisani Bach.
La Scrittrice ha introdotto il suo libro con una presentazione acclarante del movimento poetico da lei fondato, intitolata Manifesto di Ecopoesia italiana. Gli elementi essenziali sono dati, ancora una volta, dalla scelta degli argomenti e dall’elaborazione del linguaggio. Gli argomenti si riassumono in un’unica espressione: l’Ecopoesia è la voce degli esseri viventi che non hanno mai avuto voce. Si debbono intendere in primo luogo la fauna ossia il regno animale e la flora, ossia le piante. Ma anche gli esseri umani derelitti, abbandonati e violentati: cioè, i perdenti ovvero, come già li aveva chiamati Giovanni Verga, I Vinti. Ma si deve intendere anche la materia grezza, le cose, gli oggetti, che sono di supporto, testimonianza e turiboli sacri della vita. Si deve intendere l’intero Pianeta Azzurro, la Terra, catturata nell’orbita intorno al Sole, a passeggio all’interno della periferia della Via Lattea. Ma si deve intendere l’intero cosmo, con il numero strabordante di miliardi di galassie come la nostra, con milioni e milioni di pianeti a noi invisibili, presumibilmente abitati da altri esseri viventi. Si deve intendere anche le teorie astrofisiche, come il Big Bang, il Big Crunch, il Big Bounce. Gli argomenti dell’Ecopoesia sono dunque di un’immensa quantità e spostano l’interesse della Poesia da quella delizia e croce che è stata per oltre due secoli, cioè per tutto l’Ottocento e per tutto il Novecento consistente nell’esplorazione del proprio io, l’animo umano, i sogni, i sentimenti, l’eros, le ambizioni, i vizi, le perdizioni, le visionarietà, le mire dell’uomo. Tutto ciò quasi sfuma o meglio si rimpicciolisce, viene ridotto nel peso specifico di un trascurabile affare di banale follia come se l’immensa farragine della pazzia umana divenisse la piccola ampolla simile a quella che conteneva il senno di Orlando raccolto da Astolfo sulla Luna, di cui narra Ludovico Ariosto nell’Orlando furioso. I grandi temi della poesia divengono per Ivana Trevisani Bach la rappresentazione agli occhi del mondo della maestosa possanza dell’universo, il respiro delle stelle, la fragilità della materia percepibile, la presenza della materia oscura, il consumo di vita del sistema solare, le ere definite della Terra, la precarietà del nostro bellissimo Pianeta, l’azione devastatrice dell’uomo, il pericolo che la civiltà umana renda immensamente più veloce il consumo e la decadenza entropica del Pianeta Azzurro, condannandolo a decadere e a deperire molto prima dei suoi naturali tempi astrofisici, che comunque non collimerebbero mai con l’eternità. Quella di Ivana Trevisani Bach è, dunque, una poesia dal carattere decisamente innovativo: è la festa di un novello umanesimo, nella quale la Poesia si rende musa rappresentatrice e sognante del sapere scientifico, nonché divinità protettrice dei diritti delle creature esistenti nel mondo, in primo luogo gli animali e le piante, ma anche gli oggetti e le cose grandi o piccole che siano, le acque di sorgente, le nevi dei ghiacciai, le profondità abissali dello spazio. C’è un grido di allarme contro la violenza, contro l’orrore che, nella sua inimmaginabile piccolezza e stupidità, se messa a confronto con l’ampiezza del cosmo, l’uomo è capace di sviluppare a danno delle altre creature e dell’ambiente. Gli esempi che la Poetessa fornisce sono veramente una galleria illustrativa delle vergogne del comportamento umano nei confronti dell’ambiente. Tuttavia, ve n’è una che assume il significato più esplicito dell’orrore e dell’abiezione fino a cui l’umanità è capace di spingersi e consiste nell’istituzione delle fattorie della bile, principalmente in Vietnam, Corea e Cina, ove si torturano in mondo orrendo i bellissimi orsi tibetani, ormai in via di estinzione, anche detti Orsi della Luna, per la macchia di pelo bianco che portano sul petto a contrasto con il nero del mantello. Viene loro infilato un sondino nelle carni per raggiungere la cistifellea che produce la bile. Il povero animale deperisce tra atroci dolori, fino alla morte. L’ignoranza della medicina cinese attribuisce alla bile dell’orso un effetto curativo con ampio spettro di efficacia, panacea di molte terapie del dolore. Questa pratica è più che millenaria e benché oggi sia proibita continua a essere praticata in alcuni Paesi. Tuttavia la ricchezza degli argomenti della Ecopoesia non esclude la conservazione di molte tematiche della poesia di ogni tempo, come la nozione dei sentimenti familiari, in particolare le figure genitoriali, il canto amoroso dei luoghi natii, l’identificazione del poeta con i luoghi più amati nel corso della vita, che, nel caso della Scrittrice sono i litorali della Liguria e in particolare modo la cittadina di Albisola. Il tema centrale che funziona in qualche modo da fil rouge dell’intero libro di Poesia della Trevisani Bach è il sentimento del tempo, che, come gli astroficisici insegnano, è una dimensione inventata dal ragionamento umano, ma che non appartiene alla realtà cosmica dell’universo, non è una variabile indipendente, poiché per gli scienziati solo lo spazio e l’energia sono le misure totali del cosmo. Il tempo, che fu già l’enigma principale del poeta Mario Luzi, diviene in Ivana Trevisani Bach una grandezza confinante con il mistero e con l’opalescenza del divinum, in questo mondo dove Dio, se esiste, è una entità assopita in una dimensione irraggiungibile, se non che shakespearianamente, nel sogno di una notte di mezza estate. Sulla scena del mondo rappresentato in Poesia il grande attore è, dunque, il Tempo, che tuttavia si nasconde dietro le quinte, e lascia intravedere solo gli effetti della sua opera trasformativa, per lo più disgregatrice ed entropica, con cui consuma e corrode gli oggetti e gli esseri viventi. Il Tempo è anche rappresentato dalla metafora del Treno che viaggia per le piccole stazioni della riviera ligure così come viaggia per le sconfinate distanze universali che separano i miliardi di galassie e che caratterizzano i presumibili quattordici miliardi di anni di vita dalla creazione dell’universo, con l’iniziale Big Bang, sulla cui manifestazione primordiale gran parte degli scienziati concordano.
Resta da dire ancora qualcosa sul secondo elemento che ogni poetica deve sviluppare, oltre alla tematica: si tratta dello stile del linguaggio. Quest’ultimo, proprio in omaggio al concetto di Nuovo Umanesimo, deve essere il più semplice possibile, piano, aperto, facilmente comprensibile ed essenziale. I riferimenti sono attribuibili ai massimi esponenti del genio italiano: si consideri la semplicità letteraria dei Codici di Leonardo; le annotazioni, le epistole e le splendide (e facili!) poesie di Michelangelo; l’impareggiabile e semplicissimo Dialogo dei Massimi Sistemi di Galileo Galilei. Il genio si distingue sempre per la nudità essenziale delle parole: poche, nette, ordinarie e costrutte in modo assolutamente impareggiabile. L’esposizione letteraria e poetica di Trevisani Bach vuole avere le caratteristiche dell’alimento essenziale, in metafora è la focaccia di farro, quella con cui si alimentarono il Messia e suoi discepoli, cioè il linguaggio dell’essenzialità della comunicazione, che trascura l’eleganza retorica dell’ostentazione lessicale, ma che punta dritto alla persuasione argomentativa, tanto per dirla in accordo con Carlo Michelstaedter, nella sua principale opera La rettorica e la persuasione.

Sandro Gros-Pietro

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