PREFAZIONE

Per Francesco De Palma la poesia era una pratica quotidiana, consuetudine di uno sguardo cordiale alle cose e alle persone – come quotidiana era per lui l’annotazione notturna sul diario di pensieri, idee di versi, istantanee di vita. Il passo faticoso della giornata, di per sé esercizio solitario del pensiero nel tempo, trovava così per lui senso e riscatto. E, fra queste scritture, quella della poesia era l’esondazione inarrestabile di una colonna sonora composta e connessa intorno agli sguardi, ai passi, alle parvenze del mondo. Non solo chiave e decifrazione delle cose, ma soprattutto dono d’a/Altrove per onorare questa attesa di Vita che per lui era l’esistenza terrestre.
Ci ha lasciato definitivamente, Franco, sei anni fa, ma il male lo aveva colpito due anni pri­ma, limitando in modo intollerabile per i familiari e gli amici il suo carisma comunicativo, la sua straordinaria capacità di parola e di narrazione. Ma già nel 2001, subito dopo l’uscita presso Genesi Editrice della mirabile autoantologia che aveva voluto intitolare La ricapitolazione per esplicitare la riconduzione al mistero del Cristo di tutta la sua esperienza umana, poetica e spirituale, aveva in­formato di avere “un libro pronto”. Di aver cioè già preparato un nuovo, strutturato libro di poesia, raccolta estrema di testi vecchi e nuovi esclusi dall’antologia o perché non ancora compiutamente rimeditati o perché, troppo numerosi, l’avrebbero eccessivamente appesantita. E Franco aveva anche detto di sperare che questo libro potesse vedere la luce dopo la sua morte.
Questo è Note per un rendiconto, ulteriore contributo testamentario per chi a lui era stato vicino e gli aveva voluto bene – rendiconto era la parola da lui usata per descrivere l’intenzione che lo aveva indotto a completare questo lavoro che sapeva bene poter essere l’ultimo della sua attività poetica – note segnala peraltro la parzialità dell’intrapresa e l’umano desiderio di nuove prove di scrittura al quale non sappiamo quanto abbia potuto dare seguito nel biennio 2001-2003.

I centoquarantuno testi si articolano in otto sezioni che attraversano tutto lo sviluppo temporale e biografico dell’esperienza dell’autore riproponendo con coerenza e “accettazione” (tipico termine depalmiano) i temi della sua poesia che qui brevemente riassumo:
– la tenerezza del ricordo del “regno del padre”, di una remota patria contadina che appare anche come sintesi storica dell’osservazione infantile e della descrizione adulta della natura;
– il gioco della scommessa suprema, del pari pascaliano affrontato nell’alternanza di una fede confessionale ereditata nella famiglia e nella “patria” e di un dubbio gestito con distacco intellettuale e con la fierezza della modernità: che sarà mai la perdita della scommessa, peraltro non riscontrabile post mortem, se perdita ci sarà? in fondo, anche per De Palma il pari è una scelta di lucida razionalità e di nobile agonismo;
– la pratica dell’umiltà nel perseguimento di una religione intesa prima di tutto come relazione e legame con l’i/Ignoto, e/ma consapevolmente inserita negli apparati ideologici e nelle consuetudini etico-sociali di un rigido cristianesimo paolino – baluardi eretti, alla metà del Novecento, in spirito strenuo di non-conformismo, prezzo pagato dalle potenzialità del pensiero e della cultura per evitare un fatuo orgoglio intellettuale e per coltivare in continuità di amore incancellabile le pratiche civili del “regno” del padre, della madre, e di una dispersa comunità di affetti;
– il rifiuto, financo parossistico e urlato, della violenza e dell’inclinazione alla guerra “insita nel cuore dell’uomo”, la guerra vista e vissuta di persona dall’autore come palestra oscena di sadismo belluino – forse, questo rifiuto è il tema della poesia depalmiana;
– il culto pietoso e fabuloso degli amori d’intorno, una fitta galleria di ritratti familiari – genitori moglie figli nipoti amici – lari viventi e portatori di protezione e di dolcezza, eppure essi stessi bisognosi di attenzione, tenerezza, memoria, narrazione lirica – personaggi che sanno di ipostasi e di eterno e che nei testi sono bellezza, commossa e commovente – strumenti di costruzione consapevole e quotidiana di una umana felicità;
– infine, direi, lo sguardo alla storia pietrificata delle città, amate e non amate, osservate con distrazione di fondo violata qua e là da folgoranti zoomate metafisiche su aspetti minuti, su particolari allusivi alla “sorte antica” di ogni vivente – umano, non-umano – segni o simboli di una condizione irreparabile.

In anni di noiosissima dialettofilia si apprezza il canto spontaneo della madrelingua depalmiana – per esempio il riuso frequente di arcaismi inseriti in un fraseggio funzionale e quotidiano e talvolta, nelle ultime prove, la ripresa originale di forme metriche chiuse – non uno strumento ricercato ed estraneo al parlante comune o al lettore medio, ma una lingua consapevole della propria ricchezza espressiva anche nella più routinaria delle funzioni comunicative – una lingua d’uso estrosa e autentica che nella sua apparente cifra di “antico” emana il fascino metalinguistico e modernissimo dell’obsoleto.

Da non specialista di strumenti critici questo di getto posso dire della poesia depalmiana, – una poesia che, dopo la limpida e definitiva lettura che ne venne data da Giorgio Bárberi Squarotti nella prefazione a La ricapitolazione, meriterebbe una approfondita esegesi critica, e anche una sua filologia, considerando il lungo processo di riscrittura che molti testi hanno affrontato nell’arco della vita dell’autore.
È bello che, grazie alla cura della figlia Daniela e alla sensibilità dell’editore Sandro Gros-Pietro, un certo numero di lettori di poesia possa accostarsi a quest’ultimo “libro pronto” di Francesco De Palma.

Paolo Cagnetta
maggio-giugno 2011

Anno Edizione

Autore

Collana