Prefazione

Tra gli insetti più solerti nel partecipare allo spettacolo di bellezza che il mondo offre vi è indubbiamente la cicala, che Esopo ha ingiustamente mortificato criticandone l’inutilità del canto e che ha posposto, nella scala dei meriti sociali, all’operosa formica, la quale pensa unicamente a modificare l’ambiente in cui vive: costruisce im­mensi formicai e ammassa ingenti riserve di cibo a vantaggio degli innumerevoli discendenti. Eppure è la cicala a ricevere la massima attenzione da parte di poeti e filosofi, e non solo da costoro, ma anche da parte degli innamorati, dei curiosi, e addirittura dei contadini che la trovano divertente e inoffensiva, in quanto salvo rarissime eccezioni, la cicala non nuoce affatto agli alberi della cui linfa si nutre, ma nel contempo diletta il creato col canto, senza molestare gli uomini con punture o peggio ancora diffondendo malattie pericolose.

Questo breve prologo in forma di “elogio della ci­cala” non ha un intento risarcitorio per la mala reputazione dell’omottero affibbiatale dal favolista greco, ma funziona invece come introduzione prioritaria all’ultimo li­bro di poesie di Natino Lucente, Mixtura. Si tratta di una raccolta breve, ma anche densa e importantissima, rispetto alla produzione di Lucente, nonché – come lo stesso ti­tolo lascia intuire – si tratta di un testo “multicanale”, cioè capace di sviluppare il messaggio di difesa e di diffusione della poesia utilizzando diverse lunghezze d’onda, ossia affidandosi al differente canto di più cicale – tanto per restare nella metafora scelta dal poeta – le quali riunite insieme compongono il concento estivo che comunica al mondo la gioia di vivere. Bellissima è, dunque, la poesia centrale, Cicala, che si inizia con l’aperta allegoria del poeta e della poesia, Si sente ancora il canto della cicala, che va letto nel significato alluso di resistenza e di sopravvivenza della Poesia stessa, la quale, a dispetto di una ci­viltà moderna così dimentica dei valori letterari, sopravvi­ve e anzi prospera, nascosta nei cespugli / fra le gialle stoppie / bruciate dall’estate. Ma ancora meglio viene sviluppata la metafora nei versi che seguono, i quali ci fan­no capire che Natino non è un entomologo con retino e pinzette a caccia di grilli, cicale, sputacchine e pidocchi da classificare nel manuale di zoologia, ma è invece un poeta che – proprio come fece Esopo, padre antico di tutte le favole e le poesie della cultura occidentale – si esprime anche utilizzando personificazioni antropomorfe del mondo animale, ed infatti egli scrive: “Nel reale paesaggio che ci avvolge / tornano gli echi delle voci antiche / dissepolte dal vento / quasi risposte a tutte le domande. Sono rumori, suoni indecifrati / come nell’antro cupo di una pizia.” I poeti sono accomunati sia alle cicale sia al sacerdozio della pizia, la vergine vestale che parla dall’oracolo di Delfi in onore di Apollo, la quale si esprime da un “antro cupo”, ossia adopera un dettato ambiguo e so­vente a doppio senso, come può essere l’argomentazione del pensiero poetico. “Un solo giorno vive la cicala”, an­cora scrive il poeta Lucente, il quale non ignora affatto che la cicala, nella sua condizione di insetto terminale vi­ve per tutta l’estate, ma nella condizione di larva ipogea vive sottoterra per minimo tre anni, alcune specie anche fino a diciassette anni, e quindi sono tra gli insetti più longevi esistenti. Similmente, rimanendo in metafora, dire che “un solo giorno vive il poeta”, per chi come Lucente be­ne conosce l’ode di Orazio in cui il poeta romano so­stiene di avere eretto un monumento “aere perennius”, significa che il poeta tra gli esseri umani si equivale alla cicala tra gli insetti: è uno degli esseri più longevi, ma la sua durata è pari a solo un alito di vento nella storia infinita del mondo.

Di straordinario interesse è la poesia Pioggia, così scopertamente simbolista da percorrere un differente ca­nale di comunicazione del dettato poetico rispetto a Cicala, la lirica appena commentata. Qui, c’è una ripresa della tradizione simbolista, al punto che la Poesia viene rappresentata come la Silfide dei boschi, il “madido fiore” che vive nell’ambiente di una selva incantata, cioè, fuori di me­tafora, vive all’interno dei prodigi della letteratura, che è una condizione bene diversa da chi vive nei gomitoli in­trecciati della realtà, anzi la Poesia costituisce un’invenzione/agnizione simbolica e deformante del mondo reale, tra interpretazioni, allucinazioni, miraggi e proiezioni di ve­rità profonde. La poesia si presenta sostanzialmente come la musica delle cose e dei fatti, un concento di parole e di pensieri, di eventi e di sogni, incorniciato in armonie di suoni e di immagini. Il testo si colloca in un’atmosfera vagamente neo-decadentista o anche post-modernista di impronta dannunziana, c’è un’eco di La pioggia nel pineto, ed è proprio la pioggia l’elemento vivificatore da cui prende spunto l’intera costruzione poetica, che, esattamente come in d’Annunzio, si dipana principalmente sulla metamorfosi della realtà e sul trionfo dell’amore, in un’argomentazione che ancora una volta è scritta in chiave di affabulazione, come fosse una fiaba popolata da presenze fantastiche: “Nel caso il tuo corpo di roseo bocciolo dei prati / poi si dissolvesse e la tua bocca verde si ne­gasse ai baci di ranocchi assurdi, forse il giaciglio / ti ac­coglierebbe bella come dicono sia ogni stella”.
Non lontana da Pioggia si collocano le due splendide poesie Nascita e Vita. Infatti, entrambe ripropongono gli elementi formali del racconto fiabesco, con una narrazione scontornata in un’aura di magia e di miraggio. In Nascita, già nella seduzione dell’incipit giocata sul contrasto del gatto nero e della nebbia bianca si riconosce l’atmosfera magosa del racconto fantastico in cui è trasportata la Poesia e i suoi protagonisti umani o antropomorfi: “Nasceva un gatto nero ma era bianca la nebbia / di topi giallo oro e la culla attorniavano le fate, / le streghe come parche restavano lontane / ed un aereo d’argento volava contro il sole”. In Vita il tema è quello dell’erosione del tempo o più esattamente del rinnovarsi indefinito della storia e delle umane avventure, collocate in un paese immaginario che potremmo definire Fantasia, ma non così lontano dalla realtà dei fatti, anzi emanazione ed espressione delle cose realmente esistenti e tuttavia proiezione in tangente della materia grezza del reale, ma ad es­sa inesorabilmente agganciata dal binomio insolubile del­la consequenzialità tra la vita e la morte: “La vita si rinnova, la vita si copre di luna, / la vita che concede speranze ed illusioni, / le parole invecchiando smarriscono il cammino / chi le raccoglie le porta al banco dei pegni. // Pesci nuotano e mutano senza saperlo / le barche hanno ghiaccio in stive profonde, / il verso parla e parla e in fondo nulla dice / un silenzio esiziale si stende sulle cose. // La morte il mondo colora di un nero profondo”.

Ulteriori canali di racconto poetico sono forniti dai modelli di stile espressi in Poesia colloquiale e in Poesia sociale. La prima sviluppa la formula della “poesia prosaica”, cioè della costruzione di un’atmosfera poetica che è un tuffo nel “gomitolo intrecciato della realtà”, anziché essere la tangente che se ne diparte e che si libera dalla forza di gravità della materia grezza come l’astronave schizzerebbe al di fuori dell’orbita in cui è imprigionata e si tufferebbe nell’infinità dello spazio, fino a smarrirsi nel nulla. Al contrario, la poesia colloquiale è ancorata al me­stiere di vivere, per dirla con Cesare Pavese, cioè a una rappresentazione anche diaristica della vita, quasi un chiacchiericcio di voci sulla concatenazione dei fatti che accadono nella quotidianità. Per dirla alla maniera di Giovanni Giudici potremmo intendere questa forma di Poesia una vita in versi, sicuri di citare delle ricette di scrittura poetica che costituiscono un riferimento orientativo per il lettore. La seconda formula, quella della Poesia sociale, realizza la poetica dell’impegno civile e della testimonianza storica che tanta parte ha svolto sia in passato sia in tempi recentissimi nella nostra letteratura – e più ancora nella poesia d’oltralpe e d’oltre oceano – ma gli autori che Lucente ha in mente probabilmente sono voci abbastanza recenti delle sue beneamate terre del Meridione, come fossero Rocco Scotellaro e Albino Pierro.

Tuttavia, la banda di frequenza poetica dei canali che Natino Lucente alimenta con questo suo originale e riccamente propositivo libro di poesia non si ferma qui, perché vi ritroviamo anche soluzioni di ispirazione poetica a lui assai più congeniali, come la poesia della memoria passata, illuminata e ombreggiata di nostalgia e di bellezza, incline a instaurare sulla pagina un’atmosfera di ac­corata rimembranza del tempo perduto. Poesia, quindi, di stampo proustiano, in quanto si realizza in una sorta di ricerca, riordino, ricapitolazione e invenzione del tempo già trascorso. Poesia che va alla ricerca del senso ultimo ovvero del succo simbolico o semplicemente del nesso di causalità degli eventi, che poi, in realtà, nella concezione di Natino Lucente, sfumano in un moderato pessimismo, consistente nell’accettazione del consumo inesorabile della vita e dell’esalazione verso il nulla dell’esistenza di ogni individuo, anche dei più prestigiosi. Per ultimo, non va dimenticata, sulla tavolozza d’arcobaleno del poeta cosentino di Aprigliano, la vocazione irrinunciabile alla poesia ironica, che in questo libro assume la forma inusitata, mai prima proposta, della parodia poetica, consistente nel fare il verso garbato ma anche impietosamente satirico e, quindi, tanto più intelligente e graffiante, delle poe­sie fatte di aria fritta che imperversano su internet.

Si potrebbe definire “poesia della poesia” l’intero libro di Natino Lucente, Mixtura: libro di eccellente concezione della Poesia come declinazione e coniugazione non solo degli stili, ma addirittura delle differenti concezioni di poetica che sovrintendono alla scrittura dei giorni nostri. Il libro è una sorta di miscellanea di testi che, pur nella loro diversità compositiva, ricostruiscono l’organicità di un unico discorso armonico e concertistico sulle possibilità espressive della parola.

Sandro Gros-Pietro

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