Premio I Murazzi per l’inedito 2016 (Dignità di stampa)

Motivazione di Giuria

Il connubio di una parola fortemente espressiva con la felicità di un occhio osservatore, implacabili indagatori della ragione e della follia, fanno di questi versi nitidi e lapidari una delle crestomazie più efficaci della modernità di scrittura in campo poetico, con vasti echi e risonanze sul background della civiltà Occidentale, nella sua fastosa e affaticata sensazione di sazietà delle esperienze.


Prefazione

Nicola Duberti scrive un libretto di poesie di sostanza, malgrado le inconsistenze e le contraddizioni dell’essere. Chiariamo che “libretto” è un vezzeggiativo con valore ammirativo, ma non certo diminutivo. C’è un ossimoro camuffato nel titolo, perché “stagione” sta per dimora ovvero per stazione, e ci fornisce un concetto di durata delle cose che ci circondano: della realtà in cui siamo immersi. E nel contempo, quelle stesse cose appaiono così effimere, evanescenti, indefinibili, ambigue: sono una qualificazione variabile del Grande Enigma che ci sovrasta (e ci sommerge).
Duberti possiede una varietà di registri poetici che vanno dalla cultura alta, di derivazione biblica e mitologica, alla cultura minimalistica del folclore contadino e popolare. Non a caso egli cita The man comes around di Johnny Cash, per sottolineare l’estro del flâneur che osserva il mondo riempiendosi gli occhi di uno stupore tra l’incredulo e il divertito, perché il mondo non cessa mai di sorprendere per la sua capacità di incantare e di deludere, e la poesia è un mirabile abbaglio che possiede i mille riflessi dei globi rivestiti da un mosaico di specchietti rilucenti nelle sale da ballo del tango o se si preferisce della milonga, quella prediletta da Jorge Luis Borges, perché meno tragica, e forse più melodrammatica.
L’accettazione della casualità ingiustificabile degli eventi, la rete delle possibilità e delle connessioni, la variabilità della consistenza e della postura delle cose: sono precisamente queste le tre dimensioni del mondo poetico di Nicola Duberti. Un linguaggio calibrato e lucido come la canna del fucile, per la quale rotolano i proietti delle parole, lungo endecasillabi mi­surati o per versi lunghi prolungati dal silenziatore avvitato in punta, o al contrario subito esplosivi nel botto di un quinario. Ciò accade perché Nicola Duberti possiede molti calibri e li intercala gli uni agli altri con maestria.
Il suo mondo ha la vastità del cosmo: è contenuto all’interno del contado ovvero dell’aia di una cascina, ma si slarga per le immense praterie degli United States of America, per i ghiacci dei poli e per le capitali europee. Il suo tempo inizia nella decadenza del miracolo economico italiano, ma ha radici nel racconto gotico delle streghe medievali, s’infutura nelle strisce quantistiche della moltiplicazione dei mondi.
Duberti è sempre riconoscibile per quell’atmosfera di sogno rarefatto, di incubo scansato, di surrealismo rattenuto che marchia come firma d’autore i suoi sogni poetici: la testimonianza di una parola che è vigile e sognatrice, come le stagioni delle cose, indefinibili e perfette.

Sandro Gros-Pietro

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