Premio I Murazzi per l’inedito 2015 (Dignità di stampa)  

Motivazione di Giuria

L’immaginazione di una perfetta utopia d’eros capace di interpretare il cosmo e il miracolo dell’esistenza come ogni vicenda di possibile unione delle anime e dei corpi è il sogno della poesia sviluppata da Pamela Mancini nella preziosa raccolta La microeternità, idealmente collocata in un angolo edenico tra cielo e mare ove spira un refolo di meltemi, che è metafora dell’alito di vita proveniente dall’antica poesia d’amore, fonte originaria della civiltà occidentale, nel nome di Saffo e di altre voci.

Prefazione

È celebre il pensiero poetico di Emily Dickinson sulla “eternità” che procura l’amore, per cui chi ama non può morire perché l’amore è immortale, anzi, è sostanza divina e perché l’amore fa rinascere la vita nell’eternità. Si tratta di un paradosso poetico che serve a sottolineare la superiorità del sentimento d’amore rispetto alla fragilità effimera delle altre emozioni umane coltivate dal cuore, ma che vale anche nei confronti di qualsiasi altra argomentazione teorica sviluppata dalla mente. L’amore viene illustrato dalla poetessa del Massachusetts come l’unica attività che trascende al di là degli umani confini. In verità, il concetto è sempre stato presente nella cultura occidentale, già Dante riteneva “quasi nipote a Dio” l’arte come amorosa ricerca della verità, e il trasumanare ha sempre affascinato la mente umana, da Dante a Pasolini. Numerose le teorie, le impostazioni, i voli pindarici che proiettano una tangente esterna all’hortus conclusus degli umani destini.
La poetessa Pamela Silvia Ottavia Mancini, che ha alle spalle un entroterra di vaste e di meditate letture poetiche, ci offre con il suo libro di poesia La microeternità, l’individuazione di un’area dell’immaginazione poetica capace di costituire, se non l’eternità scritta con la maiuscola, almeno una prospettiva a scartamento ridotto di ciò che è immarcescibile, e che “sempre” si rinnova identico a sé stesso. Con l’avvertenza che quel “sempre” probabilmente non ha costituzione fi­losofica e teologica di alta statura, ma piuttosto è contenuto nella dimensione ideale dell’evento minimo, ma altrettanto perfetto, luminoso e baluginante di si­gnificati e di proiezioni indefinite e incalcolabili, benché catturato all’interno di una vicenda anonima e quasi ordinaria. È la scintilla che accende il fuoco o meglio è la luce rivelatrice che lascia indovinare l’enigma che ci circonda. Il valore e il calore della luce poetica accesa da Pamela Mancini sta certamente nell’eros, ma in una particolare espressione dell’amore, che è quella della sensualità potenziata e raffinata, educata alle forme più svariate di riconoscimento della bellezza e più di tutto della dolcezza, non tralasciando neppure un gusto quasi cabalistico per l’insondabilità del mistero o per il brivido felino dei comportamenti gatteschi, tipici di una gestualità nel contempo misteriosa e domestica. La Mancini scrive una dolcissima poesia dedicata alla sua gatta, “Vieni, Pallina, / questa notte, / sul mio cuore innamorato // trattieni le unghie / nella tua zampa / e lasciami sprofondare ancora / con i tuoi grandi occhi verdi / magneti striati d’agata e d’argento”. La poetessa, mentre scrive, si porta nella mente e nel cuore Le chat di Charles Baudelaire, “Viens, mon bon chat, sur mon cœur amoureux; retiens les griffes de ta patte, / et laisse moi plonger dans tes beux yeux, / mêlés de métal et d’agate”. L’omaggio poetico, dunque, è polifunzionale, perché è, sì, diretto all’adorata bestiola domestica, Pallina, ma nel contempo è anche un hommage al celeberrimo poète maudit francese, in una sovrapposizione voluta di espressioni di vita coniugate indissolubilmente con la letteratura, nel segno e nel sogno della dolcezza e dell’amore. Mirabile a tale proposito è la poesia conclusiva, intitolata Corpo a corpo, che svela in una sorta di congedo rivelatore la tematica fondante della poetessa consistente nella consustanzialità del “cor­po” della vita e del “corpo” della letteratura, uniti in­sieme nella magia sovrana dell’amore. Al lettore re­stano impressi quei “ghirigori tondeggianti / per sempre impressi sul tuo corpo candido / arcuato per accoglierli”, come fossero tatuaggi marchiati indelebilmente nel corpo vitale del poeta, mentre invece sono i segni dell’inchiostro sul foglio, verso cui la poetessa manifesta il desiderio di “possederti fino all’ultimo istante / il momento di piacere estremo…”.
Anche la bellissima poesia Bussola e uragano ripropone l’identica formula di sovrapposizione di un amore anonimo probabilmente proveniente dai fondali scenici della vita che si sovrappone a un amore vivido custodito nella memoria letteraria, ancora una volta rivelato quasi di sfuggita nel congedo conclusivo del distico “mio cuore capitano, / bussola e uragano”, che agita nella mente del lettore un hommage a Walt Whitman, allo “ship” catturato nella tempesta della guerra, una sorta di “bufera” di Montale, che ingrandisce e depista la guerra di secessione di Lincoln, evocata dal poeta di Long Island: ecco, la splendida dote del canto plurivoco, che Pamela Mancini possiede e dispiega meravigliosamente. È un canto capace d’intonare un ventaglio di metafore plurivalenti, che rendono alato il discorso, ma anche denso di allusioni e di aperture.

Bisogna aggiungere che in Pamela Mancini la letteratura dei grandi e famosi poeti non è collocata su un arcosolio sacrale di venerazione incantata, ma al contrario vive in un continuo scambio e in un rinnovo osmotico di rigenerazione nel segno di quella tale microeternità che sempre risorge dai fatti ordinari della vita e che può trovare un riflesso e un’eco di rappresentazione anche nei fumetti e non solo nei poemi alati assurti alle più nobili glorie letterarie, come intuiamo essere alluso nella poe­sia Maimaki, “i riccioli dispettosi dei tuoi capelli / ingenuo ricordo di passioni lontane / mon­do di fiori colorati / e di cuori che battono / all’unisono…”.
La definizione di questo magico momento di fusione, nel segno amoroso e cabalistico di omaggio incrociato tra vita e letteratura – quest’ultima, la letteratura, è il canto infinito della prima, la vita – è mirabilmente metaforizzato nella poesia eponima La microeternità, in cui tutti gli elementi fondanti della poetica di Mancini sono chiamati all’appello come in un’ouverture d’opera lirica appare la ricapitolazione delle sonate che la caratterizzano: la visione degli occhi, la sensualità del velluto, la dolcezza e la morbidezza, il sonno e quindi il viaggio onirico, la grande richiesta di trasumanare sulla direttrice di un raggio di microeternità. La poesia di Pamela Mancini è, infine, un taccuino aperto di sogni e di parole che producono un mirabile incanto rivolto alla vita e alla destrezza della parola poetica educata a celebrarne i riti, con un amoroso sentimento di verità e di mistero.

Sandro Gros-Pietro

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