Prefazione

Fabrizio Olivero è uno scrittore che palesa un’inclinazione a raccontare nelle sue opere delle vicende storiche per lo più tratte da accadimenti realmente avvenuti, ma poi elaborati con ricchezza di particolari frutto della fantasia creativa. La città di Torino è sovente al centro della produzione letteraria di Olivero, come accade in questo agile poemetto, Il filo di Arianna, il cui titolo richiama alla mente la coraggiosa sfida di Teseo al Minotauro e l’uscita dal labirinto. Tuttavia, malgrado il titolo di eco ellenica, l’opera racconta una traversia collocata nella contemporaneità o quasi, precisamente sia­mo nell’arco di tempo della seconda guerra mondiale. I personaggi principali sono Arianna, la ma­dre di Pepe; il marito di Arianna e Viola che è la madre di Arianna, e, quindi, nonna, del pargoletto Pepe. Gli accadimenti bellici sulla città di Torino sono disastrosi per la popolazione e tragici per Arianna, perché le fanno smarrire le tracce sia della madre sia del figlio. Viola e Pepe, infatti, vengono colpiti da un bombardamento degli alleati mentre si trovano sul tram. Trasportati in ospedale in stato di incoscienza dovranno penare non poco prima di riuscire nel loro intento di ricongiungersi alla ma­dre Arianna, la quale per suo conto non tronca mai il filo di speranza che la unisce ai suoi due amati. Frattanto, Giulio, partito soldato per compiere il suo dovere, verrà ferito gravemente e solo alla fine del racconto si saprà quale sarà la sua sorte. Si tratta, dunque, di un racconto, ma la novità di Fabrizio Olivero consiste nell’averlo sviluppato in versi, ideando un poemetto composto da una serie di composizioni autonome, ciascuna dedicata a celebrare un momento significativo della vicenda ovvero a illustrare uno stato d’animo della protagonista Arianna, coinvolta in un labirinto di peripezie delle quali non riesce a trovare la soluzione, se non che dopo essersene data grande pena.

Il solido impianto della vicenda fa da supporto e da ossatura a tutto il racconto, che è comunque drammatico sia nelle fasi intermedie dello sviluppo sia nella conclusione definitiva. Fabrizio Olivero di­mostra di essere un abile narratore, capace di alternare nella vicenda le ragioni espositive della mente con le attese emotive del cuore, in modo che il lettore si senta guidato a correre con sempre crescente interesse verso l’epilogo finale per conoscerne lo sbocco.

Con questo libro di narrativa in chiave poetica Fabrizio Olivero riprende la grande tradizione dei cantastorie che risalgono fino al medioevo e che non hanno mai smesso di incantare il loro pubblico con le vicende del mondo cavalleresco del ciclo di re Artù. Tuttavia, rispetto ai poemi cavallereschi, Olivero compie una decisa innovazione, in quanto si rifà a una storia contemporanea che se non reale è certamente “verista”, cioè ha tutte le caratteristiche della verità dei fatti. Anche il dettato poetico, bonificato dal ritmo martellante degli ottonari in rima incatenata, acquista un sapore di modernità e di autenticità decisamente attuale, fino al punto che tutta la vicenda appare come il testo di pièce teatrale o ancora meglio come l’episodio illustrato da cantautore moderno.

Sandro Gros-Pietro

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