La ricchezza dei ventidue racconti di Pasquale Palladino, riuniti nel libro che prende il titolo eponimo di Il doppio e la sua metà, assegnato al primo della serie, consiste nella straordinaria facilità e vitalità del dialogo, che illumina di autenticità e di vigore la scena del mondo in cui pirandellianamente il doppio si equivale alla sua metà, cioè le parti diverse assumono una destinazione comune di vanità e di pessimismo arreso e condiviso. Si tratta di una sorta di laissez faire ovvero di una dignitosa rassegnazione all’incombenza trionfale del destino che rende inani i nostri sforzi di mutare la destinazione costretta del binario lungo cui corriamo ovvero del viale alberato descritto in Il sogno. L’immensa produzione letteraria del grande scrittore e drammaturgo siciliano, nativo di Girgenti e premio Nobel nel 1934, è richiamata come un riverbero opalescente nella narrativa coloratissima di Pasquale Palladino. Vi ritroviamo lo stesso umorismo del contrario, tra apparenza e realtà, gli stessi tentativi di uscire dalle trappole dell’abitudine e del tempo, come fece Belluca in Il treno ha fischiato e come fa il protagonista della splendida novella, Vorrei sapere perché, capace di ritrovare la coscienza nel sogno aurorale di una bella fanciulla, chiamata intenzionalmente Aurora. Ma nei racconti di Palladino vi è anche la possibilità di redenzione grazie al sentimento puro e generoso dell’amore che può manifestarsi inopinato nel corso della vita, destinato a riscattarci dal tedio e dal calappio dell’abitudine, purché si sappia riconoscerlo e coglierlo al volo, come è descritto in Il mare, un inverno e meglio ancora in I giorni della merla. Quella stessa epifania di luminosa rinascita, invece, se non viene subito colta, si spegne d’acchito, similmente a un cerino buttato a terra, come si legge in L’addio e anche in Il capostazione. Più in generale, questi briosi e scintillanti racconti rappresentano episodi particolari ma emblematici della vita quotidiana, con ricostruzioni perfette, rivelatrici di vizi, di virtù, di abitudini o di semplici tic, che appartengono al patrimonio culturale di tutto il nostro popolo, ma che in particolare modo sono sogguardati e ricostruiti nello splendore solatio del nostro affascinantissimo Meridione, con qualche fuga verso il Centro e verso il Nord, come se l’Autore volesse abbracciare l’universalità dei modi, dei tempi e dei costumi della nostra antichissima e sempre giovane gente, come leggiamo in Il clown, A un funerale, Il Crollo, Fantasticherie di un uomo solitario, Il comizio elettorale e altri casi ancora, fino a distendere su tutti l’ala protettrice di una visione augurale di buona fortuna, come è descritto in Angelo: un magnifico libro da leggere per capire, con un sorriso di accettazione e di grazia, chi siamo stati nel passato, chi tuttora siamo e per sempre saremo nel futuro.

Sandro Gros-Pietro

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