Prefazione

Il racconto eponimo di Giulia è una rappresentazione perfetta della condizione di insoddisfazione, di malinconia e di tedio femminile, che può cinturare come una gabbia invisibile la vita di una donna e che negli anni si trasforma in una prigione da cui la protagonista non riuscirà più a evadere, per quanti disperati tentativi di evasione ovvero di fuga ella cerchi vanamente di architettare. Va detto che Giulia appare sulla scena del racconto – sia pure in flashback – quando ancora è una bellissima fanciulla, vezzeggiata dai genitori, che per lei sognano un ricco matrimonio borghese con il cugino Corrado, inserita in una famiglia più che benestante. La ragazza monta a cavallo con maestria e trascorre le giornate in un clima protetto di tranquillità familiare, con se­rena spensieratezza. Ma il destino vuole che, ancora adolescente, ella incontri uno zingaro virtuoso di violino, di nome Milo, e tra i due giovani venga contratto una sorta di patto di sangue, cioè la promessa di aspettarsi l’uno con l’altra, fino a quando maturerà il momento giusto di consacrare la loro reciproca vocazione con il matrimonio e con ciò dedicarsi scambievolmente la vita, nel segno dell’amore. In realtà a unirli non è solo l’amore, cioè l’attrazione reciproca fra loro, ma è qualcosa di più fondante, precisamente la promessa dell’amore: un patto esclusivo e fondante, che supera la sensualità fisica dell’attrazione erotica e che impegna la volontà, lo spirito, l’anelito di libertà, la dedizione vicendevole dell’uno all’altra, collocata al di sopra di ogni altra possibile considerazione di opportunismo borghese o di vita sociale. Ed è precisamente questa promessa d’amore che Giulia, senza rendersene conto, tradisce, in quanto sposa il cugino Corrado, uomo affascinante e prestigioso, nonché benestante almeno quanto lo è lei. La donna realizza, in tale modo, un’unione splendida di facciata, ma vuota di contenuto, come se fosse una quinta teatrale, per cui appare solo l’immagine scenica della felicità borghese, ma dietro tale facciata c’è il nulla: manca la sostanza e la materia di una vita realmente felice e colma di significato. Tra Corrado, che pensa a fare andare avanti la sua fabbrica più di quanto pensi a raddrizzare il matrimonio, e Giulia si viene a creare una frattura che allontana i due coniugi come fossero due continenti alla deriva: pur continuando a convivere insieme, tra loro diventa impossibile coltivare l’unione delle emozioni e la congiunzione dei sentimenti, addirittura diventa problematico se non impossibile l’atto fisico dell’amore. Giulia si dibatterà fieramente per liberarsi dalla gabbia in cui è finita, come una bestiola catturata da una tagliola. Ma ogni tentativo fatto per ritrovare non solo la libertà, ma la pienezza di una vita colma di contenuti, si rivelerà un fallimento: amanti, diversivi, amicizie al femminile, confidenze impossibili con la madre, avventure erotiche, astinenze autoimposte, forsennati shopping e quant’altro. Finché un’ombra minacciosa si proietterà sulla sua vita in modo altamente drammatico e minerà gravemente la sua salute, costringendola a riflettere sulla precarietà della vita e sui valori profondi che ci possono salvare o al contrario che, se perduti, ci conducono allo smarrimento. Il racconto di Giulia è emblematico dell’intero mondo creativo di Marianna Nucera, una scrittrice che per vocazione è una grande conoscitrice ed esploratrice del mondo femminile. Giulia discende sicuramente dalle famose antenate letterarie di Emma Bovary e di Anna Karenina, cioè dalle eroine negative della grande letteratura dell’Ottocento. Ma la vera novità è che Giulia non si “perde” perché tradisce il marito, fatto che di per sé appare del tutto insignificante e trascurabile agli occhi della società mo­derna, ma si perde perché tradisce la “promessa dell’amore”, cioè tradisce l’ideologia dell’amore, i suoi contenuti ideali e spirituali, di libertà e di elevazione al sopra gli interessi materiali del mondo. È proprio questo il discorso che interessa di più a Marianna Nucera: indicare la strada della libertà dai vincoli di interesse e dai lacci e dai laccioli di costrizione del perbenismo sociale. E la ricetta che la scrittrice indica nelle sue meravigliose e fantasiose vicende è sempre la stessa: una promessa d’amore capace di contrastare e di vincere anche l’avversità del destino. Nella vita non si perderà, infatti, La signorina Fifì, che rimarrà fedele all’immagine pura e incontaminata del suo amore caduto eroicamente in servizio. Né si smarrirà la giovane alunna dell’affascinante professore Morando, del racconto Primo amore, la quale saprà conservare incontaminata nel cuore la sua promessa come un frutto tardivo, destinato a sbocciare solo dopo dieci anni, ma nel modo più dolce possibile. Né si perde il giovane avvocato di L’estrema decisione, che si ravvede dell’errore che sta per compiere quando ormai è già all’altare. E neppure si perde, malgrado il tiro mancino subìto da Laura che le ruba il fidanzato Stefano, la buona Annina, destinata a diventare una prestigiosa aiuto-primario, capace di rinnovare il suo dono d’amore verso l’amica. Addirittura gli animali – sembra suggerirci la scrittrice, con un sorriso di ironia benevola – sanno concepire la loro promessa d’amore, come avviene per la femmina di gabbiano Stellina, che è gelosa del suo gondoliere preferito. E compagna d’amore e di sventura della gabbianella Stellina, sembra essere anche la cagnetta Desy, protagonista del commovente racconto Lettera a Desy. Altro cane glorioso è Trifola, superbo cacciatore di tartufi, innamorato del suo padrone.
La ricchezza espressiva di Marianna Nucera non si limita certo a fornirci le giuste ricette per cercare di avere nella vita un sentimento d’amore durevole, ma spazia in numerosi altri campi. In particolare, un versante svolto con una certa frequenza dalla scrittrice è quello del realismo magico, così caro a Kafka, come avviene in La bellezza non è tutto, ove leggiamo che il povero Tommaso Lagosta un terribile mattino si sveglia e si accorge che il suo volto ha assunto le fattezze fisiche del muso di maiale: ne nasce un irresistibile dramma comico, che tuttavia è destinato a un finale tragico. Più sovente, l’ispirazione del racconto deriva da un sogno e specialmente da una onirodinia, cioè dallo stato angoscioso in cui si cade quando un sogno assume le caratteristiche dell’incubo, come avviene in La bolletta dell’aria o nella divertentissima vicenda della Vincita, il cui protagonista giunge a disperarsi tragicamente per avere vinto una somma favolosa alla lotteria. Appartiene sempre al genere onirico, anche se con risvolti di contaminazione enigmatica con la realtà, la vicenda raccontata in L’uomo con il tic, al confine con il giallo e addirittura con il noir dagli esiti truculenti, con tredici coltellate inflitte a una po­vera vecchietta e un innocente finito in galera. Un aspetto molto toccante e istruttivo della produzione letteraria di Marianna Nucera consiste nella grazia e nel favore che la scrittrice accorda al mondo dei vinti, cioè a coloro che nella logica comune delle cose vengono considerati come degli scarti della società o quanto meno come persone totalmente prive di fascino e che, invece, illuminate dall’esplorazione creativa della scrittrice, riverberano di luce il loro mondo, tutt’altro che povero di sentimenti, come troviamo nella bellissima e toccante vicenda del Suonatore di armonica, in quella assai meno tragica di Un ragazzo bruttino e in quella spumeggiante di ironia di Gustavo con il papero. C’è, infine, da segnalare per lo meno un ulteriore versante di racconti che suscita l’interesse di Marianna Nucera ed è dato dall’avventura comica dai risvolti boccacceschi, secondo un’antichissima tradizione che risale fino ai primordi della letteratura italiana e che era già bene presente e sviluppata nella letteratura latina. Sono racconti caratterizzati da formidabili qui pro quo o da comiche situazioni di dabbenaggine del singolo o di esaltazioni collettive al di fuori di ogni logica, come è svolto nei due divertenti racconti di L’eredità e Conseguenze della canicola.

Sandro Gros-Pietro

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