Introduzione a cura dell’Autrice

(Saggio breve)

Chagall al tempo della luna

La poesia che segue è dedicata al sottile sentimento che legava il pittore bielorusso, Marc Chagall (1887-1985), alla Luna, da lui vista come guida per una pittura dove tutto poteva succedere: quello che si immaginava poteva diventare vero con l’intervento onirico-fantastico.

Non c’era
bisogno per
lui di raggiungerla,
sulla criniera della
notte bastava un
accenno che sapeva
di curva e in quella
curva racchiudere
triangoli come i tetti,
rettangoli come le
finestre, ovali come
i sorrisi, trapezi come
i vestiti dei piccoli. Per
lui la luna era un
viso da definire per
lasciarlo con le
palpebre chiuse, forse
la matita avrebbe fatto
il resto da cancellare
quando si sarebbe
manifestato il
superfluo sul candore
archetipo della donna.
Chagall ha inventato
la luna prima ancora
di vederla nel cielo,
ha reso evidenti gli
zigomi del personaggio
narrante storie pervase
di liquidi, linfa e sangue,
argento e perle, gatti
e folla nella smisurata
infanzia così vicina al
lunedì, così lontana
dalla domenica dell’età
avanzata.
In quell’epoca
emotiva ognuno si
sentiva artefice dei
satelliti pittorici.

«[…] Nel dormiveglia rincorreva il suo mondo abbandonato, il gelo poetico di Vitebsk, i nonni pazzi che si arrampicavano per esibizione e ‘necessità poetica’ sui tetti, i volti rosa pallido dei bambini, i suonatori ambulanti con il berretto a visiera che capitavano a Vitebsk, una cittadina simile a quan­t’altre sparse per l’immenso impero della santa Russia. Le case di legno, scricchiolanti, sempre in procinto d’essere travolte da un’eccessiva nevicata. Le strade ingombre di fango crocchiante alto un palmo durante l’inverno, avvolte in nubi di polvere nelle brevi estati. Vitebsk, nella vasta e piatta provincia russa, è inscritta in un ideale triangolo ai cui vertici stanno San Pietroburgo, Mosca e Minsk, città da cui, al tempo del giovane Chagall, riverberavano emozionanti esperienze artistiche e culturali.» (Dal Catalogo d’Arte sulla Mostra Chagall e il suo mondotra Vitebsk e Parigi, Artificio Edizioni S.r.l. di Firenze, Anno 1994, in occasione delle due rispettive esposizioni delle opere artistiche di M. Chagall, sia al Castello Svevo di Bari, sia al Palazzo Ducale di Genova negli anni 1994-1995, pag. 64).

Spesso nei quadri di Chagall c’era la Luna quale suo archetipo interiore; egli, infatti, vide la luce il 7 luglio 1887 a Vitebsk, in Bielorussia, sotto il Segno zodiacale del Cancro, il cui governatore è, appunto, la Luna, e grazie alla tenacia della ma­dre, Feiga-Ita, riuscì a studiare nella scuola pubblica, preclusa agli ebrei, anche pittura, arrivando più tardi ad occupare il ruolo di direttore dell’Accademia di Vitebsk, dove subentrarono a collaborare anche artisti russi come El Lissitsky e Kazimir Malevič. Marc Chagall rimase un giovane ‘visionario’ ad occhi aperti per tutta la sua lunga vita, visse quasi cento anni morendo il 28 marzo 1985 nella sua casa di Saint-Paul-de-Vence. «[…] Poeta, sognatore, uomo esotico: durante tutta la sua lun­ga vita Chagall incarnò perfettamente il tipo dell’eccentrico e dell’originale sul piano artistico. Sia come ebreo che con sovranità sfidò la tradizione iconoclasta, sia come russo che superò l’abituale frugalità nonché come figlio di una povera, ma numerosa famiglia, divenuto di casa nella mondana eleganza dei saloni d’arte, Chagall è una specie di pellegrino per i mondi.» (Dal libro-monografico Chagall di Ingo F. Walther/Rainer Metzger, Gruppo Editoriale L’Espresso S.p.A. di Roma, Edizione in abbinamento a una testata del Gruppo Editoriale l’Espresso, Anno 2001, pag. 7).

Lui ‘osò’, tra i tanti suoi dipinti, collocare Il violinista verde sui tetti delle umili case del villaggio natale, far volteggiare Bella, sua prima amatissima moglie, come un aquilone tenendola per mano ne La Passeggiata, far volare gli animali da pascolo e non solo – gli animali sono spesso presenti nelle sue tele perché gli erano rimasti impressi quelli che vedeva da bambino insieme al nonno macellaio – spandere suggestioni, perché aveva dentro quella luce notturna che dona agli uomini la facoltà dell’immaginazione, l’astrazione dal reale, la memoria vivifica, il romanticismo, l’idealismo, le percezioni extrasensoriali, l’umiltà dei grandi.

«[…] Il Cancro è un pesce fuor d’acqua, “un vaso di cre­ta fra quelli di ferro”, un agnello fra i lupi, in questo mondo che sente lontano dalla sua mentalità. La sua indole romantica e sentimentale non si addice alla struttura iperazionale e iperfunzionale di una società tesa al benessere. Se i “tipi zodiacali” non sopravvivessero alle epoche con cui sono analogicamente in “fase”, i cancerini avrebbero dovuto scomparire nel secolo scorso, con la fine dell’Ottocento.» (Dal libro Guida all’astrologia di C. Discepolo, Armenia Editore di Milano, Anno 1982, pagg. 44-45).

La sua arte progredì in parallelo a una corrente d’avanguardia del Novecento, il Surrealismo, a cui, nonostante il ripetuto invito del teorico del movimento André Breton riscontrante nei suoi quadri molta attinenza ai concetti correlati, Chagall rifiutò d’appartenere: troppo importante era per lui la libertà di narrazione dei suoi stati d’animo e della propria complessa interiorità da manifestare fuori da ogni sorta di programma. Così scrisse nella sua autobiografia, La mia vita, uscita nel 1931 a Parigi e tradotta in francese dalla moglie Bella col titolo Ma vie: «[…] Presto la luna, la mezzaluna, apparirà. Le candele sono agli sgoccioli e le fiammelle brillano nell’aria innocente. A tratti la candela sale verso la luna, a tratti la luna scende volando verso le nostre braccia. Perfino la strada prega. Le case piangono. Il cielo passa da ogni parte. Le stelle s’accendono e l’aria fresca entra nella bocca aperta. Così facciamo ritorno a casa. Quale sera è più chiara, quale notte più trasparente di questa?» (Dal libro La mia vita di M. Chagall con disegni dell’autore, traduzione di Massimo Mauri, SE SRL, Milano, Anno 1998, pag. 47).

Anche se l’uomo è riuscito a mettere piede sull’unico satellite naturale della Terra, la Luna, di cui vediamo sempre la stessa faccia – il 20 luglio 1969 (il Sole era nel Cancro) coi tre astronauti della capsula Apollo 11, Edwin Aldrin, Mike Collins e Neil Armstrong, quest’ultimo che pronunziò la storica frase: “Un piccolo passo per l’uomo, un grande balzo per l’umanità”, ma che per il poeta di Pieve di Soligo, Andrea Zanzotto, fu considerata un’autentica profanazione – niente è andato perduto del fascino antichissimo e misterioso della Luna detta anche Selene, simbolo del principio femminile yin, a cui fanno riscontro le parole quali passivo, freddo, ombra, umido, meridionale, numeri pari, morte, buio, dipendenza, etc.
Così scriveva l’indomita e indimenticabile giornalista italiana, Oriana Fallaci (1929-2006, Segno zodiacale del Cancro), andata di persona nei luoghi statunitensi dove si progettò e partì il razzo Saturno V coi tre sunnominati astronauti, tutti trentanovenni, per saperne di più su di loro e sulla missione Apollo 11, e pubblicare in seguito il suo famoso libro-intervista-reportage, Quel giorno sulla luna del 1970.
«[…] Ma all’improvviso ci accorgemmo che l’ora era giunta e tutto cambiò. E non ci importò più che la Luna rappresentasse un volgare scopo politico, non ci importò più che i due uomini scelti dal caso fossero antipatici. La Luna divenne qualcosa di religioso e i due uomini divennero qualcosa di santo: un simbolo di tutti noi, vivi o morti, buoni e cattivi, stupidi e intelligenti, noi pesci che cerchiamo sempre altre spiagge senza sapere perché. E ovunque passò come un brivido, lo stesso che in quel momento scuoteva chiunque ascoltasse una radio, nel mondo, o sedesse dinanzi a un televisore, o sapesse quel che stava accadendo. […] A Houston, quella sera, non si vedeva la Luna. Era coperta da nubi fitte, nuovamente gonfie di pioggia. E in quel cielo senza Luna, nuovamente gonfio di pioggia, arrivarono le otto e mez­zo che divennero presto le nove: alle otto e mezzo Armstrong e Aldrin non erano ancora pronti ad uscire. […] Alle nove e mezzo il Centro Controllo annunciò che era­no pronti e mancava circa un quarto d’ora all’apertura dello sportello. Allora nell’auditorium ci mettemmo a fissare l’enorme schermo dove si avvicendavano, allineate, le informazioni dei cervelli elettronici.» (Dal libro Quel giorno sulla Luna, Terza edizione Best BUR Rizzoli, Milano, Anno 2019, pag. 139 e pag. 149).
In Egitto la Luna, Iside, era d’importanza pari al Sole, Osiride, suo fratello.
Selene, secondo il mito greco, percorreva il cielo notturno su un carro d’argento trainato da una coppia di cavalli e in seguito unificata alla figura di Artemide-Diana, sorella gemella del dio Apollo, il Sole, che nacque a Delo ed era un’ottima cacciatrice col suo arco, fu la protettrice delle Amazzoni, da cui nella psicoanalisi moderna sono derivati i cosiddetti Complesso di Amazzone, Complesso di Lilith, Complesso di Diana.
«[…] La Luna è l’altra faccia della vita. Distaccata, superba, padrona che stabilisce cicli e maree. La Luna ha gli occhi, il naso e la bocca. È una faccia che si fa guardare in faccia. E tanto la guardi che ti conduce al sonno, e ai sogni. È cosa posta in alto, ma non lontana. I Terreni le danno del Tu e quasi Terra e Luna si sfidano. […] Per Dante, la Luna è il primo dei pianeti che compongono il sistema aristotelico-tolemaico. I primi sette cieli, entro lo spessore dei quali viaggiano sette pianeti eponimi (dal basso: Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno) ruotano attorno alla Terra secondo il moto est-ovest che a tutti imprime il nono cielo (o Primo Mobile). […] Nella Divina Commedia la dimensione astrale e concreta del corpo celeste è indissolubilmente legata a significati simbolici. La Luna dantesca mostra più volti e assume più ruoli: è lo strumento cosmico per segnare il cammino, ma è anche un espediente retorico per indicare i vari gradi di luminosità. Assume sfumature molteplici e contraddittorie, segno che vengono da dottrina cristiana e mito pagano.» (Dal libro di Bruno Vespa, Luna – Cronaca e retroscena delle missioni che hanno cambiato per sempre i sogni dell’uomo, Rai Libri, Roma, Anno 2019, pagg. 230-233).
Versificare vieppiù sulla luna per me è stato come ‘varcare’ in punta di piedi il suo regno incontaminato, diversamente da come l’avevo già fatto con la mia pubblicazione poetica Io, la Luna e la Poesia del 2001 (Edizioni Tigullio-Bacherontius – GE). Ora, con la consapevolezza acquisita per le tante rivisitazioni sul tema grazie all’arte, alla letteratura, alle molteplici interpretazioni natali a livello astrologico svolte per scrivere articoli di collaborazione redazionale col periodico “L’Attualità” di Roma e altre redazioni, ebbene, la Luna per me è diventata un inseparabile alter ego perché in essa c’è l’originaria intatta figura femminile ricettiva, sensibile, emotiva, timida, mutabile, comprensiva, estrosa, docile, paziente, magnetica e quant’altro faccia riferimento all’astro bianco, musa ispiratrice per eccellenza dei poeti, degli innamorati, dei cantautori… Che dire delle volte ch’è entrata nei testi di canzoni pop che hanno fatto la storia della musica moderna degli ultimi settant’anni: Tintarella di luna cantata da Mina; Luna caprese di Peppino Di Capri e Notte di luna calante di Domenico Modugno; Luna di Gianni Togni; Non voglio mica la luna di Fiordaliso; Guarda che luna Al chiar di luna porto fortuna di Fred Buscaglione; La luna di Edoardo Bennato; Mareluna di Pino Daniele; Qui la luna di Alberto Fortis; L’ultima luna di Lucio Dalla, che titolò anche il suo album del 2001 e Luna Matana,ideato e realizzato durante il soggiorno alle Isole Tremiti; La luna ha vent’anni dei Pooh; ma anche l’eccezionale brano di musica Classica per pianoforte scritto da Ludwig van Beethoven nel 1801, in riferimento alla giovanissima Giulietta Guic­ciardi, Chiaro di luna, in do diesis minore.
«[…] La Luna può incarnarsi in varie figure divine, in primo luogo perché essa è concretamente e materialmente soggetta a fasi in cui assume aspetti differenti. Il satellite, che cresce e muore mensilmente, svela all’uo­mo la legge cosmica del divenire, i cicli eterni di produzione e disfacimento degli esseri. Tuttavia, la Luna rinasce ogni mese, nel periodo di novilunio, la sua non è mai una morte definitiva.» (Ibidem, pagg. 227-228).
Anche il massimo poeta scrittore e politico del Medioevo, guelfo bianco di Firenze, Dante Alighieri (1265-1321), non poté astenersi dal menzionarla nell’ambito della sua colossale opera, la Divina Commedia, dove secondo precise regole numeriche e consona collocazione dei numerosissimi personaggi suoi contemporanei e del passato, raffigurò poematicamente i tre regni dell’Oltretomba: Inferno, Purgatorio Paradiso, da lui visitati in forma fantastica attraverso un ‘viaggio’ intrapreso la notte del Venerdì Santo 1300, vicino all’equinozio di Primavera, quando di lì a poco più tardi Egli avrebbe compiuto trentacinque anni a maggio, nato sotto il quinto Segno dello Zodiaco dei Gemelli.
Fu soltanto la Luna, nella sua fase di plenilunio, a ben rassicurarlo quando si ritrovò per una selva oscura, / ché la diritta via era smarrita. Il bianco satellite è stato da lui citato più volte nell’Inferno, ad esempio, a proposito della figura biblica di Caino che pare s’intravedesse tra le macchie lunari quando c’era, appunto, la luna piena, condannato per sempre a trasportare sulle spalle un fascina di spine: «[…] Ma vienne omai, ché già tiene ’l confine / d’amendue li emisperi e tocca l’onda / sotto Sobilia Caino e le spine; // e già iernotte fu la luna tonda: / ben ten de’ ricordar, ché non ti nocque / alcuna volta per la selva fonda.» (Da La Divina Commedia – Inferno, Le Opere di Dante GEDEA, Istituto Geografico De Agostini di Novara, Anno 2005, pag. 224). Stavano, Dante e Virgilio, nella quarta bolgia dell’Inferno, XX Canto, destinata a coloro che in vita furono maghi e indovini. Ma anche a proposito del Canto XXXIII, sempre del regno dei dannati, nella seconda zona del cerchio nono riservato ai traditori, allorché Egli vide la scena orrida del Conte Ugolino che si cibava dei cadaveri dei suoi congiunti, perché in vita fu rinchiuso, insieme ai figli, dai Pisani per alto tradimento in una torre dalla cui fessura il Conte vide diversi pleniluni prima di fare il sogno-incubo rivelatore dove capì ch’erano stati condannati a morire d’inedia. «[…] Breve pertugio dentro da la Muda, / la qual per me ha ’l titol de la fame, / e che conviene ancor ch’altrui si chiuda, // m’avea mostrato per lo suo forame / più lune già, quand’io feci ’l mal sonno / che del futuro mi squarciò ’l velame.» (Ibidem, pagg. 355-356).
Un paio di volte la Luna viene citata anche nel Paradiso, nei Canti I e XXVII, altresì nel Secondo Canto del Paradiso addirittura il poeta con la sua beneamata musa-guida Beatrice, lei puntando lo sguardo in alto e Dante fissando lei, s’infiltrarono nella sfera misterica lunare tramite un inspiegabile volo arricchito dal poeta, nel suo capolavoro letterario, da traslati comprendenti nube luminosa, diamante, gemma, margherita, raggio di luceacqua che riceve
«[…] Quindi Dante ha potuto compenetrare la Luna, trasgredendo il principio di inviolabilità dei corpi, grazie a un fenomeno soprannaturale che assimila la sua natura a quella di Dio. Solo nei casi in cui il suo bagaglio di conoscenze scientifiche non gli offre gli strumenti per realizzare gli obiettivi del viaggio, il poeta ricorre al soprannaturale.» (Dal 5º volume Il Sole, la Luna e l’altre Stelle – Viaggio al centro dell’universo dantesco di Sperello di Serego Alighieri (discendente della 19ª generazione di Dante) e Massimo Capaccioli, Collana editoriale Il mondo di Dante Supplem. al quotidiano “la Repubblica”, Aprile 2021, pag. 89).
È doveroso per me citare anche il passo d’apertura del Capitolo 12 dell’Apocalisse di San Giovanni, presente nella Sacra Bibbia – Nuovo Testamento, dove è presente la vivida protagonista del cielo notturno pregna d’elevata cristiana simbologia.
«E un portento grande fu visto nel cielo: una donna ravvolta dal sole, e la luna sotto i suoi piedi, e sulla testa una corona di dodici stelle».
Ho ritenuto opportuno porre a conclusione del florilegio due mie critiche cinematografiche attinenti all’argomen­to. La prima è al film del grande cineasta sperimentalista, appassionato di fotografia, con la vocazione del filosofo, di origine ebraica come Chagall, statunitense scomparso nel 1999, Stanley Kubrick, titolato 2001: Odissea nello spazio, del 1968, un anno prima dell’allunaggio oggettivo dell’Apollo 11, anticipatore di quelle che sono state e sono tuttora le conquiste nello spazio galattico da parte dell’essere umano, che di questi tempi meccanicamente sta verificando il suolo rosso marziano! Il film celeberrimo di Kubrick, dalla lungimirante visione, accompagnato per le scene più memorabili in sottofondo dal brano musicale, Così parlò Zarathustra, di Richard Strauss, «[…] rivoluziona i canoni della fantascienza cinematografica con il suo viaggio al di là di ogni limite interpretativo della realtà effettuale. Ideale sintesi della storia dell’umanità e della sua evoluzione, con il suo simbolico e misterioso monolito nero, 2001 rappresenta la sua opera più filosofica e più astratta, ed evidenzia in maniera spettacolare e drammatica l’impossibilità di ogni interpretazione univoca e assoluta dell’esistenza umana. Nello sguardo finale del feto rivolto verso gli spettatori permane l’enigma irrisolto della vita-morte dell’uomo.» (Dal II vol. Cinema – L’Universale, La Grande Enciclopedia Tematica in collaborazione con le garzantine, Supplem. al quotidiano “Il Giornale”, Milano, Anno 2004, pag. 639).
La seconda mia critica cinematografica, invece, si riferisce al film strambo-piratesco del regista statunitense, d’origine polacca da parte di padre, Gore Verbinski, Pirati dei Caraibi – La maledizione della prima luna, che all’epoca, all’inizio degli anni 2000, riscosse enorme consenso di pubblico mondiale tanto che il protagonista, Johnny Depp, ricevette una vera e propria consacrazione nel suo ruolo principale di pirata ‘sopra le righe’, il famoso capitano Jack Sparrow, anche soprattutto ai numerosi riconoscimenti ricevuti subito dopo il lancio del film.
Avendo avviato questa introductio-trattazione con la mia poesia dedicata a Marc Chagall, mi sembra giusto terminare con la lirica forse più ‘lunare’ che esista il cui autore, anche lui del Segno zodiacale del Cancro, il grande Giacomo Leopardi (1798-1837), era un sognatore romantico, studioso fino all’eccesso, incompreso ai suoi tempi sia dagli stessi genitori, sia dai letterati in voga, ritenuto pessimista senza averne capito l’animo fin troppo delicato, impressionabile, si sentiva in gabbia nella sua Recanati e preferì partire altrove con l’inseparabile amico Ranieri, trovando la morte a Napoli prima di compiere quarant’anni.
La seguente poesia la vergò forse in una di quelle notti quando la solitudine e l’amarezza più l’assalivano e lui, guardando la luna come a una madre piena di dolcezza (che così avrebbe voluto fosse la nobildonna Adelaide dei marchesi Antici, sua madre), compose in questo modo:

ALLA LUNA

O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
Il tuo volto apparia, che travagliosa
Era mia vita: ed è, nè cangia stile,
O mia diletta luna. E pur mi giova
La ricordanza, e il noverar l’etate
Del mio dolore. Oh come grato occorre
Nel tempo giovanil, quando ancora lungo
La speme e breve ha la memoria il corso,
Il rimembrar delle passate cose,
Ancor che triste, e che l’affanno duri!

Prima di mettere la parola fine a questo mio prologo-breve saggio vorrei dire che colui che scrive versi, apparentemente chiuso nel suo volontario estraniamento, in realtà è guidato dalla luna senza nemmeno accorgersene e vaga tra gli spazi relativi alla sua preparazione interiore, cultura, estro creativo e quant’altro in sé possieda.
La luna ha ricevuto il potere d’esercitare la sua autorità sulla crescita delle messi nei campi e sugli elementi liquidi del nostro pianeta, compreso le piante, e degli umani, come il sangue. Sono oltre cinquanta poesie in ognuna delle quali è caduta una sua stilla purissima, determinando così una silloge chiara e scura allo stesso tempo, vera e fantastica, frangibile e arenaria, schiva e animosa.
La luna, secondo la mia visione, continuerà a mostrarsi come un cassetto colmo di tanti fazzoletti colorati e ripiegati: tutti gli stati d’animo che una persona potrà possedere nel corso dell’intera non prevedibile propria esistenza!

Isabella Michela Affinito

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