La rappresentazione dell’amore è ricostruita da Carla Spinella con una visione corale di vicende umane, tutte fra loro concatenate e continuative, in modo da marcare l’armonia d’insieme dei temi ricorrenti intorno ai quali si manifestano le occasioni di gioia e di dolore. L’amore è l’autentico motore che anima la vita dell’umanità intera e che, poeticamente, muove il sole e l’altre stelle. Appare subito necessario distinguere tra amore, che è fonte di energia vitale, e disamore, che è perdita entropica di energia, e che conduce alla depressione e allo sfinimento. Francesca è il simbolo centrale della lunga vicenda d’amore (e di disamore) sdipanata intorno ai tre cardini fondamentali di Umberto, Giorgio e Roberto. Giorgio è il fulcro centrale, lo si potrebbe definire l’amore perfetto, cioè l’unione di carne e spirito: in un mare di tenerezze e di corrispondenze affettive, congiunte alla condivisione dei gusti e delle tematiche artistiche e intellettive, rilucono i bagliori e le fiammate di passione che appagano i due amanti nell’esaltazione dell’eros.
L’amore diviene allora il sale che insapora la realtà quotidiana e rende dilettoso ogni tran-tran, ma ancora di più diventa il sogno e l’arte. Nella visione di Carla Spinella l’attività onirica assume una marcata importanza: il sogno è premonitore e rivelatore, cioè serve sia ad annunciare il futuro sia a rivelare il volto nascosto del passato. Accanto al sogno, la componente fatalistica è altrettanto importante: i protagonisti vivono quasi con predestinazione le loro vicende, che sono da loro indossate come fossero il mantello preconfezionato oppure il carapace della tartaruga, che non può essere dismesso. Tuttavia, in questa visione quasi pagana del destino che soprassiede alla fortuna di ognuno di noi, le scelte del libero arbitrio e ancora di più i frutti della buona volontà, sviluppati con alacrità e impegno, assumono un valore decisivo e conducono sempre a esiti premiali. La gioia si alterna al dolore, per ogni essere umano, ma i negletti, gli inoperosi, gli animi maligni raccolgono più pene che non delizie e per loro la vita diventa un’oscura delusione. Il concetto della malattia, come dannazione che colpisce a caso anche gli incolpevoli, aleggia su tutti i personaggi: è un vero e proprio cancro, che arpiona coi suoi tentacoli gli esseri umani, impossibilitati a vincere una battaglia che sopravanza le loro forze. Tuttavia, la fede in una logica superiore alla realtà delle cose accende una luce di religiosità che illumina con discrezione le figure più alte delle vicende umane raccontate.
Lo scenario a mosaico dell’avventura letteraria di Carla Spinella si compone sostanzialmente di due sfondi diversi. Il primo è sicuramente l’ambiente naturale, così curato e sfavillante di piante, fiori, erbe, spiagge e boschi, con il centro del mondo rappresentato dal piccolo giardino edenico di casa in cui Francesca e Giorgio trascorrono gran parte delle ore più dolci della loro relazione. Il secondo, sono i tanti luoghi metropolitani di Milano, le vie, i corsi, gli ospedali, i parchi, il Naviglio e altro ancora.
Carla Spinella costruisce una sorta di improprio manuale dell’amore, nel quale si dà conto delle regole e dei contenuti che i legami umani debbono sviluppare per assurgere fino alla dignità più alta e divenire autentici tesoretti di sapienza di vita e di cultura – quante citazioni letterarie manifeste o implicite sviluppa la scrittrice! – fino al punto di realizzare la vittoria dell’amore sulla realtà effimera delle cose, e fare sì che il monito dell’amore sopravviva anche alla morte dei suoi protagonisti.

Sandro Gros-Pietro

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