PREFAZIONE

Il titolo dell’ultimo libro di Natino Lucente de­manda chiaramente al metaromanzo di Italo Calvino Se una notte d’inverno un viaggiatore ove si racconta la vicenda di un Lettore e di Ludmilla i quali tentano vanamente di riuscire a leggere lo stesso romanzo comprato dal libraio. Dopo avere scorso poche pa­gine si rendono conto che non si tratta del libro giusto, perché la vicenda continua in modo totalmente scollegato rispetto all’incipit. Allora, tornano dal li­braio e si fanno dare una nuova copia che non sia fallata. Questa volta l’inizio è diverso rispetto al pri­mo libro, ma nuovamente si verifica l’errore di impaginazione, perché a un certo punto della lettura di nuovo si ripete la scollatura della vicenda. Per dieci volte si recano dal libraio e cambiano dieci nuovi li­bri, ritrovando sempre storie diverse e lo stesso difetto di discrepanza della vicenda tale da impedire la continuazione della lettura. Le dieci introduzioni, se lette insieme una dietro l’altra, formano un undicesimo libro che non ha nulla a che vedere con i singoli precedenti, ma che ha in comune il fatto di rimanere sospeso, senza condurre a una conclusione. Il capolavoro di Calvino intendeva sostanzialmente significare che la descrizione della realtà è impossibile per un narratore, bisogna invece accontentarsi di un parziale abbozzo, che rimarrà sempre incompleto.
Questo libro d’amori e di dolori di Natino Lu­cente è metafora di una affermazione tanto semplice quanto perentoria: l’amore perfetto non è possibile, bisogna accontentarsi di qualcos’altro che ne è ben lontano. Ogni volta Natino è come il Lettore del libro di Italo Calvino: si tuffa con speranza in una nuova storia di amore, che all’inizio appare interessante ma che a metà strada si rivela per essere sbagliata, perché è divenuta altra cosa da come si era manifestata all’inizio. Allora, che cosa fa Natino? Abbandona quella storia e ne cerca un’altra, che inizia in un modo diverso dalla precedente, ma che an­ch’essa, arrivata a un certo punto, diventa altra storia da quella che era in principio. Si va avanti così, per una, due, tre, quattro volte, con brevi interferenze di av­venture occasionali. Poiché il libro è scritto in chia­ve praticamente confessionale, seppure nel pieno riserbo della segretezza dei nomi e delle situazioni mondane riscontrabili da chi legge, si potrebbe pensare che si tratti della “confessione di un libertino”, come lo sono le memorie compiaciute di Casanova o dell’invenzione fantastica del cinico personaggio teatrale di Molière, il Don Giovanni. Nulla di più errato. Il Poe­ta non si compiace affatto della varietà delle storie d’amore, ma al contrario se ne duole in continuazione; e non si sente per nulla insignito del gradito compito di donare piacere e voluttà alle don­ne come è ne­gli intenti di Casanova; ancora meno si compiace di tramare a loro danno per spingerle alla mortificazione o al degrado, come è negli istinti più perfidi di Don Giovanni. In realtà la visione che Natino Lucente ha della donna è riccamente poliedrica, sfaccettata, libera, permissiva. Più che farci sopra una teoria, il Poeta sceglie di far dire dalla Donna qual è la vera na­tura del femminino e certamente ne viene fuori un autoritratto al femminile di incantevole bellezza, se­duzione, capacità e senso umanitario, con gioiosa consapevolezza dell’altissimo compito che la natura le ha affidato: ricreare e rieducare continuamente la specie umana, cioè, istillare l’imprinting iniziale a ogni creatura umana che viene al mondo e rendergli gioiosa la nascita. Bisogna leggere la poesia Donna perché è ricca di luminosa luce e speranza: “Da Nicea in poi / ho ricevuto nel mio corpo un’anima / di cui cerco la sede, / forse è nei sospiri alla luna / e certamente ai piedi di ogni culla, / l’ho trovata a volte / infida, perfida, violenta, / come tempesta che sommuove il mare / o dolce, confortevole e leggiadra / come un erboso prato / costellato di fiori profumati / ma sempre la sua sede sta nel cuore / dove sta solo e soprattutto amore”. Il discorso allora prende una pie­ga storica, civile e anche di difficoltà di rapporti relazionali. Ce ne rendiamo conto leggendo la poesia Riscatto, “Questa donna, anche sta­mani, ha affrontato la lotta / con il tempo che avan­za. / Vittoriosa contro lo specchio, / con puntiglioso impegno / ha svolto il suo lavoro / che va esponendo cercando il plauso”. Si intuisce che manca l’altra metà della mela, cioè vie­ne a mancare – per stare nella metafora con Italo Calvino – la continuazione del romanzo. L’uomo ha una sua vicenda alle spalle di folle rivalità verso gli altri uomini e di ristoro ri­creatore nelle tenerezze d’amore con la donna. La donna moderna sembra avere impostato lo stesso inizio del romanzo: cioè, una vicenda di rivalità sia ri­volta all’uomo sia verso le altre donne. Sembra chiedersi allora il Poeta: dove è finita la continuazione del romanzo? Fuori di me­tafora, dove sono finite le blandizie e le delizie ristoratrici nel sereno e collaborativo rapporto d’amore tra uomo e donna? Si rimane sempre su quel tale inizio del romanzo che recita, co­me sta scritto nella prima parte della già citata poesia Donna, “Questo corpo che mi appartiene / lo userò per piaceri diversi, / per le effimere gioie della carne / che trarrò e saprò dare”. Ma le tenere blandizie collaborative, il sogno dei progetti futuri, il piacere della realizzazione nel­l’asservimento dell’uno all’altra, l’e­saltazione nella rinuncia della libertà nel nome dell’amore come reciproco dono di sé stessi, l’irragionevolezza di sentirsi sé stessi al di fuori di sé e solo e soltanto dentro il partner amato: tutto ciò, do­v’è finito? L’intero patrimonio di pensiero costruito sulla teoria dell’amore virgiliano, Omnia vincit amor et nos cedamus amori: che fine ha fatto? Il Poeta non dà la colpa né all’uomo né alla donna dello stato di fatto in cui ci troviamo. Si limita a prendere atto che le cose stanno così: si fa glamour, si fa fascinazione, discussione, si recitano scontate pratiche di incantamento reciproco. Poi si fa sesso; si fa sesso; si fa ses­so: e tutto ciò rappresenta la prima parte del romanzo. Arrivati a tale punto, però, non si può più andare avanti, perché il rapporto diventa tutt’altra storia. Quelle tali “blandizie e delizie” non ci sono mai, nel romanzo d’amore. Quali sogni? Quali progetti insieme? Bisogna andare dal libraio e prendere un altro libro.
Il libro di Natino Lucente rappresenta una ri­flessione profonda sul mondo di relazioni reciproche fra l’uomo e la donna nelle civiltà moderne del progresso avanzato, i cui orientamenti di cultura so­no basati sull’arricchimento, la competizione, il successo, la rivalità, il divertimento, la sfida. Il Poeta rivela, un poco con accenti tragici ma ancora più con accenti ironici, che anche la delicatissima sfera dell’amore che dall’inizio del mondo informa di sé la complicità fra Adamo ed Eva, corre il rischio di essere contaminata da queste tensioni di rivalità che poco hanno a che fare con la dolcezza dell’amore.

Sandro Gros-Pietro

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