PREFAZIONE

Il mio itinerario letterario continua, in parallelo col mio percorso interiore. I poeti non amano abitare le piazze, ma l’intimo sacrario dello spirito, da cui sgorga quotidiana la preghiera che attraverso un percorso psico-simbolico trova sintesi nel cuore dei miei versi, quasi sempre attraversando lunghi periodi di deserto o solitudine. È esattamente da questa matrice culturale che nasce e si alimenta la mia fatica letteraria, che è ‘tutta immersa nella mia spiritualità e nella cultura del Novecento’, ma non solo.
Questa terza opera – quand’era ancora incompiuta – mi echeggiava dentro con l’immagine della ‘mietitura’, in continuità con l’opera precedente dalla quale non c’è vera separazione. Ho conservato il titolo nella memoria continuando a scrivere i miei versi, che appaiono come lampi nella notte, va­gamente simili al Sole che di giorno scalda il mio spirito. Na­turalmente, ho aggiunto ‘semina’ a ‘mietitura’ perché Dio non finisce mai di fecondare l’arida terra col seme della sua Parola, mentre in verità la mietitura avverrà solo alla fine, quando finalmente lo vedremo “faccia a faccia” e così staremo sempre nella Luce, riconciliati pienamente con la sua Misericordia! Solo Dio è santo e noi peccatori, anche se ci chiama a seguirlo per una strada tutta in discesa (più che in salita), perché la santificazione avviene per partecipazione ed è primariamente frutto della Grazia, per quanto siamo chiamati a offrire il nostro “corpo” mortale ‘qui ed ora’ per realizzarne l’incarnazione nella concretezza della vita. Tornando all’immagine della mietitura, solo quel Giorno sapremo, conosceremo, finalmente approderemo alla Gioia che non avrà più fine, perché “Dio sarà tutto in tutti”, come afferma la Scrittura. Adesso è ancora tempo di semina, ossia di morte, ma ciò non toglie che si possa cominciare anche a raccogliere nel divino Granaio. Spero che il raccolto sia di frumento tenero, che faccia tanto “pane fragrante per imbandire la divina Mensa”.
Dunque, abbiamo partorito una nuova Silloge. Poi l’ho intitolata Se il chicco di Grano… col sottotitolo Semina e Mietitura, che è la parafrasi della dinamica interna del processo compiuto dal “chicco di grano”, come dice il Vangelo:

… Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo;
se invece muore, produce molto frutto.
Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo,
la conserverà per la vita eterna…

(Gv 12,24-25)

Infatti è la logica del chicco di grano che – caduto in nuda terra – se non muore, non può portare frutto; se, invece, marcisce nell’umido terriccio, darà vita nuova alla sua linfa vitale, e il seme feconderà “ove il trenta, ove il sessanta, ove il cento”; tutto dipende dalla nostra disponibilità alla Grazia, come riconosce la parabola evangelica. È dunque vero: “Se diamo riceveremo, se perdoniamo avremo il perdono, e se mo­riamo rinasceremo”.
Il percorso sin qui narrato mi ha condotta al largo, a varcare i miei poveri limiti. Del resto qualcun Altro mi guida. Del giudizio degli uomini m’importa poco, anche se può fare ma­le. Dando la mia orazione in pasto al mondo – anche se con un linguaggio simbolico – sapevo di poter essere giudicata, ma io continuo a cercare la mia strada rimanendo totalmente me stessa, ossia utilizzando gli strumenti di cui sono dotata, che poi sono gli unici che possiedo. Poetare, per me, significa potermi relazionare, cioè vivere. È anzi l’unico modo che co­nosco per sopravvivere a questa Società totalmente liquefatta nei valori, egoista ed individualista, purtroppo anche dentro le relazioni intra-ecclesiali non risanate, che contraddicono il significato stesso dell’etimologia della parola “ekklesia”, ov­vero, ‘assemblea convocata dalla Parola’, dove spesso e purtroppo si vive da soli la propria fedeltà o infedeltà allo Spo­so, invece che con la forza della fraternità. Per quanto mi ri­guar­da, oso sperare che la mia obbedienza a Dio – in questo oceano di isole – possa assolvermi dai peccati che non riesco a dimenticare, anche se Lui li ha già crocifissi su quel legno infame. La pace, infatti, non può sgorgare che da una vita interiore ricca d’obbedienza, mentre il peccato viene posto dinanzi alla sua infinita Misericordia. Solo Cristo è il Salvatore di ogni uomo. È la grande verità dimenticata da questa Società così aliena da Dio, quindi incapace di leggere in profondità il senso dell’esistenza. Ma io ‘gratuitamente ho ricevuto e gratuitamente sono chiamata a dare’, anche se l’amore vero comporta sempre la propria destrutturazione perché il perseguimento della meta è ostacolato da scelte non sempre fatte alla luce del suo progetto, ma di ciò che immediatamente ci gratifica, del peccato di orgoglio, insomma; così, per debolezza, spesso rifiutiamo la croce che ci redime e santifica. Dio, però, che ci accoglie così come siamo, ci va trasformando col fuoco dello Spirito in creature nuove, sempre se rimaniamo fondati nella sua Parola per mezzo d’un ‘sì’ concreto, vissuto nella carne, ossia nell’obbedienza e fragilità d’un corpo votato alla morte e solo per grazia meritevole di redenzione.
Ce lo ricorda molto bene l’apostolo Paolo nella lettera ai Colossesi: “Vivo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo” (1,24): è ciò che con la sua Grazia mi sto sforzando di lasciargli operare: accogliere la sua volontà ogni giorno aderendovi con la mia, anche se metterla in gioco comporta l’annullamento di sé, anche quando non riusciamo a comprendere il suo agire o non riusciamo perfettamente a distaccarci dal nostro umano sentire, ossia patire. La sequela di Cristo, vissuta nella spoliazione, ricostruirà certamente un’umanità redenta, anche se il tragitto è faticoso perché deve fare i conti ogni giorno con il nostro immediato desiderio di vita, guidato spesso nell’azione dall’uomo carnale, sempre presente in noi. Infatti, la logica della risurrezione prevede sempre la fase della “kenosis” ed è opera dello Spirito. Solo chi sceglie di vivere la conformazione a Cristo – vivificati dallo Spirito – può percorrere con il Risorto questa risalita dopo la discesa nella sua volontà. E Cristo, che ci conosce proprio nell’intimo, sprona, approva o disapprova le scelte lungo il percorso, infondendoci la speranza di poter raggiungere la meta, perché ci precede sempre, come vero Cireneo, oppure ci consola, come buon Samaritano. Certamente, dopo le grandi consolazioni iniziali dovute alla prima conversione, la sua luce scompare (anche per lungo tempo, come ha fatto con me nel primo decennio del mio matrimonio), per poterci fare uscire dalla nostra tiepidezza e povertà (che non è ancora quella del farsi piccoli per il Regno – a cui aneliamo, invece, da uomini risorti – ma quel bisogno tutto umano di lasciarci prendere in braccio e consolare perché ancora troppo fragili e deboli); ecco perché dobbiamo camminare a lungo, mettendo in atto tutte le nostre energie e capacità e rimanendo umili, ossia piccoli, perché abbiamo imparato con la nostra esperienza che senza di Lui non siamo in condizione di realizzare cose buone. Una volta fortificata la nostra volontà di seguirlo ‘no­nostante tutto’, proprio dentro l’aridità del deserto della vita – che i mistici chiamano “notte” – all’improvviso, il Maestro ricompare (perché desidera diventare Sposo), colmandoci del­la sua tenerezza e questa ‘da sola’ basta per andare avanti con la forza dell’infanzia spirituale: è avvenuta la ‘seconda conversione’, che si manifesta proprio nello scegliere Dio per sé stesso e non per le sue consolazioni, cioè attraverso l’abbandono ‘umile e fiducioso’ di tutte le nostre certezze in Lui, che gli permette di insegnarci a ‘volare alto’, ossia prendere il ma­re al largo dalla riva. Ecco: questo è il percorso esistenziale che sto cercando di narrare in tutto il mio itinerario simbolico, a partire dalla mia prima silloge e più consapevolmente nella seconda opera, ed anche in questa attuale, in modo certamente esperienziale, ossia limitatamente all’esperienza che mi vie­ne data di percorrere.
Una semplice annotazione cronologica: la silloge qui pubblicata risale agli anni recentissimi 2011/2012, ma v’è pu­re qualche composizione risalente ad una datazione molto re­mota. Adesso che il Signore mi ha definitivamente guarita dalle mie antiche ferite spirituali, posso liberarmene definitivamente. Un’ultima nota: nel mio itinerario, giunto ora a nuo­va maturazione, s’intravede qualche vena di spiritualità francescana. Forse è ancora presto per riconoscerla, ma ritengo che la mia scelta di viverne la spiritualità non sia più solo frutto di un sogno primordiale e fanciullesco che rimane arcano o inevaso dentro me (candido e liberatorio), ma molto più di un semplice afflato, anzi carico di pathos e nostalgia. Desiderio certamente di assoluto, la mia ricerca cristiana di Dio, infatti, si sostanzia della fascinazione della testimonianza di vita di Francesco, perché si tratta di un modello totalmente destrutturato dalle categorie socio-culturali del mondo e totalmente rinnovato dalla semplificazione operata dalla Grazia, pur nella consapevolezza che stiamo parlando di un’esperienza inimitabile e irraggiungibile per chiunque. Io, però, come tanti altri fratelli e sorelle che conosco, non posso non levare lo sguardo verso questa luce che scende dall’alto, per lasciarmi condurre dalla speranza di una guarigione totale, radicale, di tutto ciò che in me v’è di umanità ancora da purificare. D’altra parte, solo così posso continuare ad accogliere la Vita, con i limiti che mi sono noti, ma anche dentro un Sogno liberante. Anche per questo torno a pubblicare. Con queste nuove memorie lo­do pubblicamente il Signore per quanto opera quotidianamente nella mia vita, mentre proseguo l’ascesa del ‘sa­cro monte’ verso la Gerusalemme celeste, dove Lui ci at­tende per comunicarci l’infinita tenerezza del suo amore di padre, di madre, di sposo, di fratello e amico (che sono necessarie a noi più dell’aria che respiriamo) e così sperimentare la pace che ci fa già gustare il riposo e quella gioia che non avrà più fine. Perciò, pur nella tribolazione quotidiana, accolgo l’invito dell’Apostolo, che dice ancora: “Rallegratevi nel Signore sempre. Ve lo ripeto: rallegratevi […]. Il Signore è vicino […]. E la pace di Cristo, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù” (Fil 4,4).

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1 recensioni per Se il chicco di grano…

  1. Antonella Montalbano

    salve, sono la poetessa. vorrei consigliare questa terza silloge del 2013 ma sempre valida dal punto di vista valoriale, esattamente per questo medesimo motivo. Lo spessore umano e quello poetico-simbolico presente nelle liriche di questa silloge.. è talmente universale che può servire da accompagnamento spirituale nella ricerca del sè e del senso della vita, qui approdato a sintesi significativa. Il linguaggio utilizzato nella narrazione simbolica del proprio cammino… inoltre rende la lettura molto gradevole… in primo luogo per la sintesi e poi per la forza evocativa delle metafore. Buona lettura

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