Prefazione

Ricorrono principalmente due punti fermi nella poesia di Barbara Panelli: il mondo della natura e la ricerca dello spirito profondo che ci anima alla vita. So­vente il dettato poetico assume le espressioni tipiche del sogno ovvero della visionarietà, come ritroviamo in Poesia n. 6, “Vedo il mare / nero e profondo / la vita molteplice immersa // enormi balene / e microscopiche alghe / iridescenti d’ossigeno e pesci /// e il cielo sopra / le stelle e i pianeti / tutto lo spazio in cui siamo”. La visione è un climax, cioè un crescendo continuo, dal microscopico delle alghe all’universo senza confini del­lo spazio infinito. Poche pagine dopo, in Acqua pia­na, ritroviamo ancora l’elemento acquoreo, di nuovo as­sociato alle alghe, “voglio diventare della materia del­le alghe / quelle lunghe e secche / ulimosa”. Quasi si rimane entusiasti dalla scelta dell’aggettivo “ulimosa”, cioè odorosa, in quanto è una perla lessicale, deriva da ulimire, per odorare, vocabolo fiorentino e dantesco, di etimologia latina, da aulire, in latino olere. Ha senso soffermarsi su questa scelta per mettere a fuoco l’importanza del lavoro sul linguaggio che Barbara Pa­nelli conduce nella sua poesia. La Poetessa seleziona un linguaggio volutamente rigoroso di espressioni forti e immediate, ancorate al significato comune delle cose, the things, come hanno insegnato a fare magistralmente Ezra Pound e William Carlos William. Siamo di fronte a una poesia che risuona continuamente di immagini evocate dalla singola parola scelta con studio e con accuratezza, sempre attingendo a un linguaggio immediato, quasi sensitivo, comunque in grado di sviluppare una percezione sensuale, capace di creare nella mente del lettore la visione, magari anche fantastica, ma co­munque l’emozione visiva, al punto che la corrente poe­tica a cui tale stile è avvicinabile – quella di Pound e William Carlos William – non a caso è stata definita imagismo, cioè creazione di immagini. La poetica di Barbara Panelli punta molto sulla creazione della visione immediata nella mente del lettore, cui lascia la li­bertà di ricostruire il contesto nel quale la sequenza va collocata. Si prenda anche la poesia Come acqua di sponda e si osservi come la Poetessa ricostruisce la ci­clicità ripetitiva dell’onda sul bagnasciuga e la risacca, con il gioco delle anafore, la ripetizione dell’incipit, e la scelta felicissima di pochi ma decisivi elementi di de­finizione, “ferma”, “lambire”, “ghiaia”, “steli”: l’immagine si è subito impressa nella mente del lettore, an­che se viene sfocato il contesto narrativo e descrittivo di cui l’immagine fa parte. Si veda la perfezione stilisti­ca della poesia Sono stata nel tuo giardino, volutamente scelta a caso tra le tante che si potrebbero citare dotate di simile accuratezza definitoria: siamo di fronte a un chiasmo di immagini che si incrociano, tutte ispirate alla natura, dallo “scompiglio di foglie” al “pettirosso” è un accavallarsi di racconti incrociati e solo accennati, come una titolazione, un’ouverture di ciò che avrebbe potuto essere il racconto e che lo si lascia nella mente del lettore.
Anche il particolare per l’universale, cioè una par­te per il tutto, è una notissima figura retorica, la si­neddoche, con cui si dice la prora per intendere la nave, il ramo per intendere l’albero. Ed ecco nella poesia Ho visto solo spazio, il concerto di luce con cui la poetessa apre la finestra sul mondo – fuori di metafora, si intenda l’incipit della poesia – viene poi racchiuso nella si­neddoche dei due pezzetti dell’immaginifico cactus: “Comunque ho raccolto / due piccoli pezzi di te / da far vivere”.
Quell’espressione simbolica, da far vivere, rappresenta la chiave di volta dell’intera raccolta Resilienze. Si è detto prima che il secondo fuoco della scrittura ellittica di Panelli è lo spirito profondo della vita, la capacità di resistenza all’erosione continua della morte. Si legga con attenzione Senza esagerare, con quell’esplosivo incipit, così colmo di accettazione remissiva e di contrasto ostativo, “Ho imparato a morire senza esagerare. / Sono morta, l’ultima volta, / senza esagerare infatti. / Quel certo spazio dentro / la cui origine non conosco / ha trovato il modo di farmi morire così, / in misura necessaria e inevitabile, / quel tanto di morte che serve alla vita”. La poesia, in sé e per sé, richiama automaticamente alla mente Sono una creatura di Giuseppe Ungaretti, con quel terribile aforisma sentenzioso finale, La morte si sconta vivendo. Ovviamente ri­spetto al Porto sepolto c’è tutta un’altra ambientazione e un’altra poetica, del resto corrono anche oltre cento an­ni di storia letteraria, Resilienze è pubblicato nel 2020, anziché nel 1916. Tuttavia c’è la ripresa del concetto che la vita passa attraverso una continuità di morte annunciata, rispetto alla quale noi si rimane spettatori inermi, quasi gravati da un senso di colpa per es­sere sopravvissuti, che poi si trasforma in una straordinaria volontà di resistenza, anzi di resilienza. Anche la bellissima poesia dedicata al padre della Poetessa, Riesci a vedermi? è colma dello stupore del sopravvissuto che diviene subito lo spirito profondo della vita, la ca­pacità di continuazione e di rinnovo: una resurrezione tolstojana. Come adombramento del viaggio tolstojano della vita, tra piaceri e miserie, felicità e disgrazie, com­pletamente descritto in un rapido corsivo minuscolo, fatto di metafore, anafore, elencazioni, chiasmi, va citata la poesia Valle tra cielo e rovi, che è l’indicazione per rapide immagini, tra visionarietà, onirismo, orfismo e surrealismo, proprio della valle di lacrime in cui tutti noi troviamo sempre la dose giusta di resilienza per starci il più a lungo possibile. Si tratta di una permanenza prolungata, per ottenere la quale bisogna fare i conti con la disperazione, con il pendolo che oscilla tra il nero pessimismo nichilista leopardiano e la capacità di sapervi rimediare, come leggiamo in molte poesie, tra cui La vita che ancora e Ecco di nuovo il mor­bo.
L’obiettivo conclusivo e predominante della Poetessa è l’anabasi condotta alla ricerca della bellezza, indicata con il pneuma, come viene nominato nella sua espressione greca, il soffio vitale, lo spirito della vita, per cui il libro è anche prodigo di indicazioni, testimonianze, omaggi ad amici, dediche di amori e di incontri anche casuali, ma intensi e rivelatori, come leggiamo in Una panchina, che ricostruiscono la traccia dell’esperienza e più di tutto danno conto della volontà di partecipazione, del tuffatore di Pompei nel mare della vita, che, si ricorda, deve necessariamente passare attraverso i simboli della morte.
La Poesia di Barbara Panelli, scrittrice già conosciuta e premiata in numerose rassegne poetiche di rilevanza nazionale, è intonata a una lirica costruita con la luce delle cose semplici e significative che il Poeta no­mina come icone rappresentative del lungo viaggio di esperienza dentro la vita, fino a farne una limpida e scevra occasione di mestiere del sapere resistere all’erosione del tempo e della voglia di vivere. È una poesia colta, rigorosa, costruita con memoria letteraria delle più significative poetiche di tutto il Novecento, che vengono vivificate secondo un gusto e un’indole personale, tale da mettere a nudo il suo indiscutibile talento di scrittrice che apre nuove strade.

Sandro Gros-Pietro

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