PREFAZIONE

Se la poesia ha sempre avuto delle caratteristiche di minorità, e ciò viene ribadito anche al giorno d’oggi, contemporaneamente trova sempre più spazio in chi ama, nonostante la voracità egoistica della società attuale, non rinunciare a priori ad una battaglia culturale che va oltre il perimetro geografico e mentale della quotidianità.
La poesia, di conseguenza, non è morta come le cassandre di turno vanno blaterando. Se i grandi poeti, già ampiamente catalogati dai cattedratici odierni (fare dei nomi è superfluo, visto che sono stati e sono sulla bocca di tutti), vivono e rinnovano le loro presenze grazie ad un percorso mediatico legato alla grande editoria, non è detto che tra i “minori” non ci siano delle voci altrettanto valide e comunque in grado di superare l’aleatorietà del presente. Diciamo questo perché da anni ormai ci stiamo occupando in maniera preminente dei cosiddetti “poeti minori” o comunque non valorizzati come, forse, meriterebbero. Ed è un piacere che si rinnova con puntualità non appena ci imbattiamo con un poeta reale, non superficiale, colto, dotato di una espressività singolare, efficace e dalle sottolineature potenzialmente forti. È quanto ci è accaduto leggendo le opere, in questo caso, di Walter Chiappelli. Ci riferiamo alle sillogi Vampa celestialeQui in carne, in spiritoPassione e pensiero, in cui la poesia naviga a trecentosessanta gradi nell’Io dello stesso poeta senza mai perdere di vista la cronaca quotidiana, il vissuto, il conchiuso, mettendo così in movimento una piena di riflessioni che segnano il confine tra l’essere e l’infinito, tra l’incompletezza dell’uomo e l’Oltre…
Un percorso che, contraddistinto da una religiosità non di facciata, si impreziosisce di nuovi elementi in Realtà e fede e si fortifica nel segno di una continuità d’ispirazione che significa affezione e dedizione costante alla poesia, ai perché del vivere e fare poesia, ai significati non sempre visibili del suo orientarsi religioso nel cuore superficiale dell’uomo d’oggi.
Walter Chiappelli in questa circostanza si avvale di un respiro breve e intenso, di immagini pre­gnanti e aeree, di versi dall’andamento raccolto e quanto mai essenziali sia dal punto di vista stilistico sia dei contenuti. Tutto si muove all’interno di un paesaggio dell’anima fortemente unitario e illuminante del motivo per cui “l’uomo / deve ricreare l’alba” e “illuminare la vita coi raggi / della giustizia”.
C’è serenità e timore nel coniugare i momenti diversi della vita, quel calarsi nel vivo di una realtà assai spesso vuota di ideali e soprattutto di umanità, di spiritualità, di gioia nel dare e nel dialogare anche con quanti sono diversi, e meno fortunati, di noi.
Ecco, perciò che il respiro poetico di Walter Chiappelli assume l’ampiezza di un concerto di voci e la profondità di un messaggio di speranza che parte da lontano e che in lui è ognora presente, vivace, motivato da quel suo sapersi mettere in discussione e ascoltare, per quanto possibile, la voce dell’Oltre, di chi, in pratica e con generosità, ci consente e ci ha consentito di catturare in qualche modo la bellezza e l’armonia della vita, dello stare assieme, di amare, di comprendersi, di aprire il cuore al sogno evitando, per quanto possibile, il buio che solitamente appare alle nostre spalle…
Tutte le poesie sono composte da otto versi e da un gioco evidente di schiettezza e di suoni che entrano d’un subito in circolo sollecitando pulsioni, emozioni, graffi, echi distanti e finitimi, alitare di estasi e di verticali illuminazioni.
La sua è una parola poetica che rotola via silente e ciarliera, piena e arrotolante, folgorante e sinuosa. È assai simile ad una musica che sale di tono e che poi si fa calma, calda, misteriosa quasi. È, in pratica, un diffondersi progressivo di luce e di freschezza, d’amore e di sapienza elegante. C’è anche dell’ironia nel suo dire: “La gallinella è un simbolo moderno” in quanto “il suo parlare è tutto un coccodè / certo somiglia un poco all’uomo d’oggi / o utile o brodo”. Ma ogni sfumatura ironica naviga in direzione di una realtà che deve per forza di cose non fare a meno della fede, di Dio.
E da ciò nascono, e si dilatano, le immagini che Walter Chiappelli è riuscito a costruire seguendo il filo rosso di un amore totalizzante, di un saper accettare il dolore e la morte: anche se dolore e morte significano distacco. Per lui, però, il distacco è soltanto un passaggio; sì, perché vivendo nella fede sa guardare al di là del concreto e vincere il pigolio del dubbio, dell’incertezza, del vuoto…
Egli, comunque, come ha avuto modo di rimarcare con acutezza Sandro Gros-Pietro, “non è un poeta che tenga in alcun conto le mode imperanti degli intellettuali e dei poeti del suo tempo”; è, invece (e questo, a nostro avviso, è un pregio di indubbia valenza), un poeta che denota una forte personalità, un’integrità espressiva che va oltre il simbolismo e che proprio per queste motivazioni sa tracciare un arcobaleno di gestualità e di contaminazioni non epidermiche. Come a dire che la sua poesia va gustata e necessariamente riletta quale veicolo di piccole-grandi verità e di piccole-grandi architetture di quell’infinito che è in ognuno di noi.

Fulvio Castellani

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