Prefazione

L’ampia produzione poetica di Antonio Marcello Villucci è cresciuta negli anni come avvaloramento e approfondimento di una tematica originaria che si è mantenuta fedele a sé stessa e che si articola sui fondamenti della visione umanitaria e religiosa della vita; del canto evocativo del mondo rurale e dei doni della natura benignamente coltivata dall’uomo; dei ricordi devoti rivolti alle care figure famigliari e ai personaggi culturalmente rappresentativi della formazione culturale del Poeta. Su questi tre fondamentali pilastri si erge la variegata e complessa formazione architettonica di un mondo poetico in continua espansione, sempre nuovo ma anche fedele alla fonte d’origine, come la geometria variabile di un frattale capace di campire l’intero universo ripetendo in forme perpetuamente rinnovate l’idea primigenia della sua creatività. Il binomio “musica e poesia”, così sovente accostato e unito in un solo elemento di armonia e di dolcezza nel parlare comune della gente come nel parlare colto degli studiosi, è la materia costituente del dettato poetico di Villucci, che cura il verso nel fluire spontaneo della musicalità rappresentativa dell’ordine delle cose quotidiane e dell’intero universo. L’io particolare e biografico che scorre lungo la memoria degli anni e nell’intreccio dei versi assume un significato simbolico della condizione dell’io universale e collettivo dell’intera umanità, considerata non solo nella specificità storica del tempo in cui vive l’Autore, ma anche ritrovabile nei fondamenti di essenzialità relativi alle generazioni dei tempi andati, e parimenti ci si augura che possa un domani rinnovarsi anche nel futuro. È un canto soffuso di nostalgia e bellezza, per lo più rivolto ai personaggi anonimi della società contemporanea, ma continuativo ed evocativo dei valori semplici, luminosi e irrinunciabili della dignità e dell’amore umano, fondati sul lavoro, sull’amore famigliare, sulla visione di un fine superiore della vita, sulla rete di conforto e di compagnia delle buone amicizie fra persone illuminate da volontà e da alacrità di fare e di rendersi l’uno all’altro utili nel tempo. Ne deriva che questo intreccio di versi, che si srotola lungo i percorsi della memoria, si incunea nei vi­coli e nelle vie delle case, entra nelle stanze della memoria come nei vani quotidiani delle abitazioni domestiche ove si è consumata la vita nella celebrazione delle abitudini giornaliere, elevate alla dignità di riti carichi di si­gnificati che sfumano verso un approdo metafisico. Ec­co, allora, che la testimonianza e la descrizione di tanta fatica umana, di tante occasioni di dolore, anche di lutto, e di tanti sacrifici compiuti per correre dietro all’improcrastinabile imporsi delle necessità e dei bisogni, si illumina di una luce di accettazione, di saggezza e finanche di gioia profonda nella partecipazione al mistero insondabile della vita, alle sue occasioni repentine e fugaci ovvero ordinarie e costanti: è una luce di condivisione del grande spettacolo della vita, che si manifesta nella devozione verso il Creatore e le sue creature.
Una musica popolare risuona per questi vicoli della memoria, come leggiamo In questo maggio di fiori: “Il fanciullo aziona l’organetto / a manovella con il suo vecchio / trainandolo tra gli antichi vicoli / del quartiere”. Sovente viene descritta la celebrazione del Santo Natale, con ricreazione dell’atmosfera di attesa, nella ricordanza dorata dei tempi felici della fanciullezza o della prima adolescenza, come leggiamo in Vigilia di Natale, Aria di Natale e La festa di Natale. Ma più sovente il viaggio nella memoria conduce alla descrizione di momenti di vita di paese e alla ricostruzione di visioni panoramiche, come accade in Autunno o all’incontro magico con la natura, come avviene in Colsi lucciole tra i prati o ancora alla evocazione di momenti gioiosi di vita come è in Le gioie del cortile, Ritorno ai giorni dell’infanzia, Al primo coccodè del pollaio, I piccoli dell’ora meridiana. Talvolta il ricordo è dedicato a un cruccio o peggio a un evento drammatico di gioventù, come è descritto in Mi riaffiora lo sgomento di mia ma­dre. Tappeto volante delle ricordanze del passato è so­vente il sogno e talvolta l’incubo, come si legge in Notte intristita da sogni. Nei ricordi del passato vissuto in famiglia sono eminenti la figura della madre del Poeta, come è nella poesia Tra i pochi oggetti, e accanto troviamo la figura del padre, in modo esplicito nella poesia A mio padre. L’echeggiamento dei trascorsi di vita è incorniciato all’interno di una ricapitolazione religiosa del significato profondo del vissuto, come si evince dalle poesie Per i dubbiosi e Lodo Te, mio Signore. Nel mon­do reale, così quotidiano e ordinario della poesia di Villucci, si ritrova una straordinaria presenza e assistenza di personaggi celesti e di creature spirituali, nel senso che abbondano gli angeli custodi, chiamati a condividere le umane pene e fatiche e capaci di recare conforto agli animi delusi o umiliati dalla vita, come in Quando a sera. I luoghi della memoria si collocano nei pressi di Sessa Aurunca, in provincia di Caserta, nel paesaggio di straordinario fascino, naturale e storico-archeologico di Roccamonfina e del suo parco regionale, ma non mancano i paesaggi marini della Foce del Garigliano, presumibilmente di Baia Domizia o comunque visioni dei luoghi viciniori di Gaeta e del suo splendido golfo, con descrizioni di scena dei villaggi dei pescatori. Lo scopo etico e umanitario di questa poesia rievocativa del tempo dell’oro del mondo rurale è quello di trasmettere un’eredità culturale ai giovani e di invitarli a godere delle cose semplici, riscattandosi dall’inerzia o dal vizio di cui so­vente la gioventù d’oggi rimane vittima, come si legge in Ora che sei l’ombra di stesso. Non mancano le testimonianze di storia del nostro tempo, come monito a vigilare sui valori di umanità e amore universale che debbono ispirare la nostra civiltà, in particolare il ricordo della shoah degli Ebrei, in Al posto di ogni vita, come anche la tragedia ininterrotta degli extracomunitari e la morte per affogamento del bimbo profugo dal “giubbetto rosso”, partito da Bodrum in Turchia, ma approdato senza più vita sulle spiagge della Grecia, ed ora accolto nel “giardino degli Angeli”, come leggiamo in Da Bodrum. Appartiene allo stesso filone di testimonianza delle grandi tragedie del nostro tempo, l’accorata e do­lente poesia, bella nella sua sventura irredimibile, che si chiama Terremoto in Irpinia. Si è già detto che fanno parte del terzo pilastro della poesia di Villucci i testi dedicati ai Mentori della sua formazione culturale ovvero agli amici poeti oppure in un recente passato le figure rappresentative dell’impegno intellettuale che hanno onorato o tuttora continuano a onorare la patria d’origine di Villucci, e fra questi personaggi indubbiamente spiccano lo studioso americanista Tommaso Pisanti, il ve­scovo emerito di Caserta Raffaele Nogaro, l’italianista e poeta Antonio Piromalli, l’archeologo Alfonso De Franciscis e il poeta Renato Filippelli.
La poesia di Antonio Marcello Villucci, nell’armonia di un canto musicale sospeso tra il sogno e la memoria, giunge a configurare una testimonianza veritiera e preziosa, di alto contenuto umano e religioso, del recente passato di impegno e di riscatto dalla povertà del nostro Paese, messo a confronto con l’attualità solo ap­parentemente affrancata dall’impellenza quotidiana del bisogno, ma resa più povera dalla caduta dei valori dello spirito e della comune fratellanza. Su questo panorama contraddittorio di “progressismo regressista” si eleva, dolente e allarmata, la voce del poeta che richiama i suoi contemporanei alla riconquista dei valori essenziali del vivere civile e della conservazione della memoria.

Sandro Gros-Pietro

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