PREFAZIONE

Nel caso di Rosaria Di Donato si può parlare a buon titolo di una scrittura ellittica, capace di descrivere un percorso sempre collocato a distanza costante tra i due fuochi da cui prende origine. E i fuochi sono la materia e lo spirito ovvero, se si preferisce dirlo in versione più dotta, la storia del mondo reale e la metafisica dell’eterno. Non si tratta di una contrapposizione dell’inconciliabile, ma al contrario di una complementarietà unificante. Di Donato declina le forme di contiguità dialettica tra ciò che in noi decade e ciò che in noi resiste all’erosione del tempo. La sola lingua che descrive tali figure di opposti estremi è la lingua dell’amore, che continuamente rigenera alla vita ciò che è decaduto nella morte: “è trionfo d’amore / è melodia / che offre al mondo / la speranza / che muta il pianto in canto / che nel pianetaspento / trasforma il rapido sospiro / in un respiro ch’empie / tutto di vita”. Appare evidente la professione di fede in un Altrove, da indicare con la maiuscola, capace di calmare la sete di giustizia e di bellezza che vibra nel cuore del poeta: “a volte viene / il desiderio di rifugiarsi / nella città di dio / celeste gerusalemme / di diaspro e lapislazzuli / fatta d’a­mo­re e sogno”. Il connubio tra la decadenza della storia e l’eternità della metastoria si rinnova continuamente nella catena degli eventi e si manifesta con particolare chiarezza nei momenti più tragici, quelli che hanno la capacità di mettere a nudo e di svelare definitivamente l’equilibrio delle forze in campo, come si legge nei versi di epitaffio per l’undici settembre: “nessuno nessuno / niente sopravviverà / solo il cielo resterà / immobile a fissare / le macerie”. Allora la poesia può anche rendersi preghiera, un alto dettato di purificazione e di glorificazione: “padre nostro che sei nei cuori / rendici santi grazie al nome tuo // fa che possiamo entrare nel tuo regno // la tua volontà sia in noi / ovunque per sempre”.
Il significato profondo della poesia, dunque, può essere ritrovato nella lustrazione che essa è chiamata a promuovere dentro l’animo degli uomini: un cammino di espiazione delle colpe e di purificazione della mente e dello spirito. Attraverso l’emozione lirica che la bellezza del mondo trasmette agli uomini si avvia il processo di espurgazione delle tossine e dei veleni che si sono accumulati dentro di noi nel consumo dei giorni e si apre la vista ai nuovi orizzonti: “all’orizzonte assurti / monti protesi-volti / cime innevate maestose / raccolte al chiarore del giorno / come gocce di rugiada su un fiore / corolla di fresco mattino / dischiusa al nascente tepore”.
L’esplorazione delle possibilità sviluppate dalla poesia di realizzare il lavacro dell’anima negli uomini è condotta da Rosaria Di Donato per lo più portando ad esempio alcune egregie figure di grandi testimoni di umanità e di sapienza ovvero di bontà e di santità o anche di arte e di creatività. I modi espressivi del merito e dell’eccellenza che l’umanità ha saputo recentemente consegnare alla storia vengono da Di Donato riassunti esemplarmente in una galleria di personaggi che appartengono al patrimonio comune di tutti gli uomini. Si trovano così mirabili versi dedicati a Pierpaolo Pasolini, ad Anna Magnani, a Vittorio Gassman, a Giovanni Paolo II. Ma va detto che anche le figure anonime della cronaca, cioè i volti di persone sconosciute ma balzate alla notorietà perché divenute vittime innocenti della barbarie umana, possono essere chiamate come testimoni del processo di lustrazione dell’anima che la riflessione poetica deve avviare nel cuore dei lettori: è questo precisamente il caso di Hina Saleem, la giovane pachistana trovata morta nel giardino di casa, dove era stata sepolta dal padre, dopo che una sorta di infame tribunale di famiglia ne aveva decretato la morte in quanto non ritenuta una brava musulmana. Ecco, in questo caso, Di Donato denuncia il tragico fraintendimento dell’ispirazione religiosa, che porta all’omicidio e all’allontanamento dalle acque lustrali – caina è qui / non-luogo poetico – quando si trasforma in fanatismo e intolleranza. Ma non va sottaciuto che, per Rosaria Di Donato, c’è anche una funzione ludica e gioiosa dell’arte, che può sfociare in una festa contemplativa e interpretativa delle dimensioni grandiose del mondo e della creazione in genere, come leggiamo nella poesia di tendenza futurista eroismo + dinamismo = fascino abissale, in cui è espressa una sorta di ode futurista dedicata al significato dell’arte e più specificamente della poesia: “fascino abissale / l’istante dilatato-contratto / nel gesto-stato d’animo / che nella tela irrompe / il mondo mutando in nuovo splendore”. La poesia di Rosaria Di Donato unisce insieme una liricità delicata, capace di emozionare per la purezza degli elementi di umanità e di divinità esplorati per eteree allusioni, con una forza espressiva densa che punta alla testimonianza storica e al richiamo crudo della realtà dei fatti, fino a fare emergere una ragione di dialettica e di equilibrio tra le cose dell’anima e quelle del mondo, che proprio nell’uso e nella frequentazione della poesia sono destinate a trovare serena coesistenza e rappacificazione.

Sandro Gros-Pietro

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