Prefazione

Il libro Frammenti di Carlo Mosca nasce come notizia di vita che proviene dalla cronaca del quotidiano: ritagli di giornale e foto sbiadite, quasi ormai illeggibili e tratte da rotocalchi che hanno il carattere del documento caduco e occasionale, ci parlano di Franco Molè, poeta, drammaturgo, attore e regista, un protagonista della cultura contemporanea in Italia e all’estero. La notizia di vita, dunque, nasce da un segno di distacco, di lontananza: di morte. La cronaca delle parole disperse come fossero foglie di Sibilla, infatti, è fatta da “coccodrilli”, dedicati alla memoria del grande amico scomparso. Ma il libro è tutta altra cosa che un epicedio. Anzi, è un canto realmente orientato alla vita, anche se può assumere, talvolta, i ca­ratteri della rammemorazione o addirittura dell’evocazione. Sono notizie che giungono dalla vita personale del poeta e, in seconda alternativa, sono notizie che rappresentano una rielaborazione della memoria collettiva dell’umanità e, quindi, provengono dalla biblioteca immaginaria della poesia, in cui il poeta lavora come un certosino appresso allo scrigno della sapienza. Circa il valore della sapienza, Carlo Mosca avverte subito sulla fallanza della poesia, la quale non solo può essere impotente a conoscere il vero, ma può addirittura condurre all’errore ovvero al peccato di presunzione, che tuttavia potrà essere corretto dalla solidità e semplicità di pensiero della tradizione fa­miliare. Leggiamo l’avvertenza nella poesia La mia vita, ove accanto alla metafora della ricerca d’Odisseo c’è quella della sacralità dei penati: “Della mia vita non so / fra tanti eremitaggi e porte socchiuse, / colore vissuto e parole al vento. // Su tutto la saggezza / di un padre solido, attento / e giusto. // Vibrazione di vita a lungo esercitata / se dalle mie mani escono materiche forme / di vuoti e pie­ni a rappresentare l’onda / della mia esistenza”. Vale commentare questi versi così significativi. In primo luogo occorre notare che il poeta “non sa” della sua vita, impegnata in eremitaggi e porte socchiuse: ciò significa che egli assume una distanza ragionata dalla poesia filosofica o sapienziale, e si rivolge piuttosto alla “vibrazione di vita”, cioè all’incontro con le “cose e persone”, le componenti “materiche” della vita, semmai rielaborate in una teoria di “vuoti e pieni”. Giova ricordare che Carlo Mosca unisce l’arte della rappresentazione pittorica a quella del linguaggio poetico, essendo egli scrittore e pittore, come sovente è già capitato in passato ad altri, per esempio a Dino Buzzati, Emilio Tadini, Alberto Savinio, Filippo de Pisis, Carlo Levi, Italo Cremona, per non parlare di Salvador Dalì e di molti altri ancora. Tuttavia, la poesia per Carlo Mosca non è affatto un calepino diaristico di emozioni ordinarie, e neppure una didascalia artistica di eventi personali e memorabili. Si è già detto, in altre carte, che la poesia in Carlo Mosca nasce come un’occasione quasi accidentale – e comunque collocabile ai bordi della sperimentazione – del linguaggio sulle possibilità definitorie del reale e dell’immaginario: è un discorso di scelte e di significati, riconsiderato nella memoria indefinita della parola scritta. C’è in lui un’affiliazione poetica in qualche modo orientata verso due padri “monstruosi” del Novecento, Eliot e Pound. In Carlo Mosca la parola rappresenta la strategia della poesia, come il colore o l’immagine lo sono della pittura. Sul significato chiave della singola parola – e sulla sua dispersione di costrutto – si apre il pa­norama poetico delle possibilità interpretative della realtà del mondo. La ricerca del poeta, sul modello di Senofonte, è un’anabasi, cioè un viaggio verso l’interno delle cose e delle persone, condotto con purezza linguistica e con grande coloritura espressiva. Quando non vi siano più cose da dire ovvero quando venga a difettare la gioia della ricerca, allora l’anabasi si trasforma in senapismo, che potremmo definire in termini di un noioso manierismo, cioè una morte figurata o anche reale della mente e della vita stessa, come ci rivela il poeta in Quando sarà: “Quando non avrò più età, / senapismo di vita / se in prossimità della fine / tutti noi tendiamo a farci / piccoli per di­su­guaglianze / pietrificate e vortici d’alternanza”. La dialettica delle opposizioni sta alla base del movimento poetico: tutto sorge per contrasto ostativo o anche solo per frizione di movimenti discordi ovvero per attrazioni o per convergenze armoniche. Il rapporto vita-morte rappresenta il pia­no inclinato su cui scivola tutto l’impianto conoscitivo del­la poesia, in una inarrestabile svalutazione en­tropica dei significati, come leggiamo in Lutti, nella splendida argomentazione centrale che poi si conclude nell’esalazione della materia in spirito: “In questa notte immobile / nel suo nero silenzio / eccomi a convivere cose / che vorrei non fossero soltanto / mie per me ospite della mia casa / e della mia vita / quando leggo altro di altri / e sento un brivido e una lacrima / scendere inarrestabile. / Vivo ormai il corpo come spazio / dello spirito sapendo che non sarà / più come prima e non sarà ancora / come dopo”. L’incontro con il sopramondo rappresenta la soglia impedita della conoscenza, cui il poeta aspira per raccontare la meraviglia dell’ineffabile, cioè per dire ciò che non si può dire. Su questo tema, che da sempre è centrale nella produzione poetica di Carlo Mosca, si sviluppano molti testi che conducono per strade convergenti e differenziate alla stessa meta, basti leggere Haíresis, Phrónèsis. Risvegli, Anemos, Syn-ballein e molti altri testi ancora in cui la ricerca del divenire di Eraclito – che fa mostra di sé sulla copertina del libro – aspira a riconoscersi in una tendenza di riunificazione magmatica del tutto. La poesia Orizzonti assume per incipit l’avvertenza di Agostino, in interiore homine stat veritas, che sottolinea come il viaggio del poeta, benché orientato alla rappresentazione materica della realtà, trova la sua soglia avverante solo nella rielaborazione riflessiva condotta dal poeta nel suo dialogo interiore sviluppato con sé stesso. Testo centrale di questo bellissimo libro di parole e di immagini diviene, allora, la poesia Io & lui, che in realtà non è un inno ottativo al narcisismo o al solipsismo del poeta, affinché si fonda e si confonda con lui, cioè col suo alterego. Si tratta, invece, di una sottolineatura dell’importanza della riflessione, del dialogo interiore, del viaggio dentro se stessi, dello scavo senza riserve e senza facili soluzioni a cui il poeta deve sottoporsi, per cercare di continuo le ragioni e gli spigoli delle diversità che in lui convivono, come si legge nei versi: “Nei miei tanti infiniti / ho giocato per anni ad essere / da me diverso / sapendo bene come essere / pronto a spogliarmi per intromissione / di vita nel suicidio del tempo. // Finché un’alba ci sorprende ancora / corriamo al vento della sera / e il ronronner del mio amico felino, / vibrazioni sonore e neotenia del gioco / esibisce, affinché poesia soliloquio / non sia, come perfezione di morte”. La ricerca del poeta è sistematica, perché vi è una coerenza organica delle tematiche, che, come abbiamo già avuto modo di dire, fanno riferimento alla memoria personale dell’autore e alla geografia dei luoghi di svolgimento della vita, tra cui si notano in particolare modo località della Sardegna e del Montefeltro. Ma è anche una ricerca frammentaria, perché è articolata su relitti sopravissuti al naufragio del tempo, senza un rigoroso ordinamento cronologico né una giustapposta consequenzialità degli argomenti, ma armonizzata in un impeto di generosità conservativa e valorizzante il patrimonio di vita documentato nei versi, come leggiamo nella meravigliosa poesia eponima, Frammenti, con la quale ha senso concludere le citazioni: “Parlano oggi i camini il linguaggio / del vento che turbina, fresco / già da Carpegna a mitigare l’afoso / frinire e agita i verdi pennacchi / il cedro del Libano mentre placido / allarga le fronde un tasso maestoso. / All’intorno imperano i lecci e i pini / svettano alti frustati dal vento. / Verde atmosfera di serena tranquillità / a coniugare frammenti di vita / universale nel piccolo borgo / che sovrasta il Marecchia, pigro / a volte fra ciottoli pozze e rivoli. / Lepri e fagiani allietano il meditato / silenzio, allo sguardo timidi e curiosi; / è il tempo di fienagione e mezzi agricoli / alati concerti interrompono / e un senso di pace si ag­gira / a tramontare il giorno”.
La poesia di Carlo Mosca è un’indagine della ragione sul disordine che la vita opera ai danni della logica delle cose e delle persone, le quali subiscono come oggetti impotenti la morsura del tempo, l’incisione che l’acidatura provoca nel metallo della lastra, nella loro carne e nel loro spirito: il segno, il graffio, il solco e le rughe che vi scava, finché si compongono i geroglifici delle forme complesse, l’ombra dei pieni e dei vuoti di cui tutti noi siamo fatti, su tali ombre da millenni si scrive una meticolosa enciclopedia di dimenticanze e di rammemorazioni, di illustrazioni e di misteri, a beneficio di quale verità, rimasta in sospeso ovvero scomposta in frammenti non ricomponibili se non come ipotesi indimostrabile del vero.

Sandro Gros-Pietro

Anno Edizione

Autore

Collana

Recensioni

Non ci sono ancora recensioni.

Scrivi per primo la recensione per “Frammenti”

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati